Corriere Napoletano

M.I.F.I. Monopolio Italiano Films Internazionali

Napoli, Novembre 1924

Nel pomeriggio del 21 c. m., verso le ore 15, un violentissimo incendio si è sviluppato dell’ufficio di noleggio del commendatore Francesco Razzi (M.I.F.I.), ufficio sito in via S. Brigida 68 e prospiciente nella Galleria Umberto I°.

In breve il divampare delle fiamme ha assunto proporzioni spaventose, tale da render necessario di chiudere con cordoni di truppe tutti gli accessi alla Galleria ed a via S. Brigida.

Dato il fortissimo quantitativo di films accumulate nell’ufficio della M.I.F.I., che è una delle più importanti ditte di noleggio del Meridione d’Italia, l’incendio si è domato solo verso le ore 18, dopo che il fuoco aveva distrutto completamente tutto l’ufficio Razzi e tutta la verticale dei piani ad esso superiore fino al 5°.

Le scale dell’immobile e l’ascensore, tutto è completamente distrutto: i danni al solo ufficio della M.I.F.I., ascendono, secondo le dichiarazioni del sig. Rodolfo Razzi, ad oltre due milioni; senza tener conto dei gravissimi danni che l’incendio ha arrecato allo stabile segnato col n. 68 ed alla stessa Galleria Umberto I°.

L’ufficio della M.I.F.I. era assicurato per sole L. 300 mila.

A quel che pare, sono andate distrutte le copie di importantissime films recentemente acquistate per la stagione invernale del Modernissimo, locale gestito dallo stesso proprietario dell’ufficio distrutto, comm. Razzi.

Sembra sia andata perduta la film de lo Sceicco, che prossimamente doveva andare in programmazione al Modernissimo; pare anche distrutta la film Maschio e femmina, con la quale si era inaugurata la stagione invernale al detto cinema.

L’incendio, secondo le dichiarazioni del magazziniere, sig. Angelo Scippa, pare dovuto ad un corto circuito; le autorità di P. S. non accettano però questa versione e ritengono che lo Scippa fumasse mentre guardava una pellicola.

Di fronte alla sciagura che ha colpito il comm. Razzi, noi non troviamo parole per esprimergli tutte le vivissime condoglianze nostre, e quelle dell’intera classe cinematografica partenopea.

Abbiamo avuto occasione di parlare col sig. Vincenzo Canò, persona competente in materia cinematografica, dato che da molti anni la tratta, il quale ci tiene a rettificare quanto affermava l’avv. Silvio del Buono in una intervista concessa al giornale Il Mattino di questa nostra città.

Diceva il Del Buono che la pellicola è materia infiammabilissima e soggetta, in estate, a combustione spontanea, oltreché al depositare —nella stessa stagione — nei propri scapoli di latta una polverina gialla, dall’evo. Del Bono definita: « uno dei più potenti esplosivi ».

Che la pellicola sia materia infiammabilissima — ci diceva il Canò — è cosa notoria; ma che poi, depositi negli scatole qualunque specie di polvere è cosa che, né a lui né ad altri cinematografasti, si è mai verificato. Come anche il Canò esclude la combustione spontanea delle pellicole quando esse siano chiuse — come di rigore — negli scatoli di latta.

Citando anche il fatto — e questo l’avvocato Del Buono dovrebbe ricordarlo — che per un lungo periodo di tempo le pellicole venivano spedite in scatole di cartone e per pacco postale con imballo di carta, senza che nessun caso di combustione spontanea fosse avvenuto durante i lunghi viaggi.

Gli strascichi dell’incendio in Galleria Umberto I° minacciano di assumere proporzioni chilometriche. Infatti, in questi giorni, le competenti autorità si son date un gran da fare, formulando un apposito regolamento per gli uffici di noleggio films oltre alla prescrizione di gran numero di misure precauzionali.

Tutto ciò va benissimo, e noi plaudiamo con entusiasmo l’opera doverosa che si va oggi svolgendo a tutela della pubblica incolumità; non senza far notare però che tutto ciò avrebbe dovuto esser fatto circa due anni or sono, allorché s’incendiò l’ufficio noleggio dei fratelli Mascia, nella stessa Galleria Umberto.

Non vorremmo però che nella misure restrittive e precauzionali si aggiungesse delle esagerazioni, rendendo difficile — se non impossibile — la vita agli uffici di noleggio films.

(immagine e testo archivio in penombra)

Torino-Roma e viceversa

Case editrici di films in Italia, Maggio 1924
Case Editrici di Films in Italia, Maggio 1924

Maggio 1924

Quando il “direttissimo” si lascia alle spalle fumiganti e fragorose la vasta e ancor assonnata campagna romana per insinuarsi decisamente nel cuore di Termini, un “qualche cosa” di luccicante vi abbaglia gli occhi. È il tetto a vetri di uno dei… troppi teatri di posa. Di quelli, naturalmente, che riposano da oltre un biennio. Par che vi dica: « ce’ son sempre al mondo… non ti scordar di me! ».
Ma voi forzatamente dovete tirar di… lungo, e vi mancano il tempo e il fiato per ricambiare il festoso saluto.
Però, toccato il sacro suolo, e più particolarmente messo il piede nella Galleria di Piazza Colonna (il rendez-vous cinematografico romano), vi verrà spontanea e naturale, come è venuta a me, questa domanda: il teatro l’ho visto. Come stanno i “burattini”?
Coro di vocine malinconiche: « Come vuoi che stiamo!…» — Quanto a dire che stanno sempre malissimo.

Le informazioni di carattere cronistorico bisognerà pertanto attingerle altrove. Fra via Marghera, ch’è sempre pulitina e silenziosa; la sede del Sindacato Fascista, che è sempre frequentata e rumorosa, e qualche altro “punto di riferimento”, che per amore di brevità ometto di designare.
Queste informazioni da me raccolte con particolare amore di ricerca e con libero spirito di valutazione, potrebbero definirsi tanto più abbondanti quanto più controverse.

C’è chi vi dice semplicemente, con quel semplicismo da scritturato: « Si lavora… io perlomeno ho sempre lavorato! Se la rinascita cinematografica è questa, io sono rinatissimo ».
C’è chi, al contrario, mostra quasi d’ignorare che esista e perfino che sia esistita la cinematografia, anche se, dopo la chiusura del suo stabilimento, non ha concluso altro nel gran mondo del lavoro.
C’è poi chi vi sibilla un sì che pare un fischio e che non si sa bene se diretto all’industria, all’arte o al commercio della “decima musa”, come si ostina a chiamarla il titolato e buon amico Malpassuti. Titolato anche perché ormai egli è universalmente conosciuto come il più garbato e suggestivo fucinatore di Titoli.
D’altronde, questa dei Titoli o, per essere migliori linguisti, della Titolazione, è divenuta una professione cinematografica di non dubbia importanza e di non dubbio reddito. E ad essa vi si sono dedicati dei già reputatissimi letterati e metteurs-en-scène.
Traduttori e Titoleggiatori trionfano in Roma Pellicolare.
E si capisce anche il perché. C’è tutta una produzione estera da mandare sugli schermi italici, ed almeno quella dei titoli è una fatica che gli importatori non sanno compiere nei loro ateliers.
Le famose briciole del pasto pantagruelico. Accontentiamocene.

Ma non tutti i fu direttori artistici del bel tempo andato hanno così larga dimestichezza colla lingua di Dante da poter essere assunti in servizio letterario. E questi (non pochi per loro fortuna) hanno trovato il loro articolo supplementare. Eccellente anche questo. Già. Tagliano le pellicole (sempre estere e perfino qualcuna quasi italiana) per renderle buone almeno come metraggio.
Sono i “mastri sartori” del nastro di Kodak, o magari quello di Agfa, e perfino quello di Tensi.
Tagliano giù a rotta di collo. Un po’ per gusto, un altro po’ per esercitare una muta vendetta, ed anche per quella benedetta abitudine cinematografica di… tagliare i panni addosso a qualcuno.

In ogni modo “sulla breccia” (quella impavida) c’è ancora una modesta ma non meno robusta scorta.

C’è Augusto Genina (il maestro) con un soggetto quasi suo e due attori distintissimi (Ruggero Ruggeri e Linda Moglia).
C’è Carmine Gallone con la gentile signora Soava e qualche altro buon nome d’arte.
C’è Amleto Palermi che non fa più parte del Consorzio dei Direttori Associati, e ch’è ritornato (intelligente figlio prodigo) a fianco di Amato e Pina Menichelli a rieditare Gli ultimi giorni di Pompei.

Poi ci sono (qui ci vuole il plurale) gli americani.

In incognito, Griffith, ch’è stato perfino ossequiato dal banchiere Fenoglio; liberamente, Mister Edward (quello che diresse l’anno scorso il Nerone della Fontana di Trevi), insediatosi alla Cines, dove si sta costruendo un enorme teatro degno di lasciar filmare Ben-Hur, il papà del Quo Vadis?
Mister Edward è dunque, ancora una volta, “l’ospite desiderato”, ma al suo fianco direttoriale, oltre Diego Angeli e il conte Mannini, v’è “l’ospite desideratissimo”. C’est à dire: Silvano Balboni, il buon Silvano. Egli dirige il reparto tecnico e… à tout seigneur tout honneur.

C’è chi dirige… invano i suoi passi alla nebulosa U. C. I. sulla di cui porta un bello spirito scrisse:
“Dalla padella alla brace”
ma lo scrisse col gesso. E l’eccellente Judicone ha fatto in fretta se non in tempo per cancellare l’irritante adagio.

Effettivamente l’unico motto che — ad oggi — potrebbe essere tracciato con efficacia sul frontespizio della sede Unionistica di via Marghera sarebbe l’addentrarsi nei labirinti del “cosa si fa”, che costituiscono ancora una delle fasi programmatiche dell’U. C. I.
Le porte ed anche le finestre sono spalancate; ma le idee, i propositi, le intenzioni del nuovo Consiglio d’amministrazione permangono ostinatamente chiusi.
— Dov’è il comm. Ambrosio?
— È dentro.
— Come? Ed il comm. Ravasco?
— Dentro anche lui.
— Ma come? E per quale reato?
— Ma quale reato! Sono dentro… in camera di consiglio, che ponzano…
— Ah! Ah! meno male!
La morale della favola è poi questa. Che ci sia, il nuovo Consiglio, ognuno lo dice. Cosa faccia nessuno lo sa.
« Si lavorerà a Roma o a Torino? Andrà o non andrà Pastrone alla direzione artistica?Ma! chi ‘o sape!

L’unica cosa che si sa è questa: che l’on. Giuseppe Barattolo se n’è andato a Nizza Mare… sulla Côte d’Azur, in piena serenità di spirito e nell’affettuosa compagnia della sua famiglia. E quando  vi si dà questa notizia c’è sempre dentro un alito di nostalgia. Nostalgia per l’incantatore o per il suo tempo?
Ecco il problema! Tanto più Amletico, quanto meno simpatico.

E poiché nel nostro viaggio Torino-Roma e viceversa abbiamo voluto soltanto parlare di cose simpatiche, facciamo per ora macchina indietro e — scesi nella solita terra dei sogni e delle cabale — attendiamo il direttissimo bis che ci porti ad una stazione di realtà e magari di realizzazione.

Nostra Signora di Parigi al Cinema Ambrosio

Notre Dame de Paris al Cinema Ambrosio di Torino 1924

Il romanzo victorugiano, noto in Italia attraverso una disastrosa tradizione di Ernesto Daquanno, ha acquistato oggi, mercé quel formidabile mezzo di propaganda che è il cinematografo, una popolarità di gran lunga superiore a quella che le edizioni letterarie gli avevano procurato fra di noi.

Il fenomeno non è nuovo. Particolarmente trattandosi di romanzo precipuamente fondato su principi filosofici, Nostra Signora era conosciuto molto superficialmente da grosso del pubblico, abituato a cernere in tutte le opere letterarie il “fatto” in sé stesso, spogliato, per ragioni di sensibilità, di tutta la sostanza psicologica. Il popolo, nella maggior parte dei casi, rifugge dalla analisi minuta dei fatti. Egli si accontenta dell’azione dinamica e non cerca di approfondire le ragioni determinanti.

Nostra Signora è un dramma essenzialmente filosofico. Vi è in esso un studio accurato e profondo per la ricerca intima della ragione di essere d’ognuno dei personaggi che si agitano sulla scena, mossi da una fatalità implacabile che li costringe ad essere sé stessi.

Victor Hugo ama l’analisi; è sedotto dai particolari; è interessato dal dettaglio.

Non è da stupire se il popolo leggendo i suoi romanzi salta a più pari interi capitoli descrittivi, alla narrazione dei quali preferisce la narrazione del fatto, che è l’unica cosa che lo interessi.

Se si interrogassero i lettori dei romanzi victorugiani, l’ottanta per cento di essi narrerebbero la “storia” senza curarsi di rilevare il contenuto spirituale del libro, senza analizzare la bellezza letteraria, paghi di un’azione clamorosa o sentimentale che riesce a suscitar nel loro spirito emozioni ricercate.

Nostra Signora di Parigi, così come la si conosce letterariamente, è stata portata con lievi modifiche, nel sottile nastro di celluloide impressionata, attraverso una realizzazione plastica notevole per la forma decisa della messa in scena e della interpretazione.

Tutto quanto di emotivo, di sensazionale, di sentimentale, vi è nel contenuto drammatico del lavoro, è stato mirabilmente inquadrato in un’azione serrata, dinamica e profondamente incisiva.

Non è il caso di ripetere qui la storia di Nostra Signora.

Si può soltanto accennare alla grandiosa ricostruzione degli angoli più pittoreschi di Parigi nell’anno 1482, è, soprattutto, alla costruzione fedele del monumento meraviglioso che è la grandiosa cattedrale della capitale francese.

L’interpretazione rivela da parte di tutti gli attori e particolarmente dei direttori di scena, uno studio accurato ed un’indagine minuziosa di tutti gli elementi fisici e psicologici che, approssimativamente, devono essere stati secoli addietro negli individui che la penna del grande scomparso rievocò nella sua opera immortale.

La tirannia dello spazio non consente un esame minuto di tutta l’opera, che vorremmo seguire passo a passo; tuttavia ci sia consentito conchiudere che lo sforzo titanico compiuto dalla Universal rappresenta il massimo di quanto sia lecito attendersi oggi dal cinematografo.

Per la cronaca aggiungiamo che al Cinema Ambrosio di Torino, Nostra Signora ha ottenuto un successo favoloso.

Argo.
Novembre 1924