La ricomparsa di un lavoro di Roberto Roberti e di Francesca Bertini, non poteva fare a meno di rinnovare un certo senso di compiacimento e di ammirazione, benché in un cimento suscettibile di confronti e di appunti artistici.
Ma i primi pregiudizi caddero ben presto e così il lavoro parve assurgere al suo più pieno successo anche dal lato della sua esecuzione, dove ebbimo campo di riscontrarvi dell’ottima messa in scena, adeguatamente sorretti da un’altrettanto perfetta interpretazione.
Anzi, possiamo dire che tutti gli artefici del film e tutti gl’interpreti assolsero il loro compito senza eccezione alcuna, sottoponendo al nostro giudizio un film inappuntabile per coesione ed affiatamento, nonché irreprensibile anche dal lato estetico e letterario, dove facilmente, il bellissimo lavoro del Bataille avrebbe potuto essere frainteso, data la materiale impossibilità di tradurne in atto sullo schermo certe sue finezze artistiche, derivate più da scambi di concetti che da potenzialità psicologica.
Ma tutto questo fu assai esimiamente superato, cosicché non ci restò che ammirare con certa nostalgia la bella e potente diva, nuovamente ritornata, per cura della Direzione del Cinema Ambrosio, a far parlare di sé nella nostra città, dove, forse, più che in ogni altra, ha trovato una corrente ragguardevolissima di ammiratori.
Buona, sotto ogni riguardo, pure la fotografia, specie nella nitidezza dei suoi primi piani, dove ci fu dato modo di rilevare, in chi li ha eseguiti, dell’insuperabile tecnica e dell’ottimo gusto artistico, non esclusa un’apprezzabilissima capacità d’inquadramento ed una spiccatissima estetica.
Grande fu così l’entusiasmo del pubblico, che numeroso accorse a testimoniare, con la sua assiduità, il suo compiacimento, avvalorando così con maggior efficacia il sostanziale successo ottenuto dalla Caesar Film con questa nuova manifestazione di potenzialità artistica.
« Contessa Sara è rimasto nove mesi in cartellone in un cinema di Roma; ho visto una foto dove c’era la polizia a cavallo che arginava la folla all’ingresso. » Sergio Leone*
Roma, gennaio 1920. Singolare ventura! Mentre Londra immensa acclama in un delirio di entusiasmo la grande meravigliosa interprete del capolavoro di Giorgio Ohnet; mentre i giornali e le riviste inglesi più autorevoli la proclamano concordemente la bellissima fra gli astri più belli del teatro muto di Europa tutta, notando che Francesca Bertini è l’unica italiana che oramai impone la sua personalità artistica anche fuori dei confini del suo Paese, a Roma eterna la Contessa Sara ottiene un successo non facilmente dimenticabile: un successo enorme!
Chi ha veduto e vede il continuo turbinio di gente accalcarsi e prendere d’assalto — è la parola — ininterrottamente l’elegante Corso Cinema Teatro, tanto che un plotone dell’Arma benemerita riesce a stento a regolarne l’ingresso non può non pensare che l’arte di Francesca Bertini scuote e trascina ed è la più intesa dalle folle.
La fresca e limpida fonte dell’arte di Francesca Bertini, dopo qualche recente inquinazione determinata da un palese errore di prospettiva, è tornata ieri sera a fluire con la gorgogliante e cristallina purità d’una fontana sorgiva inesplorata.
Già i corvi della critica più o meno accademica si accingevano a gracchiare il loro stereotipato ritornello; già i necrofori dell’arte cinematografica si accingevano a recitare, con aria compunta, il loro assurdo e ridicolo miserere. Ma i corvi e i necrofori, senza dubbio, avranno avuto ieri sera la saggia prudenza di ripiegare cautamente gli arnesi del loro poco allegro mestiere per risfoderarli in qualche diversa occasione.
Il successo riportato ieri sera da Francesca Bertini ne La Contessa Sara, proiettato per la prima volta al Corso Cinema è stato veramente quello che il più intellettuale pubblico di Roma si attendeva dalla grande artista: un successo pieno, clamoroso, definitivo; un successo di rivincita d’alta e profonda significazione. L’arte di Francesca Bertini, che nelle sue prime interpretazioni aveva saputo delinearsi nettamente con una personalità di atteggiamenti e di espressioni assolutamente inimitabili, è apparsa ne La Contessa Sara come la sintesi armoniosa e perfetta di tutti i più nobili requisiti di sincerità interpretativa, di equilibro animatore, di bellezza, di fascino, di eleganza. In questa interpretazione, insomma, l’arte di Francesca Bertini sembra avere raggiunto una luminosa maturità pur conservando tutta la sua istintiva freschezza, tutta la sua innata sincerità.
D’altra parte, il complesso lavoro di Ohnet, non poteva essere affrontato che da un’artista delle risorse di così complessa psicologia senza il fervore di fede e di studio, senza il fascino e la bellezza di una protagonista ideale. E tale è decisamente apparsa Francesca Bertini cui il pubblico ha consacrato gli onori di un successo trionfale.
Con Francesca Bertini è stato apprezzatissimo il comm. Ugo Piperno. La messa in scena del film, per sontuosità ed accuratezza è apparsa superiore ad ogni elogio. Splendida specialmente per la profusità di effetti tecnici sorprendenti, la fotografia. (Giaurro, Il Giornale d’Italia)
Prime visioni: La contessa Sara
Non è uno dei migliori romanzi di Giorgio Ohnet, e la riduzione per lo schermo ne è difficile perché l’azione è troppo slegata e frammentaria.
Roberto Roberti, in questa ricostruzione, ha fatto opera onesta e decorosa, che rivela, sì, la ricerca a volte anche ansiosa, ma che in molti punti aggiunge all’opera piuttosto scialba e stanca del popolare romanzo francese.
L’inscenatore ha avuto la mano felice specialmente nella scelta degli esterni. L’altra sera, mentre seguivo attentamente la proiezione, sentii mormorare da uno spettatore, mentre si vedeva Napoli: “Sembra una cartolina illustrata!”.
Quello spettatore aveva torto. Egli non capiva una cosa che Roberti ha dimostrato d’aver capito: l’importanza principalissima che ha il paesaggio nelle films italiane. L’Italia è un paese panoramico, ricco di bellezze naturali e storiche che sono una delle maggiori risorse nostre. E a una ignobile film edita dalla Pathé pochi mesi fa in cui il buffone di Linder ci presenta un’Italia inverosimile e calunniosa per noi, egli ha risposto con degli stupendi sfondi napoletani e accurati quadri romani di cui, io italiano, lo ringrazio.
L’inscenatore ha voluto introdurre — sarà stato proprio lui a volere? — una novità americana: abolire il più possibile i passaggi, concludendo i quadri episodici con una chiusura a diaframma. Cosa che riesce grata le prime due o tre volte, ma che infastidisce in seguito perché è ripetuta troppo oppressivamente.
Il romanzo ha dovuto subire dei tagli e delle varianti per la necessità di ridurlo al metraggio conveniente.
Ci sono alcune scene molto efficaci, come per esempio quelle in cui la contessa Sara ha troppo caldo e il vecchio marito… si raffredda.
Il quadro del matrimonio è fatto con lodevole brevità, e i primi piani, per quanto abbondanti, non sono eccessivi.
Francesca Bertini — se è vero che col tempo ci si rinnova e ci si migliora — dà l’idea di aver interpretato questo film molti anni or sono. Non c’è apparsa la grande attrice che in pellicole di minor rendimento drammatico ha fatto molto di più.
Piperno non poteva andar meglio, e anche Salvini, benché apparisse talvolta un po’ preoccupato, si è brillantemente distinto. Raoul Maillard, sebbene avesse una particina, s’è dimostrato un corretto e fine attore, di una comicità di buona lega, e di una spontaneità mai sforzata.
Questo artista farà molto cammino.
Grandissima parte del film è girata a luce artificiale. E non sarebbe inopportuno evitare, nel mettere insieme i pezzi, che a certi quadri a luce artificiale troppo viva, seguano quadri a luce naturale. È una stonatura perché sembra che un paesaggio di mare, in pieno giorno, sia meno illuminato d’un ambiente chiuso.
Il film, nel complesso è buono, ma non è un gran che, e principalmente non è il capolavoro — come soggetto, messa in scena e interpretazione — che dall’Unione Cinematografica Italiana si sarebbe aspettato specie quando si pensi che sono la marca favorita e la più popolare artista di cui dispone l’Unione che escono all’avanguardia di una produzione di cui è lecito supporre La Contessa Sara sia una delle cose migliori.
La Contessa Sara, fatta da una piccola casa, priva di mezzi e delle possibilità dell’Unione Cinematografica Italiana sarebbe una ottima cosa. Per l’U. C. I. segna un passo indietro.
La fotografia è buona: la stampa non sempre.
Il film ha avuto buon successo. (Kines, gennaio 1920)
La Contessa Sara è stata restaurata in occasione della retrospettiva dedicata a Francesca Bertini per l’edizione del 2003 del Cinema Ritrovato. Dobbiamo aspettare all’edizione del Cinema Ritrovato 2020 per (ri)vederla?
*intervista a Sergio Leone (“Tutti i film di Sergio Leone” di Oreste De Formari, ubulibri 1984).
Non sono mai riuscita a chiarire del tutto i retroscena intorno al progetto di portare al cinema Claudia Particella, un romanzo di Benito Mussolini pubblicato a puntate dal quotidiano Il Popolo di Trento nel 1910. Se volete sapere di più a proposito del romanzo potete consultare il web dove i riferimenti non mancano.
Rodolfo Valentino, Arturo Ambrosio, Emil Jannings, Roma 1923
Come ricordano tutte le biografie di Rodolfo Valentino, il 1923 segna il suo ritorno in Italia dopo quasi dieci anni di assenza:
Presentiamo ai nostri lettori una fotografia rarissima dei rappresentanti di tre potenze cinematografiche (da destra a sinistra) Emilio Janning il grande attore tedesco che interpreta a Roma Nerone della UCI – Comm. Arturo Ambrosio direttore gen. Artistico della UCI recentemente insignito della Croce da cavaliere dei S.S. Maurizio e Lazzaro – Rodolfo Valentino, il noto attore italo-americano in viaggio in Italia, di cui sono note le interpretazioni cinematografiche e le avventure galanti, colti tutte e tre dall’obiettivo sullo sfondo delle costruzioni neroniane nei teatri di posa della Unione Cinematografica Italiana a Roma. Vuole forse questa fotografia essere auspice di un grande avvenire della cinematografia italiana? E’ quanto ci dirà il prossimo futuro. (al cinemà, 4 novembre 1923)
Di questa visita ai teatri dell’Unione Cinematografica Italiana le biografie di Valentino offrono quasi tutte la stessa versione, senza nominare né Arturo Ambrosio, uno dei pionieri della cinematografia italiana, né Emil Jannings. Il cinema italiano era in crisi, ma è sempre in quel periodo che Giuseppe Barattolo, a capo dell’Unione Cinematografica Italiana, offre un contratto a David W. Griffith per dirigere un film in Italia.
Valentino, Ambrosio, Jannings, altra foto dello stesso incontro a Roma nel 1923
Qualche anno dopo, nel 1938, la rivista Film pubblica un articolo dove si raccontano altri particolari su questo incontro premonitore dell’«avvenire della cinematografia italiana»:
Dopo aver ultimato il Quo Vadis?, Ambrosio si accinge ad organizzare un nuovo e grandioso film: aveva letto un romanzo storico di Mussolini Claudia Particella, se ne era entusiasmato e voleva fare un film. A tale scopo, fa venire Rodolfo Valentino dall’America e Emil Jannings dalla Germania, butta giù le basi organizzative e, poiché dovrà essere un film colossale, domanda aiuti in Banca: ma questa finge di non sentire. Ambrosio insiste, prega, si appella al suo passato così ricco di successi, tenta ogni via per poter fare aprire nuovamente gli sportelli, ma non ottiene nulla. Si dispera e ne soffre tanto che finisce per ammalarsi. (Film, 19 novembre 1938)
Molti anni dopo il progetto torna ancora alla ribalta nel volume di Pietro Bianchi Bertini e le dive del cinema muto (UTET 1969), dove a pagina 71 si può vedere la prima pagina della sceneggiatura di Claudia Particella “curata da Roberto Roberti con correzioni autografe di Benito Mussolini”.
Qualche anno ancora e nel 1985 nessuno ricordava più questi particolari visto che Aldo Bernardini e Vittorio Martinelli attribuiscono la scoperta a Gian Piero Brunetta, che aveva pubblicato la stessa prima pagina della sceneggiatura nella I edizione di Storia del cinema italiano 1895-1945 (Editori Riuniti 1979):
Secondo quanto ha potuto accertare Gian Pietro Brunetta, l’episodio risaliva all’inizio del 1923 e il film non venne mai realizzato perché in un secondo tempo il duce, divenuto capo del governo, ritirò la sua approvazione, trovò incompatibile con la sua nuova immagine e funzione un progetto del genere, che venne abbandonato. Lo stesso Brunetta pubblica una fotografia del frontespizio della sceneggiatura originale del film, dove si legge chiaramente, aggiunta a penna dallo stesso Mussolini, la scritta “a cura di Leone Roberto Roberti”. E’ dunque possibile che in un primo momento il regista avesse accettato la proposta e avesse scritto il copione, e che in un secondo tempo avesse declinato l’incarico. (Roberto Roberti direttore artistico, Le Giornate del Cinema Muto 1985)
La pagina della sceneggiatura è la stessa pubblicata 10 anni prima, ma quella del volume di Bianchi è una fotografia molto nitida dell’originale. Che fine ha fatto la sceneggiatura?
Secondo Sergio Leone, figlio di Vincenzo Leone (alias Roberto Roberti, Leone Roberto Roberti, Roberto Leone Roberti), intervistato da questa che scrive nel 1980, fu lo stesso Benito Mussolini a rifiutare l’offerta… fattagli degli americani.
Claudia Particella, prima pagina della sceneggiatura curata da Roberto Roberti con correzioni autografe di Benito Mussolini, intestazione dell’Unione Cinematografica Italiana Società Anonima (Pietro Bianchi, La Bertini e le dive del cinema muto, UTET 1969)