La Principessa – Caesar Film 1917

La ballerina Alfonsina Battaglia (Leda Gys), La Principessa, Caesar Film 1917
La ballerina Alfonsina Battaglia (Leda Gys), La Principessa, Caesar Film 1917

La brillantissima commedia cinematografica, che la Caesar Film ha editata è tratta dalla celebre novella omonima che Roberto Bracco scrisse circa dieci anni fa, e che ottenne un clamoroso successo e fu tradotta in tutte le lingue¹.

In questa adattamento per lo schermo, l’autore ha fatto degli opportuni mutamenti, facendo, fra l’altro, sparire tutto ciò che potesse sembrare salace, e sottolineando maggiormente, per la visione cinematografica, tutto quello che vi era di più artistico e di più elegante.

La commedia è tramata sopra un delizioso, originalissimo caso di straordinaria rassomiglianza tra due donne; l’una gran dama autentica, una principessa; l’altra una piccola bohémienne, che si dà al caffè concerto, scritturandosi come danseuse. La gran dama, di una impeccabile severità di abitudini, resiste agli assalti galanti dei suoi ammiratori, rispondendo il tal modo, all’assoluta fiducia che in lei ripone suo marito, uomo anch’egli di grande serietà e probità.

Il debutto al caffè concerto della piccola bohémienne rivela la strana rassomiglianza ad una folla di spettatori, ai quali la bella dama così altolocata non è ignota. Naturalmente tra costoro sono gl’inutili corteggiatori della Principessa, i quali maggiormente possono constatare come la rassomiglianza sia perfetta: le due donne sembrano una persona sola. Inconsapevolmente la danzatrice sfrutta questo successo, poiché i mosconi che ronzano attorno alla bella dama, trovano in colei quelle grazie e quei sorrisi che incoraggiano la loro galanteria, e che erano così ostinatamente negati dalla Principessa.

Questo così intenzionale successo della piccola danzatrice, è risaputo dal marito della gran dama, il quale si sente offeso dalla pubblica constatazione della rassomiglianza d’una donnina di caffè concerto con sua moglie, ed ancor più dal fatto che gli amici di casa si consolino dei loro fiaschi, corteggiando col miglior risultato la danzatrice. Uno solo dei corteggiatori, il più innamorato ed il più intraprendente, resta fedele alla bella Principessa, disdegnando la volgare sostituzione. Ed è costui che informa, per renderla gelosa, la dama come suo marito la tradisca, avendo sequestrata quasi la piccola danzatrice. In effetti, il principe, perché quello che agli occhi suoi pare uno scandalo, cessi, con molti sacrifici finanziari ottiene dalla donna che si ritiri dal palcoscenico e metta alla porta la schiera degl’intraprendenti. Egli stesso sorveglia perché la consegna sia mantenuta, ed è così che sua moglie riesce a sorprenderlo in casa della danzatrice.

La principessa Sallustio (Leda Gys), La Principessa, Caesar Film 1917
La principessa Sallustio (Leda Gys), La Principessa, Caesar Film 1917

La Principessa, convinta di esse stata tradita, decide di divorziare, sorda ad ogni giustificazione. Il divorzio avviene in Svizzera, e la bellissima commedia termina con due matrimoni: quello del giovane innamorato con la Principessa, e l’altro del principe con la danzatrice.

Leda Gys nella doppia interpretazione della parte della Principessa e della Vice-Principessa, è stata insuperabile.

La squisita attrice ha dato ai personaggi della commedia quel brio, quella grazia, quella misura che ne hanno fatto un vero capolavoro di questo film, cui la Caesar ha dato l’impronta della più grande eleganza e signorilità, con un decoro scenico quale meritava il magnifico lavoro.

Accanto a Leda Gys, ha trionfato Camillo De Riso, nella parte del principe, attore cui ogni lode è superflua.

La Principessa può dirsi realmente la prima commedia cinematografica italiana che possa rivaleggiare con la migliore produzione del genere che ci viene dall’estero, e segna un trionfo di più all’attivo della Caesar Film.
(dalla brochure del film)

Antefatto

Nel mese di giugno 1916, Roberto Bracco si trovava per affari a Roma, all’Hotel Continentale. Il suo grande amico Lucio d’Ambra, allora direttore artistico della nuova casa cinematografica Medusa Film, fondata dal Marchese di Bugnano, si recò da Bracco e gli disse:

— Il Marchese di Bugnano desidera parlarti. T’invita a colazione con noi al Circolo della Caccia. Deve proporti un affare. Vuole comperare la tua novella La Principessa per farne un film. Ti prego di non mancare.

Il Marchese di Bugnano e Roberto Bracco erano già in cordialissimi rapporti d’amicizia. E il Bracco naturalmente accettò.

A colazione al Circolo della Caccia tra Bracco, d’Ambra e Bugnano si parlò dell’affare. Ma Roberto Bracco espresse il dubbio preliminare che un film cavato dalla sua novella La Principessa avrebbe potuto pregiudicare gl’interessi del noto commediografo italiano, di nome esotico, poiché d’origine inglese, Washington Borg², il quale, col consenso del Bracco, aveva tratta una commedia dalla stessa novella. La commedia non era stata ancora rappresentata, e perciò il Bracco pensava che gli interessi del Borg potessero essere, dal film, pregiudicati. Ma Lucio d’Ambra fece notare che un film non s’improvvisa. La commedia sarebbe stata dunque rappresentata, probabilmente, prima che si potesse lanciare il film. Oltre di ché, la réclame fatta al film avrebbe giovato alla commedia. Roberto Bracco presto si convinse che i suoi scrupoli erano errati ed accondiscese, quindi, a vendere al Marchese di Bugnano la sua novella.

La sera di quel medesimo giorno Roberto Bracco, rientrando in albergo, trovò il Marchese di Bugnano e Lucio d’Ambra che l’aspettavano per concludere. Una conversazione sulla cinematografia irritò alquanto l’iracondo Bracco, che a un dato punto disse: « Non voglio più saperne. Non voglio dare più nulla alla cinematografia ». Ma le preghiere e le insistenze del Marchese di Bugnano e di Lucio d’Ambra lo calmarono. La trattativa si strinse di nuovo. Fu stabilito che il Bracco avrebbe ricevuto a Napoli, dal Marchese di Bugnano, il contratto definitivo. Quanto al compenso, il Bracco promise d’accettare la somma che il Marchese di Bugnano gli avrebbe offerta. Fidava in lui, avendo avuto con lui altri rapporti d’affari (Sperduti nel buio: altro dramma del Bracco venduto al Bugnano).

Roberto Bracco tornò a Napoli. Ma il contratto con l’offerta finanziaria si faceva aspettare. Fu data intanto a Roma, il 20 luglio, al teatro Quirino, e con buon successo, la commedia del Borg tratta dalla novella bracchiana. Il nome di Bracco figurava, regolarmente, su i cartelli, e la stampa fu larga di lodi per il novellatore e per l’autore della commedia. Il critico più entusiasta fu Lucio d’Ambra, nella Tribuna. E il bel successo della commedia indusse immediatamente l’avvocato Giuseppe Barattolo — don Peppino — proprietario e direttore della Caesar Film, a chiedere a Roberto Bracco se egli fosse disposto a vendergli, per un film comico, la novella La Principessa. Il Bracco rispose:

— Non posso, perché sono già impegnato con Bugnano.

Dopo di che scrisse a Lucio d’Ambra lamentandosi di non avere ancora ricevuto dal marchese di Bugnano il contratto. Passò ancora qualche settimana. E finalmente il Bracco ricevette un lungo telegramma nel quale Lucio d’Ambra diceva su per giù questo: « Bugnano ed io siamo dolentissimi di doverti comunicare che non faremo in film La Principessa. Abbiamo riflettuto meglio. Ci siamo accorti che La Principessa non è, in fondo, cinematografabile. Ma ti promettiamo che ben presto concreteremo con te qualche  altro affare ».

Il Bracco, stupito e addolorato, scrisse a Lucio d’Ambra una lettera amara, che rimase senza risposta. E qui è giusto ricordare un’altra circostanza. Al Circolo della Caccia, il giorno della prima trattativa, il Bracco, con molta delicatezza, aveva espresso il timore che il soggetto della Principessa fosse eccessivamente piccante per la cinematografia. Ma Bugnano e Lucio d’Ambra lo avevano rassicurato dicendo: « Non ti preoccupare di questo. Noi, col tuo permesso, trasformeremo la novella. Ci basterà la deliziosa trovata della rassomiglianza. Le daremo uno sviluppo un po’ diverso. E sarà, comunque, un film originalissimo ».

Queste parole non erano state dimenticate dal Bracco. E quindi egli non poteva trovare giusto, né giustificabile, il pentimento del Bugnano annunziatogli da Lucio d’Ambra. D’altra parte il Bracco, non avendo più nessun impegno col Marchese di Bugnano, scrisse all’avvocato Barattolo di poter disporre della sua novella ed il Barattolo, senza perder tempo, ne comperò l’esclusività cinematografica per 4.000 lire.

Questo è l’antefatto. Commedia. Poi venne il dramma fra i due celebri autori.

Quando il film di Lucio d’Ambra Il Re, le Torri, gli Alfieri fu lanciato, con grande réclame, a Napoli, comparve nel Giorno — il quotidiano diretto da Matilde Serao — un articolo pieno di elogi. Ma il cronista, raccontando il soggetto, rilevava, a un certo punto, un’analogia con una nota novella del Bracco. Il giornale fu letto anche dall’avvocato Barattolo che subito si allarmò. Chiese conto di questa analogia al Bracco, che rispose di non essere responsabile. Intanto alcuni forse non appassionati spettatori riferirono al Bracco ed al Barattolo di aver riscontrato nel film Il Re, le Torri, gli Alfieri un importante episodio — l’episodio culminante — che era, secondo quei signori, una riproduzione evidente della novella bracchiana. La novella era stata trasformata, sì, — parlano sempre quei refendarii, — ma non tanto da non essere riconosciuta. L’avvocato Barattolo, al quale Roberto Bracco aveva raccontato quel che gli era accaduto col Marchese di Bugnano, si raccapezzò subito, a modo suo: « Roberto Bracco — pensò, — non aveva mai più ricevuto dal Bugnano l’atteso contratto perché Lucio d’Ambra aveva già sfruttato per conto suo, nel soggetto del film Il Re, le Torri, gli Alfieri, la novella della Principessa. Semplicissimo ».

E allora Barattolo e Bracco si rivolsero a me per la risoluzione della questione³.
Francesco Soro
(Splendori e miserie del cinema, Consalvo Editore, Milano 1935)

  1. Nella raccolta Smorfie gaie (1909).
  2. Per la cronaca: poco più di un anno prima, febbraio 1915, Lucio d’Ambra e Roberto Bracco avevano “raccomandato” Washington Borg all’avvocato Lo Savio della Film d’Arte Italiana Pathé, dove il commediografo e giornalista debuttò come aiuto metteur-en-scène.
  3. La lite si risolse “amichevolmente”, pare.

 

Lettera dalla Spagna

Barcelona, Plaza Cataluna 1915
Barcelona, Plaza Cataluña 1915 c.

Barcelona, 21 aprile 1914

Con l’avvento della primavera sono ricominciate le corridas attese con ansia febbrile da tutti gli spagnoli, cui la mancanza della corrida cagiona una specie di vuoto nelle loro abitudini, nelle loro occupazioni, nelle loro affettività. Gli antichi romani chiedevano ai Cesari Panem et circenses: gli spagnoli, oggi, chiederebbero loro: pan y torosy cinematógrafos! sicuro; poiché ormai la corrida e il cinematografo sono i divertimenti preferiti da tutti a discapito del teatro. Qui si parla della Borelli, della Bertini, della Henny Porten, con lo stesso entusiasmo col quale di parla di Gallo, di Gallito e di Belmonte, i toreros in voga. E quando dico: entusiasmo, non esagero. In Italia si può avere della simpatia, dell’ammirazione per un grande artista, qui, per i toreros, si ha addirittura della idolatria. Dopo una giostra di discute di Gallito e di Belmonte con maggiore serietà e con maggior calore che da noi non si discutono Zacconi o Novelli dopo la magistrale interpretazione di un dramma nuovo, e lo stesso pubblico che fa la coda all’ingresso della plaza de toros si piglia alla porta dei cinematografi per ammirare Lyda Borelli che tuttora trionfa nell’Amor mio non muore della Gloria e che ha già annunciato che si presenterà fra breve nella… (che non ci senta la censura)… nella Donna nuda della Cines. E il teatro?… Il teatro, come dappertutto, soffre della concorrenza spietata del cinematografo e, come dappertutto, dopo aver fatto lo sdegnoso e lo sprezzante verso il suo fratello minore, tanto svelto e precoce, ha dovuto riconoscere i meriti e, deposto l’altezzoso disdegno, si è umiliato a stendergli la mano. A questo proposito ricordo aver letto, non è molto, in un giornale spagnolo un gustosissimo dialogo fra il reporter e un comico a spasso. Questi, dopo aver detto peste e vituperio del cinematografo, dopo averlo dannato alla gogna, dopo avergli scagliato contro tutti i suoi fulmini, termina il suo sfogo e si accomiata dal reporter.

— Viene?… mi accompagna?…
— Dove?… — chiede il reporter.
— Ma!… al cinematografo… Oggi hanno cambiato programma…

Quanta psicologia in questa risposta!…

Volete sapere di più?… Ieri La Vanguardia in un telegramma da Madrid annunciava che Giacinto Benavente, l’illustre drammaturgo spagnolo, verrà tra breve in Barcelona per dirigervi una esecuzione cinematografica della sua Malquerida, il dramma di successo trionfale. E corre voce che Maria Guerrero, l’attrice incomparabile, che Diaz de Mendoza, l’attore di gran merito… ma basta, non voglio dire di più… Ve ne scriverò lungamente nella mia prossima corrispondenza.

La scorsa settimana Carlo Nardini, un romano di Roma, che da molti anni vive a Parigi e che ho visto con piacere tornare al commercio cinematografico, è venuto a Barcelona per incarico della Italica Ars a darvi una visione della Histoire d’un Pierrot. E la visione ha avuto luogo martedì, nell’elegante Salón Cataluña, innanzi a numerosi e scelti invitati i quali, per la prima volta, assistevano ad una proiezione accompagnata da una orchestra di 35 professori. E il successo è stato grande, meritato. Nella deliziosa musica di Mario Costa, Francesca Bertini ha valorosamente interpretato il bianco eroe, birichino e sentimentale, della pantomima di Bessier; anche ottima Louisette mi è parsa la signorina Leda Gys, cui l’arte cinematografica riserva copiosi allori.

Questa esecuzione cinematografica della Histoire d’un Pierrot mi desta un ricordo lontano che forse potrà giovare al futuro storico dell’arte nostra.

Sono passati, forse, dieci anni: il mio carissimo amico il cav. Alberini cui nessuno può togliere il vanto di essere stato il papà (ahi, quanto prolifico!) dell’industria cinematografica italiana, volle riprodurre in film l’Histoire d’un Pierrot. In Italia non v’era ancora nessun teatro di posa: solo in Roma, fuori Porta S. Giovanni, si stava costruendo per conto dell’Alberini quel primo teatro che fu poi… culla della Cines.

Dove eseguire la cinematografia?… Incontro all’antica basilica di S. Maria Maggiore v’era una specie di Caffè-concerto all’aperto; un largo spiazzo, poche fratte di mortella all’ingiro, qualche alberello rachitico… e, nel fondo, il palcoscenico dalla pittura scolorata e un vecchio pianoforte avvezzo alle intemperie… Fu là che il cav. Alberini portò la sua macchina da presa e che venne eseguito il primo negativo della Histoire d’un Pierrot. Vi era anche Mario Caserini; Pierrot era Bianca Visconti, Pochinet Mario Caserini.

Ma il negativo non venne mai pubblicato… Si era pensato che sarebbe stato facile regolarsi con i diritti d’autore, ma invece… (ricorda, comm. Re Riccardi?) la richiesta fu troppo gravosa per allora che il cinematografo era ai suoi primi passi (che buoni garretti ha ora, eh?…) e il negativo venne sepolto nel fondo di un armadio.

Oggi, forse dopo dieci anni, l’Histoire d’un Pierrot compare sullo schermo, e nelle sale dei cinematografi echeggia la patetica serenata dolcissima…

Che glorioso cammino dal giorno lontano in cui nel piccolo teatro Metastasio di Roma, Mario Costa presentò al pubblico romano la sua squisita pantomima interpretata da Jole Cantini! Allora il cinematografo non esisteva e nessuno avrebbe pensato che dopo più di venti anni Louisette e Pierrot avrebbero ripetuto la loro commovente istoria in certe sale tutte buie, su grandi quadri tutti bianchi.

Ieri mattina il Sig. Minguella, rappresentante della Casa Gloria offri ai suoi clienti nel gran salone del Cine Doré la prima visione di Nerone. L’aspettativa era grande e il successo fu superiore all’aspettativa. Ammirammo un succedersi di quadri interessanti, meravigliosi, che riaffermarono, una volta ancora, l’alto valore artistico di Mario Caserini, cui invio da quaggiù le mie affettuose congratulazioni.

Magnifica artista, come sempre, venne giudicata la Gasparini Caserini in Agrippina e un eccellente Nerone il Rossi Pianelli nella non facile interpretazione del protagonista.

Il Cavaliere di Grazia.
(La vita cinematografica)

Tre dive del cinema d’altri tempi

Leda Gys
Leda Gys

— Voi, laggiù in fondo, muovetevi, parlate, fingete di bere il tè, non mi state come quattro salami.

Uno di quei salami ero io; salame in frak, comparsa o cachet alla Celio Film di Roma. Chi mi aveva regalato quel suinico appellativo era il conte Negroni, che già in quell’epoca (1914) era uno dei più quotati metteurs-en-scène, ovvero registi, del cinema italiano ancora muto.

Gli altri miei compagni, uno era un cameriere di caffè disoccupato, gli altri due avevano indosso delle marsine certamente prese in affitto o comperate in Ghetto. Io fra loro sfolgoravo di eleganza con l’impeccabile camicia di Morziello ed un frak di Mortari. Il vigile sguardo di Negroni mi aveva notato come una stonatura in quel quartetto, tanto che finito di girare la scena, mi chiamò:

— Tu ! si tu, vieni un po’ qui. Chi sei ?

— Mah ! — feci io sorridendo — sono un cachet.

— E quando non fai il cachet che cosa sei ?

— Niente… almeno in questi giorni.

— Ma prima di questi giorni che facevi ?

— Ero il primo attor giovane della Compagnia Stabile del Teatro Argentina.

— Ah già ! adesso la riconosco (il tu era diventato lei) non faceva Giannetto nella Cena delle beffe, domenica scorsa ?

— Infatti…

— E mercoledi non era Armando nella Signora dalle camelie ?

— Proprio così.

— E adesso ?

— Adesso cachet. Vorrei fare del cinema ma cominciando dalla gavetta come ho fatto in arte drammatica.

— Bravo, è un’ottima idea. Adesso andiamo a mangiare, vuol sedersi alla nostra tavola ?

— Con molto piacere, grazie.

Nel piccolo ristorante dello Stabilimento, fui presentato a Francesca Bertini. Vicino a lei siedeva suo padre, poi il primo attore Benetti, un magnifico giovanotto con sua moglie, uno splendore di bionda (Olga Benetti n.d.c.), Alberto Collo ed un giovane alto, magro, brutto, tipo del nevrastenico classico, ma simpatico, con una fisionomia espressiva ma irrequieta. Occhi vivacissimi un poco chiari, che sembrava parlassero guardando. Era Emilio Ghione, già regista, allievo di Negroni, ma non ancora celebre nel personaggio di Za la Mort da lui creato in seguito.

Tanto Ghione che la Bertini mi impressionarono vivamente. Questa prim’attrice era già avviata verso la più brillante carriera; i suoi film si cominciavano a vendere in quasi tutta Europa a « scatola chiusa » e cioè i films con lei protagonista eran venduti prim’ancora di esser visionati.

Mangiando e conversando l’osservavo con attenzione. Indiscutibilmente bella, più bella di quanto non apparisse sullo schermo, fresca, vivace, pallida, occhi e capelli nerissimi. Un bell’ovale nel viso in cui traspariva un fascino immediato, strano e seducente. La sua conversazione era piacevole, spesso ricca di umorismo. La voce un po’ velata e con una pronuncia marcatamente meridionale. Nata a Napoli, Elena Vitiello nello stato civile, (nata a Firenze il 5 gennaio 1892 n.d.c.) aveva dei napoletani la facilità d’espressione, il brio dell’arguzia, la sensibilità più fine ed una calda passionalità.

Il successo fantastico che riportava sul pubblico, era a mio parere giustificatissimo anche perchè aveva intelligenza, intuito ed un vero temperamento da attrice drammatica tale da commovere ed entusiasmare le folle.

Per alcune settimane, su invito dello stesso Negroni, frequentavo la Celio Film; e lavorassi o no, mi intrattenevo la giornata intera in quei forni crematori che d’estate erano i capannoni di vetro, detti teatri di posa. Mi fu affidata qualche parte di generico, poi il regista mi procurò una scrittura come primo attore presso la Volsca Film di Velletri e vi restai tre mesi.

Tornato a Roma mio primo pensiero fu quello di farmi rivedere nella Casa che mi aveva dato il battesimo cinematografico. Mi recai infatti in Via SS. Giovanni e Paolo, ma la Celio aveva traslocato nell’interno del Giardino Zoologico dove aveva fatto costruire un magnifico stabilimento. Anche qui trovai delle novità: Negroni era partito per Torino (per Milano n.d.c.) ed era stato sostituito dal pittore Maurizio Rava, persona affabile, cortese che mi accolse con grande benevolenza e mi assunse qualche giorno dopo quale suo aiuto.
Per prima attrice, sempre Francesca Bertini i cui successi si eran propagati anche nelle due Americhe. Direttore generale artistico era il Prof. Alberto Blanc divenuto poi, come è ben noto, una celebrità internazionale nel campo dell’Anatomia comparata.

Poi gli avvenimenti precipitano: anche l’Italia prende parte alla prima guerra mondiale. Incertezza ed ansietà in tutti gli stabilimenti cinematografici e non cinematografici soltanto, quindi una calma relativa ed il lavoro cautamente, lentamente riprende.
Francesca Bertini, vera miniera d’oro nei mercati del film passa alla Tiber di proprietà dell’Avv. Mecheri (in realtà alla Caesar Film di Barattolo n.d.c.) con uno stipendio centuplicato, perchè i suoi lavori si vendono a prezzi favolosi ed essa riceve centinaia di lettere d’ammirazione al giorno da tutte le parti del mondo. Ne ho visto io con i miei occhi un magazzino pieno presso la Tiber: una montagna di diecine di quintali di carta ahimè destinata al macero.

Ma al posto della diva perduta un’altra ne sorge, una nuova stella vien fabbricata nella gloriosa fucina della Celio: Maria Jacobini. Bella ma non bellissima, fine, aristocratica, bruna, occhi magnifici ed espressivi, eleganza di gran classe. Si afferma e s’impone in breve tempo su tutti i mercati. Il suo regista è Rava ma per poco, che richiamato alle armi parte per il fronte come capitano degli alpini. Lo sostituisce un altro pittore: Folchi. Io intanto disimpegno il ruolo di attore, l’incarico di aiuto-regista, scrittore di soggetti e sceneggiatore. Un bel giorno poi fui chiamato alla Cines dal direttore generale Barone Fassini che mi dice:

— Ho avuto sue informazioni dall’amico Blanc. È ora che lei inizi la sua carriera di metteur-en-scène. Contento ?

— Ne sarei contentissimo — risposi molto emozionato — se avessi la sicurezza di cavarmela.

— Se la caverà; abbia fiducia in sé stesso e lavori tranquillo. Le manderò una nuova attrice, giovanissima; ha fatto qui alla Cines qualche parte di nessun conto, ma ho l’impressione che potrà far molto specie nel genere comico-sentimentale (che fiuto quel Fassini !). Le scriva un soggetto allegro e brillante e se di questa giovinetta ne potrà fare un’attrice glie ne sarò grato.

La mattina dopo la piccola artista accompagnata da sua madre, venne a presentarsi nel mio ufficio. La osservai con vivo interesse e ne rimasi incantato. Un personale che faceva immaginare, come direbbe Dekobra, una superba anatomia, un viso dall’ovale perfetto illuminato da occhi grandi, neri e brillanti. Una ricca capigliatura crespa e corvina incorniciava il suo volto pallido degno di servir di modello ad un Carlo Dolci.

La sua espressione era da timida monachella, ma la vivacità dei suoi sguardi la tradivano palesemente. Cosa c’era sotto quella finta apparenza da educandina ?

Lo compresi con facilità qualche giorno dopo. Mi disse che per il cinema si sarebbe chiamata Leda Gys, anagramma del suo nome, Giselda.

Giselda era un tal demonietto scatenato che la mamma non poteva abbandonarla un attimo per timore che scapicollasse in qualche brutto modo. Buona certo, dolcissima pure, ma che piccolo uragano, che deliziosa tempesta !

Fu lei a darmi l’idea e il titolo del film e quasi tutte le trovate comiche inserite nella sceneggiatura erano da lei ideate. Il film che sortì con il titolo Leda innamorata ebbe un successo così strepitoso, che gli esercenti dei cinema, i noleggiatori e gli acquirenti per l’estero corsero ad accaparrarsi la produzione successiva.

Ma poi come tutti, come sempre, anch’essa abbandonò il suo nido e fu scritturata a Napoli da un grande industriale del cinema che dopo averle fatto girare parecchi films, anche drammatici, un bel giorno le proibì in modo assoluto di continuare. Era diventata sua moglie.

Ed ora qualche considerazione. Le prime attrici di quell’epoca che sembra tanto lontana e che invece si può dire sia di ieri, eran modeste, vestite come buone borghesi, si recavano in stabilimento in tram, raramente in taxi. Tanto nel teatro di posa quanto nelle fotografie reclamistiche non mostravano che… quanto poteva esibire la più onesta e riservata delle signore. Il loro tenore di vita era assai semplice e guadagnavano (salvo eccezioni rarissime come la Bertini) poco più e talvolta ancora meno delle attrici di prosa. Eppure eran brave, belle, intelligenti, ricercatissime in tutti i mercati cinematografici del mondo.

Quanto poi asseriscono alcuni inesperti e giovanissimi cineasti che i film italiani giravano il mondo perché non c’era altro, è assolutamente falso. Esistevano già in quegli anni delle Case straniere di grandissima e meritata fama i cui lavori erano proiettati in Italia con grande successo. Tra le più famose, ricordo la Gaumont e la Pathé francesi, la Nordisk danese, la Vitagraph americana, ecc. ecc. Ed allora ?

Allora vuol dire che la maggioranza dei cineasti di quel tempo, come direbbe un romano, ce sapevano fa !

Ivo Illuminati

Ivo Illuminati (Ripatransone, Ascoli Piceno 1882, Roma 1963) ha scritto numerosi articoli dedicati allo spettacolo su quotidiani e periodici. Laureato in legge, ma appassionato di recitazione, inizia a lavorare come attore drammatico nel 1904 e forma parte di alcune delle Compagnie Drammatiche più importanti dell’epoca: Gramatica-Ruggeri, Calabresi-Severi, Galli-Guasti-Ciarli, Stabile Romana, e molte altre. Abbandona il teatro per il cinema intorno al 1914 e fu per qualche tempo collaboratore di Nino Oxilia, ma divenne presto sceneggiatore e direttore artistico. Dal 1914 al 1922, diresse più di quaranta film, quasi tutti su propria sceneggiatura. Capo del servizio tecnico dell’Istituto Luce, dal 1928 al 1933, collabora alla sceneggiatura di due film interpretati da Angelo Musco: L’aria del continente e Fiat voluntas Dei. Nel 1938, lavora come assistente alla regia nel film Giuseppe Verdi, e nel 1942 dirige, in collaborazione con Hans Hinrich, il suo unico film sonoro: Il vetturale di San Gottardo. Dal 1947 al 1950, insegna recitazione, dizione e tecnica cinematografica all’Accademia dei Filodrammatici di Milano.