La storia di una donna 1920

Pina Menichelli La storia di una donna 1920
La storia di una donna (Rinascimento Film 1920)

Corso Cinema, Roma, Marzo 1920

Una notte in uno ospedale della città arriva di corsa una vettura in cui c’è una donna (Pina Menichelli) moribonda, per una ferita d’arma da fuoco al petto. Un’anziana signora l’accompagna. Mentre l’agente di servizio interroga l’anziana signora, un infermiere raccoglie un libretto d’appunti caduto alla donna ferita e comincia a leggere. Quel libretto contiene la storia di una donna: di quella donna.

La storia è semplice. Mandata via a diciotto anni dal collegio perché i suoi parenti morirono senza provvedere al pagamento della retta, essa s’impiega come damigella di compagnia presso una severa contessa. Questa contessa ha un figlio di cui l’inesperta Pina diventa l’amante. La contessa li sorprende e scaccia la damigella che se ne va nel cuore della notte. Non sapendo dove andare si ferma su un sedile d’un viale alberato. Due guardie la scambiano per una vagabonda, e mentre stanno per invitarla a seguirli, un signore (Livio Pavanelli) in cui si indovina il viveur, passa. Attratto dalla singolarità della donna la salva: dichiara alle guardie che essa è con lui. E se la trascina.

Pina va. È trattata bene. Vede che il viveur ha due compagni, anche loro cortesi. Nessuno dei tre le chiede nulla con violenza. Essa s’adatta a poco a poco al loro genere di vita. I tre sono dei biscazzieri. Essa li aiuta a barare al giuoco e a spennare i merli, e la vita trascorre tranquillamente.

Il frutto del peccato con Gastone, il figlio della contessa, viene alla luce. È una bambina, che a cura dei soci è mandata da una nutrice.

Un giorno Pina incontra il suo primo amante. Ha un fremito d’odio, e sente un acuto desiderio di vendetta. Chiede aiuto ai suoi soci, e costoro si mettono a sua disposizione organizzando una persecuzione a Gastone. Essa diventa la sua ombra. Due dei soci si fingono amici del giovane seduttore, che nel frattempo si è ammogliato, e gli dicono un giorno, ridendo e scherzando, che quella donna si dice sia stata sedotta da un mascalzone di nobile, e che ha avuta una figlia… E allora Gastone vuol sapere: diventa lui l’ombra di Pina che adesso invece lo sfugge. A furia di pregarla riesce ad avere da lei un appuntamento… Ora, via, piano e numero sono immediatamente comunicati dai complici alla moglie di Gastone con una lettera anonima, e appena Gastone è entrato sua moglie viene a sorprenderlo.

Pina gli fa notare sorridendo che è la seconda volta che sono sorpresi… Ma il giovane ha perduto la testa: Segue la sua antica amante come un cane, trascura la famiglia, gioca, perde, si rovina. Una sera egli grida alla donna: Ma cosa vuoi da me? Essa ne ha pietà, lo spinge fuori dalla bisca e il giorno dopo gli scrive dicendogli che gli perdona, che i suoi amici sono gente equivoca, che partirà.

Ma i soci complici non intendono che la cosa finisca così banalmente. Essi la sorprendono mentre scrive quella lettera, la sorvegliano, e adoperano la sua bambina per ricattarla.

La moglie e la mamma di Gastone pregano un ministro loro amico di richiamare il rispettivo sposo e figlio in servizio, per distrarlo. Gastone non può rifiutarsi all’invito ministeriale. Sua Eccellenza gli affida un importante carteggio relativo a certe miniere.

I soci vogliono avere quei documenti, e quindi pregano Pina di attirare Gastone in un tranello, per potergli togliere le carte. (Qui la faccenda comincia a complicarsi). Pina acconsente perché si tratta di salvare la sua bambina, ma vuol salvare anche Gastone. Va all’appuntamento, e quando Gastone arriva gli dice: Salvati! Gastone si salva. Essa, che aveva rinchiusi i complici, tira il catenaccio e li fa uscire. Costoro vogliono vendicarsi sulla bambina. Ma Pina prende la sua rivoltella e spara. Livio Pavanelli, sul quale essa spara non è colpito, si butta a terra per ripararsi da un secondo colpo e (qui la faccenda si complica ancora di più) si ripara dietro un vaso di creta sul quale Pina inutilmente spara. La raggiunge, le salta addosso e la costringe a spararsi sul petto. Quindi fugge. L’anziana signora, che è la padrona della casa ove è avvenuto il delitto, la porta all’ospedale, dove Pina, naturalmente, muore.

Questo è un buon film, per i seguenti motivi:

  1. C’è un soggetto che è buono, sebbene ricco d’inverosimiglianze.
  2. Il soggetto è benissimo sceneggiato.
  3. La messa in scena è buona: salvo qualche punto, come il salone della contessa, il quale non diciamo sia un orrore, ma non s’è incontrato col nostro gusto.
  4. C’è un complesso di attori, oltre la Menichelli, che — specie il Pavanelli — hanno recitato benissimo.
  5. C’è una buona fotografia, ed anche una buona stampa.

Il film ha secondo noi pochi difetti secondari ed un terribile difetto principale: L’interpretazione di Pina Menichelli.

La diva è molto migliorata in quanto a divismo: certo è meno insopportabile di quanto è in quel Padrone che è stato detto La padrona delle Ferriere. Ha due o tre momenti in cui sembra davvero una donna e non una artista cinematografica. Tutto il resto è una serie di contorcimenti colvulsionari per non venire di profilo sullo schermo.

La bruttezza del profilo è una fissazione che afflige la signorina Menichelli. Noi saremmo felici di spere chi le ha detto che di profilo è tanto brutta. Certo la signorina Menichelli non può essere paragonata precisamente alla Venere di Milo o di Capua, ma non è certo una donna tale da essere obbligata a ricorrere a tanti artifici per recitare… Tanto più che la recitazione è un’arte che raggiunge la perfezione appunto quando ha raggiunta la naturalezza.

La signorina Menichelli può esser detta invece la più artificiosa attrice italiana di cinematografo.

Siccome il teatro non può esser visto che di fronte, e siccome per teatro non s’intende certo la visione di un solo personaggio, ma lo svolgersi di un’azione, è evidente, che quando due personaggi sono in scena debbono esser collocati in modo che il pubblico possa vederli entrambi e quindi il più delle volte gli attori risultano di profilo. La signorina Menichelli ci fa invece esistere a dei colloqui in cui essa volge costantemente la schiena al suo interlocutore, che non può starle davanti che altrimenti il pubblico non vedrebbe niente, e non può starle di fianco perché altrimenti la Menichellissima dovrebbe, per rispondergli, apparire di profilo.

Quando poi non può fare a meno di voltarsi, Pina Menichelli si volta con tale una furia e così completamente che il pubblico, che è stato fino a un secondo prima ossessionato dalla perenne luna piena del volto Menichelliano passa immediatamente in luna nuova senza la logica successione dell’ultimo quarto… Ciò che stanca gli occhi e dà l’idea di trovarsi di fronte a una donna serpe, affetta da istero-epilessia.

Menichelli a parte La Storia di una donna è una bella pellicola, e con La contessa Sara forma la coppia dei migliori lavori dell’U.C.I.

(immagine e testo archivio in penombra)

Letteratura cinematografica: Dopo il peccato romanzo di Amleto Palermi

Dopo il peccato romanzo di Amleto Palermi

Dicembre 1920

Una premessa innanzi tutto, poiché devo rendere nota una considerazione.

Salvo le dovute eccezioni, i nostri autori cinematografici non sono, che io sappia, giornalisti, novellieri, romanzieri, commediografi, poeti. Parte di essi hanno accoppiato alla loro prima virtù di direttore artistico, quella di soggettista. La loro più o meno valentia nella mise en scène e nell’ideare scenari e copioni, non esclude però che scrivere ed ampliare un soggetto, malgrado la buona volontà e la maggiore applicazione possibile, riesca una fatica non tanto apprezzabile. Voglio dire semplicemente che, dovendo una persona leggere uno scritto altrui e giudicarlo, badando al contenuto e alla forma, ha il dovere di tener conto della capacità dell’individuo, e di tutti quegli elementi che lo riguardano in rapporto a l’opera creata. Una severità maggiore o minore, a seconda dei casi, dovrebbe quindi essere in noi, ma riteniamo invece più utile, con un giusto equilibro di esposizione, di dare sempre un accenno preciso ed anche dettagliato — quando il lavoro l’esiga — delle mende di cui potremo renderci conto.

Amleto Palermi – Dopo il peccato

Il contenuto di Dopo il peccato è d’un genere tutto diverso da Il bacio di Cirano. Questo, d’una trama semplice e in certo qual molto studiata; quello, pieno di passionalità. incisivo e forte, pure mostrando una sincerità di narrazione anche in parti delicate e semplici.

Don Giovanni il Siciliano, Anna “l’americana”, Don Gennarino Turrò, Mariuccia, sono i quattro principali protagonisti di questo dramma. Ognuno d’essi è un “tipo” dai caratteri molto vivi, e nella vicenda che è stata svolta con lodevoli criteri, emergono, in special modo, il primo e il penultimo. La figura di Don Giovanni è una di quelle che difficilmente si dimenticano: geloso e irritabile, rude e fiero, pieno di tenacia, di scatti, di effusione, interessa al lettore per tutto il racconto. Don Gennarino, sfaccendato e fanfarone, sfruttatore e galante, si cattiva l’attenzione, più che altro, per le sue qualità. Anna e Mariuccia sono disegnate con tratti abbastanza egregi, ma il Palermi doveva dedicare un più ampio studio alla prima, psicologico essenzialmente, poiché è essa che origina tutto il tumulto di passioni nell’animo di Don Giovanni, è essa che costituisce un cardine principale del soggetto. L’autore invece, si è soffermato a parlare dei suoi dolori, delle sue angoscie, de’ suoi pentimenti, ma così, leggermente, senza penetrare a fondo nell’anima dell’eroina. Quel che noi vediamo nel romanzo, è appena una parvenza; abbiamo intesa tutta la complessità delle pene e degli affetti solamente dalla maschera nobile ed espressiva di Bella Starace Sainati, ché fortuna ha voluto di poter casualmente assistere alla proiezione del film.

Un personaggio secondario è Dummi, la cui presenza si rende necessaria altro che per determinare lo scioglimento del dramma. Di cattivo effetto è il sacrificio del povero idiota, tanto più che Giovanni lo tratta con una maniera villana. Questo episodio, che costituisce parte della fine, getta una luce piuttosto antipatica su le persone, e rende meno buona l’ultima impressione.

Dopo il peccato ha molti punti di contatto col soggetto Sole di Pasquale Parisi. Solo che in questo, la figura dello scemo era l’oggetto principale del film, mentre nel primo, pur essendo necessario al termine lieto, appare in ultimo grado.

Dal punto di vista letterario, questo scritto ha tutti i caratteri della novella. È svolto in forma piuttosto piana, privo però d’uno studio profondo, d’una analisi completa, d’una stringatezza d’espressione. Lo stile, qua e là, è anche piuttosto misero; e infelici sono alcune significazioni di concetti. È doveroso notare alcuni brani che rivelano nell’autore egregie doti d’osservatore, non disgiunte da una certa abilità descrittiva, come pure, termini d’efficacia straordinaria. Sentite come in un breve giro di parole, egli delinea l’opera di un ciarlatano: « Poi celebrò le meraviglie dei cosmetici ».

Dopo il peccato ha acquistato nel film uno sviluppo agile e una vicenda serrata. La recitazione di tutti gli attori ha data una maggior coloritura ai protagonisti e una intonazione piena d’umanità, riuscendo a porre argine a varie manchevolezze che nel dramma scritto è dato di notare.

Carlo M. Guastadini
(immagine e testo archivio in penombra)

Padre Sergio

Ivan Mosjoukine (Mozhukhin) in "Padre Sergio" di Yakov Protazanov 1918
Ivan Mosjoukine (Mozhukhin) in “Padre Sergio” di Yakov Protazanov 1918

Roma, settembre 1920

Si è fatto un gran parlare in questi giorni del primo film russo sparso in Italia dopo la guerra. Veramente ci è chi mette in dubbio che Padre Sergio sia stato eseguito in Russia.

Oramai, con i progressi e i mezzi di cui dispone  la cinematografia, qualunque  trucco è possibile. Ricordo, ad esempio, che qualche esterno… abruzzese di Ivan il terribile poteva benissimo sostituire le desolate lande russe.

Io però credo che Padre Sergio sia stato veramente girato in Russia. Ad ogni modo siamo in presenza di una bella opera d’arte, non tanto per il contenuto filosofico e spirituale, quanto per l’interpretazione. Leone Tolstoi ha messo nel Padre Sergio, come negli altri suoi romanzi, una parte di sé e della sua vita. Il principe Kastatsky, che fugge e chiude la sua brillante carriera in un convento, sintetizza l’ardente aspirazione di Leone Tolstoi. Tutti ricordano infatti la fuga del vegliardo dalla famiglia e la sua tragica fine.

Per tornare alla interpretazione, dicevamo che l’attore che impersona il protagonista — e di cui disgraziatamente non sappiamo il nome — è semplicemente meraviglioso. Bisogna vedere le successive truccature di questo artista  per conoscere che cosa siano intuito e coscienza artistica. Giovane, uomo maturo, vecchio, nei vari gradi della vecchiaia specialmente, o brillante ufficiale o chino il capo canuto nella pace del chiostro, il principe Kastatsky è un prodigio di realtà e umanità dolorante. C’è un po’ delle Tentazioni di Sant’Antonio in questo lavoro, c’è molto dell’anima slava, irrequieta sognatrice o mistica, ma c’è specialmente Tolstoi, il gigante russo, dalla mente sovente facciata di fredda tenebra.

Quanta differenza dalla limpida serenità di qualche gigante latino, ed esempio Balzac.

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Padre Sergio è un film russo che ha avuto un grande successo.

Il film non contiene che una forte interpretazione di un attore che interpreta la parte del protagonista. Il soggetto, tratto dal romanzo di Tolstoi, è quello che è quel romanzo di Tolstoi, e cioè una cosa lunga, illogica, noiosa, monotona, assolutamente priva di ogni poesia, riboccante d’un misticismo perfettamente siberiano, in cui si sente la steppa sempre uguale e uniforme, sempre eccessiva in tutte le sue forme, gelata d’inverno, ardente d’estate.

È arte che va compresa dovunque fuor che in Italia, dove la varietà della fisionomia del paesaggio influisce sullo spirito nostro rendendolo più vivace, più eclettico, meno monotono.

Con tutto ciò il film ha avuto un grande successo, ed il concorso del pubblico è bastato a far dire a molti cinematografisti, che quello è buon cinematografo.

Il pubblico invece è andato a veder Padre Sergio prima perché era una pellicola russa, poi perché c’erano dei cori, poi perché nel lavoro non c’era nessuna “faccia conosciuta”. Più: il misticismo è una potente calamita e molti ne sono attratti.

Non è nostra intenzione stroncare il film, ne dirne male ad ogni costo. Vogliamo solo dire che in Padre Sergio non c’è niente di straordinario, che l’attore è un ottimo attore, ma che noi abbiamo in Italia Alfonso Cassini ed altri che potrebbero far quanto lui e forse di più, e che se la cinematografia italiana deve dichiarar fallimento ciò non sarà certo per questa spasmodica masturbazione di Leone Tolstoi.

La fotografia è bella in molti punti. Ottima la messa in scena.