Una macchina infernale

Impianto cinematografico Gaumont 1908
Impianto cinematografico Gaumont 1908

Personalmente posso affermare di discendere da una famiglia di pionieri del cinematografo. Mio padre non era Griffith né De Mille; ma se fosse vissuto nel paese dove vissero De Mille e Griffith, avrebbe certamente fatto le cose per le quali quei due uomini sono celebri, giacché come loro era dotato di spirito d’avventura• e, come loro, non aveva alcuna occupazione seria. Orfano e appartenente a una famiglia benestante, mio padre andava in cerca di novità, come tutti i giovani appartenenti a famiglie benestanti cui manca il controllo paterno. Dopo aver organizzato alcune rappresentazioni teatrali con una filodrammatica da lui diretta e, in gran parte da lui interpretata, il genitore sentì parlare di cinematografo verso il 1904 e pensò che sarebbe stata ottima cosa impiantarne uno nel suo paese dove risiedeva, un grosso paese della Calabria, assai ricco, ma tanto ignorante. Un anno dopo mio padre aveva acquistato la sua brava macchina da proiezione — che alcuni chiamavano camera oscura, altri “kinografo” e altri ancora (quelli che erano già stati in America) “biografo”. Una volta acquistata la macchina da proiezione, la mia famiglia cominciò a precipitare verso una grave crisi economica, giacché s’iniziava la liquidazione delle proprietà terriere per allestire una sala cinematografica, acquistare le sedie necessarie e gli accessori.

Fatto il cinema, mancava la cosa più importante oltre la macchina da proiezione: la energia elettrica. Per quanti sforzi facesse, mio padre non riuscì a far approvare dal consiglio comunale dell’epoca la spesa occorrente per l’impianto di una centrale elettrica necessaria all’illuminazione del paese e a mettere in moto la macchina da proiezione. A nulla valsero gli articoli scritti da mio padre sul giornale del paese — da lui stesso diretto, scritto e composto —; inutilmente il giovanotto additò all’opinione pubblica il progresso civile, la comodità, eccetera: la gente non voleva saperne di ficcarsi in una sì pericolosa avventura. Si stava tanto bene coi lumi a petrolio, perché forzare la mano al destino? Che mettesse un lume a petrolio nella macchina da proiezione e tutto sarebbe andato a gonfie vele. Mio padre spiegò che col lume a petrolio tutto sarebbe andato in fiamme; ma disse che si trattava soprattutto di una questione di civiltà e se il paese voleva restare al buio (buio non soltanto metaforico} peggio per loro: a mandare avanti la macchina da proiezione avrebbe pensato lui. Infatti, pochi giorni dopo mio padre partiva per una città del nord e faceva ritorno al paese trascinandosi dietro (a mezzo ferrovia) una costosa e colossale macchina che serviva a produrre l’energia elettrica. Inutile dire che per l’acquisto di quella macchina furono alienati ricchi e fruttiferi appezzamenti di terreno, orgoglio e rendita della famiglia.
Dicono le cronache del paese che quella colossale macchina si chiamava “locomobile” era una macchina a vapore — di solito adoperata nelle campagne del Varesotto — munita di quattro ruote, tanto da sembrare una locomotiva. Considerato che la macchina doveva star ferma, per l’incolumità dei cittadini, qualcuno propose di levare le ruote e introdurla, così alleggerita, nella sala di proiezione; ma la macchina occupava troppo posto e poi faceva un rumore infernale che avrebbe infastidito gli spettatori, anche se il film sonoro era ancora lontano. Per rassicurare il sindaco, mio padre provvide a legare saldamente le ruote del locomobile, le impastoiò, diciamo così, come si fa con gli animali recalcitranti.

Le prove andarono benissimo: la macchina da proiezione perfetta, l’energia elettrica era una gran novità e tutti i cittadini vollero vedere da vicino « la macchina che faceva la luce », vollero toccare con mano — spesso scottandosi — quelle palline di vetro che contenevano la fiamma (le lampadine elettriche) e qualcuno chiamò mio padre « novello Prometeo », aggiungendo che qualche cataclisma si sarebbe certamente scatenato sul paese, poiché il mio genitore « aveva osato strappare la sacra fiaccola dalle mani di Apollo ».

Nuovo viaggio al Nord di mio padre, che prende in affitto a Roma € « le films » — che allora erano di sesso femminile — e torna in paese trionfante, poiché aveva appreso che il suo era l’unico cinema della regione e il quinto in tutta l’Italia meridionale. Il programma inaugurale comprendeva due « scene dal vero » (vale a dire i giornali d’attualità), due comiche, una delle quali americane, e un dramma passionale in un atto: Amor omnia vincit nel quale appariva un celebre attore del teatro italiano. La sera dell’inaugurazione venne gente dai paesi vicini e chi non poté avere il biglietto stette ad aspettare sulla porta, per farsi poi raccontare i fatti dai fortunati che avevano potuto assistere allo spettacolo.
Mentre il pubblico assisteva emozionato « alle film » e commentava ad altissima voce quel che avveniva sullo schermo, pervenne in sala uno sferragliare sordo; un rumore spaventoso, seguito poi dagli urli dì raccapriccio dei curiosi che tentavano di darsi in salvo per le strade in salita. Cos’era accaduto? Il locomobile, quella infernale macchina, stava per portare lutti e rovine al mio diletto paese. La macchina di Satana, come un puledro furioso, aveva rotto le pastoje e s’era avviata, lenta ma decisa, giù per la china, verso i campi. Il macchinista e l’aiutante, terrorizzati, s’erano buttati a testa in giù, rischiando di farsi sfracellare dalle ruote, come si fa di solito coi vagoni ferroviari che si staccano dal convoglio; i curiosi, folli di terrore, levando alte grida, s’erano buttati dalla parte opposta, per la salita, pregando Iddio che non li facesse raggiungere dalla macchina maledetta. Il locomobile, in verità, non aveva fretta: se ne andava, ecco tutto; lasciava Ia città, tornava verso i campi sferragliando. E chissà dove sarebbe arrivato, se non fosse precipitato da una scarpata, frantumandosi in un boato. Nel frattempo, anche la fortuna della mia famiglia cominciava a precipitare; quella macchina infernale, insieme a tutto il resto, aveva già divorato trenta ettari di terreno.

Italo Dragosei

Per altre notizie su Francesco Dragosei, il papà di Italo, pioniere del cinema e non solo, segui questo link al sito (un capolavoro di sito)  La mia città – Corigliano Calabro

Il Kinetografo Alberini

Disegni illustrativi del Kinetografo Alberini
Disegni illustrativi del Kinetografo Alberini

Secondo i disegni che accompagnano il brevetto “l’apparecchio fotografico a ripetizione che ha per titolo Kinetografo Alberini” è una cassetta di legno, che porta all’interno tutti i meccanismi per l’avanzamento intermittente della pellicola e per il movimento dell’otturatore. In uno chassis mobile, posto all’interno della cassetta davanti ad un finestrino quadrato di esposizione, avviene lo svolgersi e l’avvolgersi dall’alto in basso della pellicola; l’avanzamento di questa è dato dal suo passaggio tra due cilindri, tenuti tra loro in pressione da una molla. L’otturatore è costituito da una paratoia, che si alza e si abbassa come una ghigliottina, davanti al finestrino di esposizione; la paratoia porta una fessura, che viene chiusa o lasciata aperta da una valvola. I movimenti della pellicola e dell’otturatore sono generati da una manovella, sporgente da una parete esterna della cassetta, che agisce su un sistema di moltiplicazione. L’asse di questo sistema è unito con un cilindro che porta un eccentrico (disco circolare, girevole attorno ad un asse). Ad ogni mezzo giro dell’asse, il cilindro fa spostare di un certa quantità la pellicola, e per l’altro mezzo giro la pellicola resta immobile; contemporaneamente in un giro del cilindro, l’eccentrico fa salire ed abbassare l’otturatore. Così si hanno tante esposizioni fotografiche per quante volte si compiono alternativamente i seguenti movimenti:
1) spostamento della pellicola e sollevamento dell’otturatore a valvola chiusa;
2) immobilità della pellicola ed abbassamento dell’otturatore a valvola aperta.
Il Kinetografo Alberini realizza 1000 esposizioni al minuto, corrispondenti praticamente a 16 fotogrammi al secondo.

Come prescritto dalle leggi, per ottenere un Attestato di Privativa Industriale era necessario presentare una documentazione che doveva comprendere, tra l’altro, disegni e una descrizione del brevetto. La documentazione esistente presso l’archivio degli Attestati Italiani di Privativa Industriale stabilisce inequivocabilmente l’atto di costruzione della prima macchina da presa italiana. In un articolo pubblicato sul quotidiano romano La Tribuna (1° febbraio 1923), Filoteo Alberini cita l’anno 1894, ma non il mese in cui iniziò a ideare e costruire il suo Kinetografo, quindi non si sa se i due mesi “di paziente lavoro” da lui menzionati appartengono al 1894 oppure alle ultime settimane del 1894 e le prime del 1895. Ciò è molto importante per datare con certezza il primo film girato da un italiano, in quanto, allestita la macchina da presa, veniva di conseguenza che per collaudare il funzionamento Alberini girasse una prova, probabilmente una veduta di Firenze. Con questa “prova” inizia la storia della produzione cinematografica italiana.

Sicuramente furono girati altri filmati, apportate modifiche e messe a punto fino a che la macchina non risultò perfettamente funzionante. Nel 1895, dopo gli ultimi ritocchi, Alberini presentò la richiesta per ottenere l’Attestato di Privativa Industriale l’11 novembre 1895. La richiesta fu accolta il 21 dicembre 1895, con validità per un anno a datare dal 31 dicembre.

Pochi mesi dopo, nel febbraio del 1896, il fotografo Francesco Felicetti (che da lì a poco diventerà rappresentante dei Lumière in Italia per il Centro-Sud), nel corso di un suo viaggio a Parigi, parla con grande entusiasmo dell’apparecchio chrono-photographique di Alberini alla ditta Clément & Gilmer, fabbricanti di apparecchiature ottiche (macchine fotografiche, lanterne magiche, ecc.). Senza molte esitazioni, M. Clément in persona arriva in Italia e firma un contratto per la cessione del brevetto di Alberini per la Francia, l’Inghilterra e la Germania, portando con sé di ritorno a Parigi una copia del Kinetografo. È da supporre che in questa occasione Alberini abbia fatto vedere a M. Clément il funzionamento pratico dell’apparecchio riprendendo qualche veduta.

Secondo la storiografia cinematografica il Kinetografo ebbe una vita effimera e fu pochissimo sfruttato. Pare che l’unico filmato di cui si ha notizia sia stato S.A.R. il Principe di Napoli e la Principessa Elena visitano il Battistero di S. Giovanni di Firenze. La notizia è data, molti anni dopo, dal quotidiano La Tribuna dell’8 giugno 1914.

Del Kinetografo Alberini si è molto parlato nelle storie del cinema senza che nessuno, al momento di scrivere questo post, possa confermare se è sopravvissuta qualche copia della macchina e dei primi film girati a Firenze.

Come sempre, aspettiamo fiduciosi, non si sa mai…

Leopoldo Fregoli

Fregoli dietro le quinte, versione 1901
Fregoli dietro le quinte, versione 1901

Dai primi tempi del sito In Penombra, Leopoldo Fregoli ha occupato un posto d’onore, e non poteva mancare all’appello nella ricerca sui personaggi “senza fissa dimora”.

Prima di raccontare alcuni particolari su questa ricerca dove, come vedrete subito, si questionano alcuni dati pubblicati nella sua autobiografia, vorrei segnalare che Fregoli si racconta con molta sincerità e grandi dosi di modestia. Cosa rara in un personaggio dello spettacolo. Dopo quello che ho letto (in quattro lingue diverse), la mia ammirazione per il signor Leopoldo Fregoli, come artista e come essere umano, è maggiore di prima. Peccato davvero che non abbiamo inventato ancora una macchina del tempo!

Una ricerca su Fregoli ed il cinema, una ricerca approfondita, non è facile. Troppi dati dispersi dal tempo, pochi, pochissimi documenti rimasti. Mi riferisco a documenti come lettere o contratti. Che fine ha fatto l’archivio di Leopoldo Fregoli? Alcune carte sono andate perdute nei vari disastri (incendi, naufragi), che l’artista ha subìto nel corso della sua vita, ma non tutte. Non so se la famiglia abbia conservato qualche ricordo, non so nemmeno che fine ha fatto questa famiglia.

Rimangono i programmi degli spettacoli, le fotografie, qualche libro, la stampa d’epoca, e pochi film, e partendo da questi testimoni si può tentare di ricostruire un percorso, colmando qualche lacuna.

Fregoli ed il suo cinematografo, il Fregoligraph, vengono considerati fra i pionieri del cinema italiano. Vediamo come e perché:

« Mi trovavo, nel 1897, al Teatro Celestin di Lione, quando, una sera, mi dissero che in una poltrona di prima fila c’era Luigi Lumière, di cui avevo già sentito parecchio parlare. Maniaco di fotografia e di meccanica come ero, mandai il mio segretario in platea, a pregare lo scienziato di voler salire in un intervallo sul palcoscenico; ed una volta dinanzi a lui, gli chiesi di poter visitare la sua officina. Quegli aderì, e l’indomani mi recai a trovarli. (…) Dopo quel primo battesimo di Parigi, i fratelli Lumière avevano fatto ritorno al loro laboratorio di Lione e si erano messi di nuovo al lavoro, per migliorare la portentosa invenzione. Fu appunto allora che li conobbi, e per una settimana rimasi dalla mattina alla sera nella loro officina, ad addestrarmi nei segreti della riproduzione, dello sviluppo, della stampa e della proiezione di quei minuscoli film. Convinto che la proiezione di quei primi saggi cinematografici alla fine di ogni mio spettacolo potesse essere una vera attrattiva e suscitare un vivo interesse nel pubblico, chiesi ai fratelli Lumière il permesso di proiettare le loro pellicole. I due scienziati, entrati subito con me in grande familiarità, aderirono, mi consegnarono un apparecchio di proiezione e con esso il diritto di esclusività, per i miei spettacoli, di un notevole gruppo di brevissimi film.
In seguito, dato il grande successo riportato con tali pellicole, pensai di fabbricarne io stesso, riproducendo scene comiche delle quali ero naturalmente l’unico interprete. Nacquero così, quei famosi corti metraggi che molti certamente ricorderanno, come Fregoli al ristorante, Una burla di Fregoli, Il segreto di Fregoli, Un viaggio di Fregoli, Il sogno di Fregoli, e, finalmente, il film che svelava, alla fine dello spettacolo, i segreti delle mie trasformazioni, cioè Fregoli dietro le quinte.
In Italia, e in qualche altro paese, i più cominciarono a conoscere il cinematografo proprio attraverso le mie rappresentazioni. Un giorno, mi saltò il ticchio di fare uno scherzo al pubblico anche attraverso lo schermo: feci proiettare qualcuna delle mie pellicole al rovescio. Il pubblico vedeva, sbalordito, uscire gli abiti dalle mani degli inservienti, o passare dalle sedie addosso al trasformista, e questo marciare velocissimo all’indietro, e via di seguito… Furono torrenti d’ilarità, nella sala!
La lunghezza massima di queste pellicole era di 18 metri. Ebbi, allora, l’idea di raggrupparne quattro insieme e di proiettarle senza interruzione. Fabbricammo, io e il mio meccanico Müller, due ruote, che disponemmo, una al di sopra dell’apparecchio di proiezione., l’altra al di sotto, in modo che, messe in movimento, permettessero alla pellicola della bobina superiore di passare ed avvoltolarsi sulla inferiore. Così eravamo in grado di proiettare un film di ben 50 metri. La prima di queste pellicole presentate al pubblico fu Impressioni di Ermete Novelli, dove si vedeva il grandissimo attore intento a leggere vari giornali, e si vedevano poi le materializzazioni di ciò che era contenuto negli articoli di quei giornali : cioè, una rassegna critica delle poderose inimitabili espressioni dell’indimenticabile interprete di Shylock, di Papa Lebonnard e del Burbero benefico. Il film terminava con l’entrata dei due grossi cani di Novelli, che gli saltavano addosso festosamente e gli strappavano i giornali. Il secondo film fu Fregoli illusionista, pel quale impiegai dieci pellicole, ciascuna di 18 metri, ridotte poi, con opportuni tagli, a circa 60 metri. C’erano dentro apparizioni, sparizioni, giochi di magia portentosi: i primi trucchi del cinematografo, sviluppati al mille per cento. In breve, misi insieme una notevole raccolta di queste pellicole, le quali chiudevano brillantemente ogni mia rappresentazione, proiettate sopra uno schermo che io stesso m’ero costruito, con una appariscente cornice adorna di lampadine colorate. Chiamai tutto ciò Fregoligraph. A brevettare il sistema non pensai nemmeno lontanamente. Ma qualche mese dopo apparve a Londra il Biograph, che era una esatta riproduzione del mio Fregoligraph, con qualche perfezionamento accessorio.
Il Fregoligraph cominciò il suo giro trionfale all’Olympia di Parigi, e non scomparve più dai miei programmi. In Italia molti lo ricordano ancora. E a ricordarlo ai posteri ha pensato il Dizionario del Melzi, dove a pagina 340 si legge : « Fregoligraph: cinematografo inventato da Fregoli, il quale può riprodurre delle vedute di tre metri su quattro con chiarezza di tutti i particolari ».
(Fregoli raccontato de Fregoli, Rizzoli 1936 pp.216-218)

Vediamo adesso tre punti fondamentali.

Il primo è l’incontro nel 1897 con Louis Lumière al Teatro Celestin de Lyon. Non metto in dubbio che abbia incontrato Louis Lumière nel 1897, ma il debutto di Fregoli sul palcoscenico del Théâtre des Célestins di Lione è di molti anni dopo: nel 1906.

Il secondo è che non si parla di acquisto del cinematografo Lumière, ma di permesso per proiettare le loro pellicole, e di come i Lumière gli consegnarono un apparecchio di proiezione ed il diritto di esclusività “di un notevole gruppo di brevissimi film”. E questi brevissimi film facevano parte degli spettacoli di Fregoli fin dal 1897, ma questa parte dello spettacolo si chiamava Animatografo-Fregoli. Soltanto qualche mese dopo, l’Animatografo-Fregoli diventa Fregoligraph. Nell’estate del 1898 Fregoli si trova a Londra per recitare nell’Alhambra e qui abbiamo già una descrizione delle viste abbastanza completa:

« Fregoli sigue haciendo las delicias de la Alhambra. No contento con las muchas cosas que hace, la mayor parte de las cuales son conocidas en España, presenta ahora el Fregoligrafo, que es ni mas ni menos que el Cinematógrafo, cuyas vistas son todas referentes a este popular artista. Y asi el publico ve a Fregoli en su casa, comiendo, durmiendo, y hasta riendo con la criada que le entra el chocolate por la mañana.
Pero las vistas mas notables son las que presentan a Fregoli vistiendose para representar sus tipos. Es verdaderamente asombroso ver como, con la ayuda de dos personas, se convierte en menos de un minuto de una vieja en muchacho y de dama elegante escotada y todo y con todas las prendas de vestir interiores y exteriores, en joven de frac y camisa con apretado cuello y corbata de lazo ».

Fregoli lascia Londra in settembre, nella sala Alhambra rimane “The Exposure of Fregoli by the Fregoliograp” (sic).

Per quel che riguarda il film di Robert William Paul: Fregoli, The Protean Artiste – In his Impersonation of Famous Composers, datato 1898, il film Maestri di musica, conservato alla Cineteca Nazionale di Roma (serie Fregoli n. 16), non ha soltanto una perforazione diversa e diverso metraggio, è un film diverso.

Il terzo punto è che il Fregoligraph, le pellicole “fabbricate” da Fregoli cominciò il suo giro trionfale all’Olympia di Parigi. Fregoli debutta all’Olympia il 24 febbraio 1900, dopo l’incendio del Trianon (17 febbraio 1900), come racconta lui stesso in un capitolo delle memorie.

Della data delle prime esibizioni del Fregoligraph ho detto sopra, ma nemmeno il debutto a Parigi del Fregoligraph fu all’Olympia:

« Au Trianon-Théâtre, à partir d’aujourd’hui samedi, en dehors de son spectacle habituel, Fregoli présentera au public le Fregoligraph. Qu’est-ce que le Fregoligraph? Fregoli vu dans les coulisses effectuant ses transformations ».

Era il 27 gennaio 1900.

Per finire, come già sospettavano altri ricercatori, i film di Leopoldo Fregoli sono molti di più di quelli recuperati finora.

Alla prossima…