Sjöström en Amérique

Victor Sjöström
Victor Sjöström (Seastrom), New York 1924 (Blue Book, Internet Archive – Media History Digital Library)

Los Angeles, Mars 1924

Lorsqu’on sut que Victor Seastrom¹ allait venir faire des films en Amérique, bien des amateurs de cinéma poussèrent un soupir de satisfaction. En Californie même, en plein territoire cinématographique national, il y eut des gens qui s’écrièrent:

— Enfin, l’art cinématographique va faire des progrès. On s’est aperçu que la perfection mécanique n’était pas tout et qu’il fallait une âme au drame de l’écran. On a appelé un artiste et un penseur, ayons confiance.

On attendait donc à Culver City — où Seastrom devait travailler — avec une grande impatience les débuts de cet homme qui arrivait précédé d’une grande réputation.

Et le fait est que, dès qu’il parut, Seastrom étonna son monde.

Il commença par déclarer qu’il voulait choisir lui-même sa propre histoire et ses artistes.

Cela ne se passe pas ordinairement ainsi an Amérique. Le metteur en scène est obligé de se servir des artistes que sa compagnie  a engagés par contrat et la plupart du temps de tourner un sujet qui a été choisi en dehors de lui.

Victor Seastrom chercha donc un scénario, puis un titre pour son scénario, le découpa, le remania, et s’occupa enfin de son principal interprète.

Ce fut d’abord Joseph Schildkraut, le héros des Deux Orphelines, de Griffith, qu’il remarqua. Il le fit venir, l’engagea pour un mois et tourna avec lui plusieurs scènes de son film.

Mais quinze jours ne s’étaient pas écoulés, que Schildkraut s’apercevant qu’il ne faisait pas l’affaire de Seastrom, non pas leurs rapports eussent manqué de cordialité, mais parce que l’artiste ne concevait pas le rôle comme Seastrom voulait.

L’engagement fut donc rompu d’un commun accord et Conrad Nagel prit la place de Schildkraut.

Seastrom eut quelques difficultés à s’acclimatèrent Amérique. Les méthodes de travail y sont extrêmement différentes des méthodes suédoises.

En Suède on recherche surtout la noblesse et la perfection du sujet, on établit d’une façon définitive avant de le tourner. En Amérique on fait pour ainsi dire tout en même temps.

Seastrom m’expliqua lui-même toutes ces différences un matin que je le rencontrai à la gare de Los Angeles.

— Le cinéma tourne, dit-il, dans un cercle vicieux. Le producteur doit vendre ses films à tout prix. S’ils sont artistiques, il ne les vend pas. Le public — et particulièrement le public américain — veut toujours les mêmes histoires. Or le marché étranger ne paie pas assez. C’est pourquoi les producteurs américains font en série des films qui leur rapporteront de l’argent dans leur propre pays.

Seastrom a cependant essayé de mettre de l’art dans son film, et dans le studio il a produit une grande impression.

Son calme et son charme lui ont acquis les sympathies de tous ceux avec qui il travaillait. Parce qu’il se conduisait en gentleman, il étonnait tout le monde.

Un jour que je le regardais tourner un intérieur, je saisis tout ce qui le séparait du type ordinaire de ce que l’on appelle à Los Angeles: L’homme des « pictures ». Seastrom tournait une scène qui se passait au milieu d’un orage épouvantable. C’était, comme je vous l’ai dit, un intérieur. mais la tempête battait les murs supposés du cottage.

Malgré les terribles ronflements des hélices d’avion qui agitaient l’air, les glissements de l’eau chassée brutalement, la voix de Seastrom ne s’éleva pas une seule fois d’un demi-ton.

Il allait par le décor, parlant paisiblement aux artistes. Il fit répéter trois fois, donna deux ou trois conseils au cameraman et l’on tourna.

Au même moment, et de l’autre bout du studio venaient des hurlements terrifiants, accompagnés d’un piétinement ininterrompu et de chute d’objets pesants.

J’allais de ce côté m’attendant à voir la reconstruction d’une scène étonnamment violente, un meurtre ou un pillage.

Mais lorsque je fus sur place, je trouvai tout simplement son metteur en scène armé d’un puissant  mégaphone, occupé… à prendre au premier plan un vitrail de cathédrale.

Les hurlements du metteur en scène ne dirigeaient que la lumière et la photographie!

Et voilà je pense la différence qui existe entre Seastrom et le type le plus courant de directeur américain.

Quant aux résultats que produit cette différence. Le film de Seastrom nous le montrera probablement.

F. A. Tilly
(Mon Ciné)

(1) Les Américains ont changé le nom de Sjöström en Seastrom.

Victor Sjöström ricorda Mauritz Stiller

Mauritz Stiller (Helsinki 17 luglio 1883 - Stoccolma 18 novembre 1928)
Mauritz Stiller (Helsinki 17 luglio 1883 – Stoccolma 18 novembre 1928)

Sono certo che né lui né io pensammo mai, in quei giorni lontani, che avremmo fatto qualche cosa degna di essere ricordata molti anni più tardi. Iniziammo a lavorare in un periodo fortunato per le nostre ambizioni e che ci dette l’opportunità di uscire dal campo delle vecchie idee predominanti a quel tempo e che era ritenuto esprimessero il gusto del pubblico. Avemmo anche la fortuna di lavorare per una casa di produzione il cui direttore, Charles Magnusson, era un uomo tanto saggio da capire che la migliore maniera di guidarci, Stiller e me, era quella di non guidarci affatto e di lasciarci fare tutto quello che volevamo e ritenevamo giusto.

In quale parte del mondo un regista lavora oggi in tali condizioni? Ma quelli erano tempi in cui il direttore della casa di produzione conosceva appena il titolo del film a cui stavamo lavorando. E il bilancio o le discussioni sul bilancio non esistevano affatto.

Quante volte mi sono chiesto: se ora Stiller ed io fossimo giovani o per lo meno dell’età che avevamo 25 o 30 anni fa, avremmo lo stesso spirito energico, avido di fare sempre qualcosa di diverso, di nuovo? Una cosa è certa: che non ci sarebbe mai permesso di realizzare il genere di film che noi volevamo e, in ogni caso, non ci sarebbe mai concessa quella libertà a cui eravamo abituati.

E un’altra domanda mi pongo spesso: saremmo capaci di competere con i grandi registi di adesso? Io non credo che potrei, Stiller sì. Sotto un certo aspetto era molto “moderno”. Aveva un acuto “senso dello spettacolo” che non mancherebbe di impressionare il pubblico anche oggi. Era tanto libero che modificava i soggetti per i suoi film come più gli piaceva. Quasi tutti i nostri film erano tratti da romanzi o da lavori teatrali e, mentre io avevo un timoroso rispetto per l’autore, pensando che egli dovesse conoscere perfettamente bene il significato del suo lavoro, Stiller era così moderno da permettersi qualsiasi cambiamento che potesse ottenere un effetto migliore, senza alcun riguardo per quello che l’autore aveva scritto.

Eravamo grandi amici. E il mio pensiero va a lui con profonda gratitudine ricordando quanto fu buono con me in un momento particolarmente critico della mia vita in cui ebbi molto bisogno di aiuto. Stiller era più giovane di me di quattro anni. Sono 25 anni ch’egli è morto, a soli 45 anni. Molto tempo è trascorso, ma il ricordo che serbo di lui è sempre vivo, tanto originale e insolita era la sua figura. Riuniva in sé diverse personalità. Non esitava mai a dire la verità ed esprimeva francamente alla gente quello che pensava.

Quando lavorava perdeva spesso la calma, non sapeva trattenersi e allora diceva cose che offendevano ma che erano anche terribilmente buffe. Per quanto non lo sembrassero alla povera vittima che ne era oggetto. Nessuno però gli serbava rancore perché era subito pronto a fare ammenda. Era un uomo retto e di gran cuore e io sono l’unico che possa assicurarlo. Ma basterebbe  parlare di lui con qualcuno degli antichi compagni di lavoro degli stabilimenti di Lidingö. Alcuni lavorano negli studi della Svensk Filmindustri di Rasunda, fuori Stoccolma, da molti anni; uno di loro presta la sua opera dal 1912. Gente del vecchio tempo! Se si parla con qualcuno di questi vecchi cari compagni di Mauritz Stiller, una luce si accende nei loro occhi e ne illumina il viso! E sorridono ricordando quei giorni lieti e tutte le sue stravaganze. Ve ne racconterò una ch’essi rammentano spesso fra loro. Venendo un giorno nello studio, trovò qualcosa nell’allestimento che non gli piaceva. L’operaio disse timidamente: “Ma io pensavo…”, ma fu immediatamente interrotto da Stiller: “Pensavo, pensavo! Voi non dovette pensare! Ci sono io per quello”. Pochi giorni dopo trovò ancora qualcosa che non gli andava e cominciò a gridare contro lo stesso operaio e come questi gli rispose: “Ma voi mi avete detto…”, Stiller urlò: “Ma non potete pensare anche voi qualche volta!”.

Malgrado la nostra sincera amicizia, non credo di essere riuscito a conoscerlo profondamente. E come me, nessun altro ci riuscì. Eppure la nostra amicizia divenne sempre più forte con il passare degli anni. E raggiunse il massimo negli ultimi giorni della sua vita.

Victor Sjöström

Il Monastero di Sandomir – 1922

Tore Svennberg, Il Monastero di Sandomir
Tore Svennberg (Il Monastero di Sandomir)

« Il Monastero di Sandomir, capolavoro cinematografico della Svenka di Stoccolma, messo in scena da Victor Sjostrom, interpretato dalla celebre attrice svedese Tora Teje. Altri interpreti Tore Svennberg e Richard Lund.

È la storia fosca di una nobile famiglia polacca distrutta dalla colpa d’una donna bellissima e simulatrice. Amore, tradimento, finzione, vendetta, si succedono attraverso il gioco serrato degli attori, che rappresentano i personaggi del dramma con verità umana e con tragica cupezza. L’espiazione mistica del marito, che atrocemente offeso nell’onore e negli affetti, s’era vendicato senza pietà, costituisce un episodio commoventissimo, pieno di significato spirituale e di bellezza scenografica. Il Monastero di Sandomir, sorto sulle rovine fumanti del Castello in cui fu consumato il terribile dramma, chiude nelle sue mura austere l’uomo che à offerta a Dio la sua triste vita spezzata, in olocausto del suo peccato di sangue. »
(dalla pubblicità del Sindacato per il Libero Commercio Cinematografico, Roma 1922)

« A dispetto dei costumi benelliani, Klostret i Sendomir (1919) è, in certo modo, l’opera più sperimentale di Sjöström. Quasi tutto girato in interni, il film, ambientato nel secolo decimottavo, si avvale di un’illuminazione fortemente effettata. Le linee sinuose della tragedia, cupamente evocata dal monaco (l’ex-castellano Starensky, uccisore della moglie Elga, bella e infedele), si intrecciano con quelle, ancor meno rettilinee, dello stile. È evidente che Sjöström, influenzato dalla messinscena espressionista, tenta una difficile meditazione tra il chiaroscuro di ascendenza fiamminga e la lezione di Munch. In pratica si va — come gusto — dalle illustrazioni per romanzi storici all’eclettismo del secondo Reinhardt. »
Francesco Savio
(La parola e il silenzio, il film scandinavo dalle origini al 1954, Mostra di Venezia 1964)