L’accordo Pittaluga-Fert

Con atto costitutivo in data 3 febbraio 1921 a rogito Giuliani si è costituita in Roma la Società Anonima FERT col capitale di 5.000.000 di lire diviso in 50.000 azioni di L. 100 caduna.

Con assemblea straordinaria degli azionisti in data 24 dello scorso mese è stato deliberato il trasferimento della Sede in Torino nominandosi il Gonsiglio di Amministrazione nelle persone dei Sigg.: Comm. Ernesto Ovazza, Presidente — Comm. Carlo Olivieri, Vice Presidente — Fiori Rag. Enrico Consigliere delegato — Sacerdote avv. Vittorio, Consigliere Segretario del Consiglio — Stefano Pittaluga Consigliere — Francolini cav. uff. rag. Emilio, Consigliere — Tovini on. Livio, Consigliere Artom Vittorio, Consigliere — Levi Isaia. consigliere.

Ed a Sindaci Sigg.: Foligno comm. avv. Alfredo, Citti prof. Vincenzo, Palma rag. cav. Ernesto.

La Società ha per oggetto la fabbricazione e la vendita delle pellicole cinematografiche nei suoi due stabilimenti in Roma, Via Nomentana 297 ed in Torino, Madonna di Campagna sotto sotto la denominazione sociale artistica di FERT.

Questo nome si è imposto sia in Italia sia all’estero nell’unanime consenso di ammirazione e stima; essendo finalità dei promotori della Società di portare l’organizzazione della produzione alle forme più perfette dell’arte muta, con l’ausilio dei suoi migliori collaboratori, cointeressati ed amici.

Il breve comunicato che pubblichiamo ci apprende che la Fert, che significava prima semplicemente Fiori Enrico Roma Torino, è diventata una società anonima col capitale di vari milioni.

L’atto costitutivo è in data 3 febbraio, ma la società è stata in effetti perfezionata solo il giorno 24 u. s., quando la Società Anonima Pittaluga è entrata nella combinazione.

La storia della combinazione Fert U. C. I. cominciava ad essere lunghissima e le discussioni in proposito, disparate e strampalate avevano generate voci che noi ci siamo sempre ben guardati dal raccogliere.

Fatto sta che, anche a costo di dispiacere a moltissimi, noi sostenemmo e sosteniamo che fra la Fert e l’U. C. I. non poteve esserci nessun accordo, prima per il carattere degli uomini dei due organismi, e poi perché si sarebbe distrutto senz’altro ogni seria concorrenza all’Unione. Allo stesso Fiori non abbiamo mancato di dire francamente il nostro parere quando sembrò che egli propendesse per un accordo completo con l’Unione Cinematografica Italiana.

Dalle notizie che ci pervengono dall’Estero e dalle ordinazioni che arrivano alle case di vendita, termometri infallibili della situazione, si vede chiaro che l’industria cinematografica in Italia può esser fatta oggi solamente da un grande e forte organismo o da piccole e perfette organizzazioni capaci di produrre dei capolavori.

L’Unione Cinematografica italiana è senza dubbio il massimo organismo industriale dell’Italia cinematografica, e la Fert, così com’è composta, può a a buon diritto esser ritenuta come una Casa degna di tutta la fiducia, benché fino ad oggi si siano veduti solo tre films di sua fabbricazione.

Noi ci auguriamo che la Società Fert e la U. C. I. riescano a vivere e prosperare tranquillamente senza darsi fastidio, cercando soltanto di emularsi e superarsi lealmente nella qualità della produzione, perché l’industria italiana ha bisogno di pace e di lavoro e non di lotte sterili che traggono origine da rancori di persone.

La presenza di Stefano Pittaluga nella Fert ci rassicura sulla consistenza delle nostre buone speranze. Egli è un elemento moderatore e conciliatore e la sua formidabile attività cerebrale gli permette di risolvere in pochi minuti anche i più complicati intrichi determinatisi per astii annosi. Egli si trova egregiamente a posto con l’U. C. I. perché ha con essa affari per varie decine di milioni; benissimo con la Cito Cinema alla quale ha reso il segnalato servizio di comprarle una produzione non troppo facilmente collocabile; ottimamente a posto con la Fert di cui è diventato Consigliere, e certo con attribuzioni ufficiose se non ufficiali, molto più importanti di quanto possa supporsi.

Il raccordo di tante attività, sparse e spesso combattentesi, è — bisogna riconoscerlo — opera del Pittaluga. Dalla famosa sua « calata » a Roma sono trascorsi appena tre mesi: e in poco meno di cento giorni è riuscito a smussare angoli che sembravano tagliati nel diamante, a concludere eccellenti affari ed a trarre la cinematografia romana fuori dal pettegoluzzume avviandola sulla via del lavoro proficuo.

Oggi dunque la situazione è questa: La Fert divenuta Società Anonima si trasferisce da Roma a Torino. I locali torinesi di Fiori sono passati alla Società Anonima Pittaluga, che ha concluso un accordo con la Società Orlandini mediante il quale quest’ultima cede alla Pittaluga i suoi locali e rinunzia ad esercitare il noleggio limitandosi solo alla compra-vendita pellicole. Nei locali ex Fert in via Depretis 44 si trasferisce la Sede romana della Pittaluga, diretta da Gaetano e Felice Scalzaferri, e nei locali della ex. Scalzaferri, a Via Palermo 3, s’insedierà una nuova associazione cinematografica importantissima, di chi però non possiamo parlare oggi dettagliatamente.

Unico punto ancora oscuro: l’Estero. Dove e a chi venderanno per l’Estero la Fert, la Rodolfi e le altre organizzazionì in cui è entrato Pittaluga? Alla Cito, al Sindacato Internazionale, alla Unione? Non abbiamo potuto assumere al riguardo informazioni precise, perché Enrico Fiori si è squagliato e Stefano Pittaluga con la sua bella franchezza ci ha detto… che non voleva dirci niente. Una sola cosa, ha concluso, posso assicurarvi èd è questa: Sono e resto principalmente noleggiatore ed esercente di locali. Entrando in organizzazioni di produzione la mia Società fa i suoi interessi di noleggiatrice ed esercente. Niente lotte e niente rivalità: noi non vogliamo che lavorare, non perder tempo in polemiche. E quando meno si chiacchiera e più si fa, maggiore è il profitto per tutti coloro che vivono di cinematografia.

Speriamo dunque che le chiacchiere siano una buona volta finite e che il cemento Pittaluga impedisca nuove disgregazioni e nuove lotte, contro i fautori delle quali, è bene dichiararlo, combatteremmo, con tutte le nostre forze, di qualunque parte essi fossero.

dal Kines

Sintomi di ripresa

Teatro di posa dell'Ex Itala Films S. A. Stefano Pittaluga
Torino, teatro di posa dell’Ex Itala Films S. A. Stefano Pittaluga

Torino, 27 Novembre 1926

Nel dare ampio resoconto, qualche mese fa, degli accordi intervenuti fra la Soc. Anom. Pittaluga, la U.C.I. (Unione Cinematografica Italiana), la Leoni Films e qualche altra azienda a queste ultime accodata, dicevamo come la crisi poteva considerarsi giunta alla sua fase risolutiva, e di conseguenza era lecito sperare in quella rinascita per la quale ci battemmo instancabilmente per degli anni. Ma soggiungevo, anche, che la ripresa lavorativa non doveva aspettarsi con la fulmineità di un colpo di bacchetta magica, ma dopo un congruo periodo preparativo e un intenso lavorio di accordi e di organizzazione.

Gli affidamenti avuti dal comm. Stefano Pittaluga sugli effetti pratici ed a breve scadenza, della grande combinazione conclusa dalla sua Società, ci avevano quasi persuasi della ferma volontà dell’audace industriale ligure di dar mano al più presto possibile a quell’opera di rivalutazione che da anni inutilmente avevamo sperato da altri: ma nello stesso tempo ci rendevamo conto delle gravissime difficoltà da superare e del formidabile lavorio occorrente per approntare ogni cosa prima di poter dare il marche!

In questi giorni, mentre da tutte le parti ci si chiedono notizie sulla tanto dibattuta rinascita, abbiamo voluto assumere dirette informazioni per poter calmare l’impazienza di molti, e siamo ben lieti di poter rendere conto dell’esito di questo lavorio d’indagini, che è tale da confortarci nelle più rosee speranze, e permetterci di infondere questa nostra illimitata fiducia a tutti coloro che, non meno di noi, vivono da anni nella più ansiosa attesa di una rivincita delle sofferenze patite e delle umiliazioni subite.

Lo stabilimento della Pittaluga Film di Corso Lombardia, attrezzato come abbino occasione di dire a più riprese alla pari, se non meglio dei maggiori atelier dell’estero. e quindi in grado, quandochesia, di poter ospitare parecchie troupes, per una lavorazione intensiva e continuata, venne dotato in questi ultimi tempi, di un terzo motore-generatore, di ben millecinquecento ampères, sicché lo stabilimento potrà disporre di una potenzialità da sei a otto mila ampères di luce continuata, di guisa che non vi saranno più preoccupazioni di sorta per i capricci della brutta stagione.

La Cines e la Palatino di Roma, che non sono in grado di poter essere utilizzate immediatamente, saranno approntate con ogni sollecitudine: a tale scopo venne incaricato il Conte B. Negroni perché si rechi sul posto onde inventariare il materiale esistente e proporre tutte le misure accorrenti per un ripristino sollecito della loro potenzialità lavorativa.

Mentre tutto ciò avviene con sollecita cura, il comm. Pittaluga attende alle trattative per la conclusione di accordi con l’Estero onde assicurare alla nostra futura produzione largo sbocco sui diversi mercati.

Sappiamo che in questi passati giorni avvennero abboccamenti con Mr. Rowlant, Direttore Generale del ramo produzione della First National di New York; con Mr. Wober, Direttore Generale per l’Europa della Paramount; con il sig. Bausbach, Direttore Generale della UFA di Berlino e rappresentante in essa della Deutsche Bank; e col signor Wacher, anch’egli funzionario della UFA, i quali, dopo aver visitato gli stabilimenti e visionata la più recente produzione fatta, e gettate le basi di possibili accordi duraturi e convenienti, sono ritornati alle loro Sedi per riferire, e quindi è da attendersi da un momento all’altro la notizia della conclusione di queste intese.

Come si vede, tutto lascia a sperare più di quanto forse era lecito attendersi e ci riserbiamo di dare notizie più particolareggiate ed esatte a breve scadenza di tempo.

Nei primissimi mesi del venturo anno i nostri stabilimenti saranno in piena efficienza e potremo, finalmente, ammirare sui nostri schermi la nuova produzione italiana che dovrà sostituire, gradualmente, quella americana che finora ci aveva soffocati.

È intenzione della Soc. Pittaluga di indire due concorsi simultaneamente: uno per la ricerca di attori e attrici da lanciare, l’altro per la ricerca di soggetti, con premi vistosissimi e tali da invogliare gli scrittori nostri a dedicarsi con tutto ardore alla bisogna.

Concorsi — è inutile insistere — fatti con la massima serietà, e dai quali è lecito ripromettersi i migliori risultati.

La Pittaluga non solo organizza la produzione e conta di portarla rapidamente al massimo rendimento; ma procede ad intese con i migliori direttori nostri e con altre Ditte produttrici; sicché la Lombardo Film di Napoli ha già approntati due suoi films: Napoli è una canzone, con Leda Gys, ed un altra protagonista Anna Fougez; Genina ha già quasi portato a termine Addio Giovinezza; l’Alba Film, con protagonista Italia Almirante Manzini, ha eseguito La bellezza del mondo; Amleto Palermi, con elementi italiani ed esteri, sta inscenando Florette e Patapon, a Berlino; Carmine Gallone, con protagonista la moglie , signora Soava, eseguirà a Londra e a Parigi La donna che scherzava con l’amore; Gennaro Righelli, protagonista Maria Jacobini, sta per portare a termine a Berlino, Vergine ribelle; ed infine, nello stabilimento della Pittaluga Film di Torino, il prof. Domenico Gaido e Giulio Lombardozzi attendono alacremente alla realizzazione di una grande pellicola patriottica: I Martiri d’Italia.

Tutta questa produzione sarà lanciata sui nostri schermi al più presto, unitamente agli altri due films recentemente ultimati: Beatrice Cenci, inscenatore Negroni e protagonista Maria Jacobini, e Il Gigante delle Dolomiti, inscenatore Guido Brignone con interprete principale Bartolomeo Pagano (Maciste).

Maggior dimostrazione del fervore di opere che regna già nel nostro campo, non si potrebbe dare, mentre si delinea all’orizzonte un più vasto cerchio di luce che dovrà fugare al più presto ogni nube di dubbiezza e di esitazione.

Parallelamente a quanto fa la Soc. Pittaluga, altre iniziative si svolgono e si organizzano, e tutto lascia sperare nella sollecita realizzazione di ogni nostro voto per le future fortune della cinematografia italiana.

(Immagine e testo archivio in penombra)

Il riduttore miracoloso

Ovvero: come l’arte della “riduzione” consiste in transformare un mediometraggio in lungometraggio.

Ottobre 1927. La Gazzetta del Popolo di Torino pubblicava, sotto il titolo Cinematografo, Charlot… e i suoi traduttori, la seguente lettera indirizzata a Eugenio Bertuetti critico drammatico e cinematografico del quotidiano piemontese:

«E’ noto che Ella si interessa, oltrechè di Teatro, di quel più vasto fenomeno di spettacolo rappresentativo che è il Cinematografo, verso il quale convergono, ormai, a centinaia di migliaia i cittadini di tutte le classi e anche coloro che, fino a pochi anni or sono, al Cinematografo erano ostili.

Desideriamo richiamare la Sua attenzione precisamente su i films di Chaplin, questo artista universalmente ammirato e che ha portato il Cinematografo a un’altezza e a una serietà mai prima raggiunte.

Vorremmo sapere se le didascalie che si leggono nelle nostre riproduzioni dei films di Charlot sono originali o sono dettate dalla Casa Pittaluga, che in Italia ha l’esclusività della produzione dell’attore americano. Queste didascalie per la loro grossolana banalità, per l’anti-stile chapliniano in cui sono espresse urtano il sentimento artistico degli spettatori e lasciano supporre che siano una invenzione del traduttore, il quale non ha capito e non è in grado di capire lo spirito dell’artista americano.

A parte il fatto che Charlot ci fa una figura da imbecille, pare a noi che quelle espressioni malaugurate siano un’offesa allo spettatore, che sottolinea l’evidente contrasto che c’è fra l’azione e la descrizione. Se una manomissione vi è, noi chiediamo, a Suo mezzo, sia riparata e che l’opera d’arte sia rispettata.

A Lei l’esprimere in proposito un parere che sarà certamente ascoltato dagli interessati.

Ossequi.

Attilio Teglio – Furio Fasolo – Michele Intaglietta.»

Sotto la lettera, il commento altrettanto indignato del Bertuetti:

«I tre colleghi hanno un sacco di ragioni per uno. Sere fa al Ghersi, dove si proietta il nuovo film comico di Charlot, Vissi d’arte, vissi d’amore, rimasi non poco sorpreso dalla grossa stupidaggine con cui il riduttore italiano volse in didascalie i casi burleschi e la mimica stupenda d’un attore, grande davvero, come Charlie Chaplin.

A parte il valore, certamente al disotto di molti altri, di quest’ultimo film (ultimo apparso a Torino, si capisce), non possiamo credere siano dovute alla viva fantasia dell’autore – nè possiamo quindi ammettere la fedeltà del traduttore – le sciocchezze operettistiche e librettistiche del commento.

Illustrare l’arte varia, profonda, umanissima di Charlot con titoli e didascalie appropriate, armonizzanti col gioco bizzarro del gesto e dell’espressione indimenticabili, dev’essere senza dubbio difficile. Ma questa è ragione appunto che dovrebbe far pensare i responsabili prima d’ammannire al pubblico tiritere puerili e sconclusionate quali il… prefato disgraziatissimo Vissi d’arte, vissi d’amore.

A tutti è permesso di non capire l’ubi consistam dell’arte nuova e sorprendente di chi seppe donarci La febbre dell’oro, persino agl’impresari! ma è assurdo immaginare che non riescano a capirla almeno gl’incaricati d’illustrarla.

Il cinematografo, massime in certi spettacoli, e con certi attori, ha ormai raggiunto l’espressione d’una vera e propria forma d’arte: arte modernissima, ricca di fantasia, rispondente al vertiginoso avvicendarsi dei gusti ed a quella sete del miracoloso che contrassegna la più acuta aspirazione dello spirito odierno. Ha per un verso preso il posto del libro e per l’altro s’incammina a sostituire il teatro, dove questo non trovi atmosfere rinnovate. E’ dunque ora che, anche per quanto concerne la “letteratura cinematografica” — titoli, didascalie, descrizioni, battute di dialogo, illustrazioni, ecc. ecc. — si pensi a fare un pochino più seriamente di quanto non s’è fatto sin qui. L’opera di un grande inscenatore, o quella di attori come Mary Pickford e Charlie Chaplin, non può essere affidata, per le riduzioni italiane, al mestierante dozzinale. Per l’opera d’arte ci vuole l’artista, prova ne sia che a nessuno sarebbe mai venuto in mente di far postillare Molière al copista di palcoscenico.

Ricordino gl’interessati che, di questo passo, potrebbe toccare al malcapitato illustratore qualcosa di simile a quanto capitò al famoso calzolaio fiorentino, il quale, avendo imparato a memoria le parole della Divina Commedia, si era illuso d’averla compresa e di poterla recitare. Sappiamo bene come trattasse Dante questo sconciatore dell’opera sua…

Gli è che Charlot sta in America, mentre Dante era fiorentino come quel calzolaio e potè averlo sotto mano. La distanza — ahimè! — crea troppe immunità ingiuste.»

Sicuramente l’articolo fece rumore nel piccolo-grande mondo degli addetti ai lavori. Meno di una settimana dopo, il settimanale Kines – Cinemastar pubblicava l’intero articolo della Gazzetta del Popolo, aggiungendo alla fine:

«La lettera ed il commento hanno fatto molto ridere e sorridere i cinematografisti torinesi, nessuno dei quali ignora che cosa sia il film Vissi d’arte… vissi d’amore di Charlot, e quale sia stata l’opera veramente geniale del riduttore del film che è riuscito a creare un programma con qualche centinaio di metri di pellicola. Il granchio del Bertuetti e dei tre giovanissimi cineasti è perdonabile, ma non per questo meno spassoso.»

E per finire di chiarire qualsiasi dubbio in proposito, il Kines – Cinemastar offre ai suoi lettori un’intervista con il riduttore ignoto, che loro chiamano “il riduttore principe”, firmata da un certo Guèpe. I punti più interessanti sono questi:

«Vi dirò che non ho rovinato il film di Charlot Vissi d’arte nonchè d’amore per un potentissima ragione: quel film di Charlot non esiste. E’ una fanfaluca, un’illusione, una chimera. (…) Il competente, si sarebbe accorto eziandio che il film non è un film ma consta di due scene in vari quadri che nulla hanno di comune fra loro, e che appariscono fuse solamente perchè io vi ho messo le mani. (…) Bertuetti avrebbe voluto dire, se avesse capito di cinematografia: “Il film è vecchio, e si compone di scene staccate. L’opera del riduttore italiano è perfetta, poichè le tiene insieme. E’ un vestito d’Arlecchino, nè poteva essere diversamente: ma è un vestito. Sarebbe però desiderabile che il riduttore non sciupasse il suo innegabile talento in rifacimenti che danno scarsa pecunia e nessuna soddisfazione artistica, e scrivesse, invece, dei buoni soggetti anzichè sfibrarsi a raddrizzare le gambe ai cani.”»

Ignoro se l’eco di questa polemica arrivò in America, e se Chaplin vide mai, aiutato da qualche traduttore italiano-inglese, naturalmente, quello che il riduttore italiano aveva combinato con le didascalie. Sono curiosa, sarà sopravvissuta qualche copia di questo contestato “capolavoro” del 1927?

Nota: secondo alcune filmografie Vissi d’arte… vissi d’amore dovrebbe essere Sunnyside (1919) io vorrei vedere la “compilation” italiana made in Società Anonima Pittaluga del 1927… tanto per essere sicuri…