La Mirabile Visione 1921

Si gira nei teatri della Tespi Film “La Mirabile Visione” foto archivio in penombra

Quando finii di girare La rosa, ai primi del maggio 1921, la Tespi aveva raccolto le sue ultime forze e le estreme speranze su un film che il poeta Fausto Salvatori e lo scenografo Caramba avevano messo assieme per il Centenario di Dante. S’intitolava La mirabile visione, fu diretto da Caramba, riuscì un mattone solennissimo e, dal punto di vista finanziario, un vero disastro. Ma alla Tespi, mentre lo si stava girando, tutti credevano alla sua importanza nazionale e internazionale. Fu ultimato a centenario avanzato e a crisi iniziata, quando l’estero già non comprava più film italiani, e il mercato interno ripagava appena la metà delle spese.

Pure i lavori preparatorii di questo film si erano svolti sotto gli auspicii più favorevoli, nel massimo entusiasmo. Pareva che avrebbe dovuto fruttare grande gloria all’Italia, e alla Casa produttrice denari a palate. Ricordo che ci fu gran ressa quando si trattò di scegliere l’attore che avrebbe dovuto sostenere la parte di Dante. Tra gli altri si presentarono uno scrittore che per la classica bellezza della sua prosa è oggi considerato un maestro, e un giornalista molto noto che poi fu direttore del maggior giornale italiano. Ero stato incaricato da Caramba di fare i « provini » a questi aspiranti alla parte di Dante. All’eminente giornalista avevano messo in capo che il suo profilo fosse pari pari quello dantesco. Gli ficcai il lucco in testa, lo piazzai davanti alla macchina da presa, e gli dissi di recitare con la massima espressione tre brani della « Divina Commedia » di diverso carattere: sdegnato, ispirato, patetico. Quegli fece del suo meglio, e sul momento non volli togliergli l’illusione d’essere riuscito un Dante perfetto. Ma, quando si proiettò il risultato del « provino » sullo schermo, si vide per le tre diverse espressioni una stessa faccia dignitosa e bonaria, che avesse detto tutte e tre le volte: « Non faccio per vantarmi, ma oggi è una bellissima giornata ».

La fortuna di far da Dante toccò invece a un modesto attore (Camillo Talamo n.d.c.), vissuto fin’allora nell’oscurità dei « generici ». Non se la cavò male, ma quella fortuna decise del suo tragico destino. Prese tanto sul serio la sua parte, che ci si fissò e finì al manicomio credendosi Dante redivivo.

Per dare un’idea dell’importanza che si attribuì a quella Mirabile visione, ricorderò che un giorno ci si mosse nientemeno che Benedetto Croce, allora ministro della Pubblica Istruzione. Venne alla Tespi, a visitare ufficialmente i lavori del film dantesco. Entrò locco locco nel teatro di posa, sui cui lati erano schierati tutti i partecipanti alla lavorazione del film: attori, comparse e maestranze; e gli occhi miopi del ministro andarono subito a un gran messale aperto su un alto leggio. Si trattava d’un falso codice, imitato grossolanamente a puro scopo cinematografico, per figurare i fogli su cui il Poeta veniva scrivendo di notte il suo poema alla corte scaligera. Ma tant’è; la passione libresca del ministro filosofo fu più forte di tutto. Lo si vide per un pezzo curvo sul falso codice, a sfogliarlo con attenzione forse per rendersi conto della bontà o meno della imitazione. Non degnò d’uno sguardo Beatrice, che pure era una bella ragazza, né certi tocchi di figliole che le facevano contorno nelle vesti trecentesche disegnate
da Caramba. Infine Benedetto Croce richiuse il codice, distribuì alcune strette di mano, e se andò senza aver visto altro.

La visita di Benedetto Croce è l’ultimo ricordo chiaro della mia vita di cineasta. Presto il teatro di posa della Tespi diventò silenzioso e deserto, le pareti di vetro cominciarono a cadere a pezzi, e dall’alto del soffitto discesero le tele di ragno; finché quella località allora quasi campestre, fu sommersa dai cassoni del quartiere intorno a Piazza Bologna.

Arnaldo Frateili (1)

Scenografia del film “La Mirabile Visione”, teatri della Tespi Film foto archivio in penombra

La Mirabile Visione all’Argentina

Roma, 14 ottobre 1921

Ieri, al teatro Argentina, davanti ad un pubblico magnifico di invitati — c’erano artisti, ministri, deputati, senatori, diplomatici ed una grande rappresentanza dell’aristocrazia e della colonia estera — è stato proiettato il film La mirabile visione.

A tutti coloro che s’affannano a sostenere che il cinematografo non può essere arte (sono molti ed han tutta l’apparenza di aver ragione), non avremo d’ora in poi, per dimostrare il contrario, altro che a ricordare questo film dantesco, ideato da Fausto Salvatori per la Società Editoriale Cinematografica e girato interamente nei teatri romani della « Tespi Film », In questa iconografia l’arte dell’inscenatore raggiunge altezze veramente mirabili ed insospettate.

La perfezione estetica ed archeologica delle ricostruzioni e dei costumi, l’uso sapientissimo o spesso del tutto nuovo dei piani di luce e di colori che riesce a dei preziosi effetti di stereoscopia, la composizione di certi quadri che con mezzi normali rendono il senso di inusitate grandiosità, l’efficacissima recitazione di tutti gli attori sui quali si avverte la vigile presenza di una sola mente regolatrice, costituiscono un insieme più unico che raro, che da la misura di quel che sarebbero le possibilità della Cinematografia, se essa fosse sempre, e da per tutto regolata dai criteri che hanno inspirato Caramba nel comporre scenicamente questa Mirabile Visione.

Magnifico interprete della figura di Dante e dei tempi in cui egli visse, Caramba, portando Dante sullo schermo, è riuscito non solo a non irritarci con un’opera insufficiente a men che rispettata, ma a farci anzi seguire nelle vicende della sua vita questo Dante d’ombra, con un certo timoroso rispetto come se egli fosse veramente vivo e presente dinanzi a noi. Ed è riuscito sopratutto a comunicarci quel senso di religiosa commozione con cui egli ha rievocato la figura del Poeta, dandola nei caratteri più essenziali, nei momenti più salienti della sua vita pubblica e privata, nella sintesi cioè più adatta a impressionare l’animo, delle folle e a segnarvisi profondamente e durevolmente.

Contrariamente ad altri temi storici che erano ricostruzioni freddamente fedeli di un momento del passato, o anacronistiche ed irritanti adulterazioni della realtà storica, questo « film » dantesco, per opera sopratutto dell’inscenatore Caramba, e dell’autore del soggetto, Fausto Salvatori, è un continuo e varissimo godimento degli occhi ed insieme una commozione dolce e forte per l’animo che ama, soffre ed è forte per l’animo che ama, soffre ed odia col Poeta. Il pubblico soggiogato dalla bellezza e dalla commozione della visione, l’ha spesso sottolineata con lunghe acclamazioni.

Ci sono în questa Mirabile Visione scene che impressionano profondamente, e che per la loro artistica immediatezza si imprimono nell’animo in modo da non esserne facilmente cancellate. Nessun «film» ci aveva ancora mai dato il senso di pauroso incubo che balza dalla sintetica rappresentazione di una notte di lotte partigiane nella Firenze combattuta tra i Guelfi Bianchi ed i Guelfi Neri; o la religiosa commozione che immerge in un’atmosfera quasi sovrumana la scena in cui Dante recita il « Canto della Vergine » davanti ai domenicani che lo avevano accusato di eresia.

Quanto alla interpretazione di questa Mirabile Visione essa è stata veramente superione ad ogni elogio. Una schiera di attrici e di attori valorosisissimi ha dato tutto il proprio ardore pieno di riverenza, alla figurazione. Ci piace ricordare qui l’attore Talamo, il quale ha riprodotto con una maschera mirabile il vigoroso profilo dantesco; poi Gustavo Salvini nella figura dell’arcivescovo Ruggeri, e Carmen di San Giusto nella passionale Francesca da Rimini, ed Ettore Berti, e Rina Calabria, e Maria Verbic, e il Galvani, e il Serventi, e Giovanna Scotto e Lamberto Picasso, e Liliana Villanova, e il Benedetti, e il Di Giorgio, e la Cinquini.

  1. Arnaldo Frateili, L’arte effimera (Ricordi d’un cineletterato), Edizioni Filmcritica, Roma 1953.
  2. Anonimo, Il Giornale d’Italia, Roma, 14 ottobre 1921.

Noces d’or 1911

Nozze d’oro (Noces d’or) Alberto Capozzi et Mary Cleo Tarlarini

La bataille de Palestro — épisode-clef de la seconde guerre d’Indépendance — est le noyau de Noces d’or (Nozze d’oro), réalisé en 1911 par la société Ambrosio, de Turin, film qui s’affirme comme un des plus gros succès internationaux de l’époque. Le metteur en scène est Luigi Maggi, l’opérateur, Giovanni Vitrotti, les interprètes, Alberto Capozzi, Mary Cleo Tarlarini et Maggi lui-même. Mais la paternité authentique du film doit probablement être attribuée à Arrigo Frusta qui, dans la firme Ambrosio, est une sorte de « chef du service sujets », mais, en réalité, l’animateur, le superviseur et le contrôleur de toute la production. « Un véritable chef-d’oeuvre — dit une publication cinématographique de l’époque —, un joyau de l’industrie cinématographique, qui est tout à l’honneur de la grande Maison de Turin, qui (…) a réussi à faire vibrer la corde patriotique en évoquant un épisode de cette heureuse Histoire que la Nation italienne célèbre cette année, par les deux grandes expositions Turin-Rome et par des fêtes ». En effet, c’est l’année du cinquantenaire, et Noces d’oro (Nozze d’oro) remporte le premier prix au concours cinématographique organisé pour la circonstance par le Comité de l’Exposition Internationale de Turin (dans le jury, Louis Lumière et le photographe Paul Nadar). Le film est projeté pendant plusieurs mois dans un pavillon spécial de l’Exposition, avec un succès qui s’étend à l’étranger, où l’on en vend 400 copies, dont 60 rien qu’en Angleterre.

Noces d’oro (Nozze d’oro) marque une fusion heureuse entre le sentimentalisme naïf du sujet et la robuste évidence du fait d’arme, reconstitué avec un sens très vif du spectacle et un goût surprenant de la composition figurative. « Après quelques rapides visions de bataille se succédant à un rythme vertigineux — rappellera Nino Berrini, plus de vingt ans après — (Frusta) présentait une étendue de champs de blé avec cette ondulation lente des épis mûrs, vision inattendue de champs solitaires qui, entre les tableaux de bataille, donnait une impression mystérieuse de silence tragique. Et, tout-à-coup, arrivait au galop le roi Vittorio… il s’arrêtait.. jetait un coup d’oeil, le trompette sonnait la charge… D’un seul coup, de l’étendue des champs de blé, bondissaient des bersagliers.. au cri de « Savoia »! Effet extraordinaire. Une création originale, nouvelle, riche de poésie en action ».

Noces d’or (Nozze d’oro) eut un curieux destin. Malgré le succès grandiose remporté tant en Italie qu’à l’étranger («… de véritables vagues d’enthousiasme patriotique — écrit « La Gazzetta del Popolo » — soulèvent le peuple devant le spectacle, beau pour les yeux et sain pour l’esprit et le coeur… ») et les éloges de la Reine Marguerite, qui se le fait projeter à Stupinigi, le film est séquestré, quelques mois après sa sortie, sur ordre d’un Giolitti qui craint de froisser la susceptibilité du Gouvernement autrichien, allié puissant et soupçonneux. Le film, interdit en Italie, continue à circuler et à cueillir des lauriers dans tous les pays d’Europe, y compris ceux qui sont sous la domination du Gouvernement impérial…

Film visible sur la plateforme HENRI (Cinémathèque Française) jusqu’au mardi 20 juillet 2021.

La storia di una donna 1920

Pina Menichelli La storia di una donna 1920
La storia di una donna (Rinascimento Film 1920)

Corso Cinema, Roma, Marzo 1920

Una notte in uno ospedale della città arriva di corsa una vettura in cui c’è una donna (Pina Menichelli) moribonda, per una ferita d’arma da fuoco al petto. Un’anziana signora l’accompagna. Mentre l’agente di servizio interroga l’anziana signora, un infermiere raccoglie un libretto d’appunti caduto alla donna ferita e comincia a leggere. Quel libretto contiene la storia di una donna: di quella donna.

La storia è semplice. Mandata via a diciotto anni dal collegio perché i suoi parenti morirono senza provvedere al pagamento della retta, essa s’impiega come damigella di compagnia presso una severa contessa. Questa contessa ha un figlio di cui l’inesperta Pina diventa l’amante. La contessa li sorprende e scaccia la damigella che se ne va nel cuore della notte. Non sapendo dove andare si ferma su un sedile d’un viale alberato. Due guardie la scambiano per una vagabonda, e mentre stanno per invitarla a seguirli, un signore (Livio Pavanelli) in cui si indovina il viveur, passa. Attratto dalla singolarità della donna la salva: dichiara alle guardie che essa è con lui. E se la trascina.

Pina va. È trattata bene. Vede che il viveur ha due compagni, anche loro cortesi. Nessuno dei tre le chiede nulla con violenza. Essa s’adatta a poco a poco al loro genere di vita. I tre sono dei biscazzieri. Essa li aiuta a barare al giuoco e a spennare i merli, e la vita trascorre tranquillamente.

Il frutto del peccato con Gastone, il figlio della contessa, viene alla luce. È una bambina, che a cura dei soci è mandata da una nutrice.

Un giorno Pina incontra il suo primo amante. Ha un fremito d’odio, e sente un acuto desiderio di vendetta. Chiede aiuto ai suoi soci, e costoro si mettono a sua disposizione organizzando una persecuzione a Gastone. Essa diventa la sua ombra. Due dei soci si fingono amici del giovane seduttore, che nel frattempo si è ammogliato, e gli dicono un giorno, ridendo e scherzando, che quella donna si dice sia stata sedotta da un mascalzone di nobile, e che ha avuta una figlia… E allora Gastone vuol sapere: diventa lui l’ombra di Pina che adesso invece lo sfugge. A furia di pregarla riesce ad avere da lei un appuntamento… Ora, via, piano e numero sono immediatamente comunicati dai complici alla moglie di Gastone con una lettera anonima, e appena Gastone è entrato sua moglie viene a sorprenderlo.

Pina gli fa notare sorridendo che è la seconda volta che sono sorpresi… Ma il giovane ha perduto la testa: Segue la sua antica amante come un cane, trascura la famiglia, gioca, perde, si rovina. Una sera egli grida alla donna: Ma cosa vuoi da me? Essa ne ha pietà, lo spinge fuori dalla bisca e il giorno dopo gli scrive dicendogli che gli perdona, che i suoi amici sono gente equivoca, che partirà.

Ma i soci complici non intendono che la cosa finisca così banalmente. Essi la sorprendono mentre scrive quella lettera, la sorvegliano, e adoperano la sua bambina per ricattarla.

La moglie e la mamma di Gastone pregano un ministro loro amico di richiamare il rispettivo sposo e figlio in servizio, per distrarlo. Gastone non può rifiutarsi all’invito ministeriale. Sua Eccellenza gli affida un importante carteggio relativo a certe miniere.

I soci vogliono avere quei documenti, e quindi pregano Pina di attirare Gastone in un tranello, per potergli togliere le carte. (Qui la faccenda comincia a complicarsi). Pina acconsente perché si tratta di salvare la sua bambina, ma vuol salvare anche Gastone. Va all’appuntamento, e quando Gastone arriva gli dice: Salvati! Gastone si salva. Essa, che aveva rinchiusi i complici, tira il catenaccio e li fa uscire. Costoro vogliono vendicarsi sulla bambina. Ma Pina prende la sua rivoltella e spara. Livio Pavanelli, sul quale essa spara non è colpito, si butta a terra per ripararsi da un secondo colpo e (qui la faccenda si complica ancora di più) si ripara dietro un vaso di creta sul quale Pina inutilmente spara. La raggiunge, le salta addosso e la costringe a spararsi sul petto. Quindi fugge. L’anziana signora, che è la padrona della casa ove è avvenuto il delitto, la porta all’ospedale, dove Pina, naturalmente, muore.

Questo è un buon film, per i seguenti motivi:

  1. C’è un soggetto che è buono, sebbene ricco d’inverosimiglianze.
  2. Il soggetto è benissimo sceneggiato.
  3. La messa in scena è buona: salvo qualche punto, come il salone della contessa, il quale non diciamo sia un orrore, ma non s’è incontrato col nostro gusto.
  4. C’è un complesso di attori, oltre la Menichelli, che — specie il Pavanelli — hanno recitato benissimo.
  5. C’è una buona fotografia, ed anche una buona stampa.

Il film ha secondo noi pochi difetti secondari ed un terribile difetto principale: L’interpretazione di Pina Menichelli.

La diva è molto migliorata in quanto a divismo: certo è meno insopportabile di quanto è in quel Padrone che è stato detto La padrona delle Ferriere. Ha due o tre momenti in cui sembra davvero una donna e non una artista cinematografica. Tutto il resto è una serie di contorcimenti colvulsionari per non venire di profilo sullo schermo.

La bruttezza del profilo è una fissazione che afflige la signorina Menichelli. Noi saremmo felici di spere chi le ha detto che di profilo è tanto brutta. Certo la signorina Menichelli non può essere paragonata precisamente alla Venere di Milo o di Capua, ma non è certo una donna tale da essere obbligata a ricorrere a tanti artifici per recitare… Tanto più che la recitazione è un’arte che raggiunge la perfezione appunto quando ha raggiunta la naturalezza.

La signorina Menichelli può esser detta invece la più artificiosa attrice italiana di cinematografo.

Siccome il teatro non può esser visto che di fronte, e siccome per teatro non s’intende certo la visione di un solo personaggio, ma lo svolgersi di un’azione, è evidente, che quando due personaggi sono in scena debbono esser collocati in modo che il pubblico possa vederli entrambi e quindi il più delle volte gli attori risultano di profilo. La signorina Menichelli ci fa invece esistere a dei colloqui in cui essa volge costantemente la schiena al suo interlocutore, che non può starle davanti che altrimenti il pubblico non vedrebbe niente, e non può starle di fianco perché altrimenti la Menichellissima dovrebbe, per rispondergli, apparire di profilo.

Quando poi non può fare a meno di voltarsi, Pina Menichelli si volta con tale una furia e così completamente che il pubblico, che è stato fino a un secondo prima ossessionato dalla perenne luna piena del volto Menichelliano passa immediatamente in luna nuova senza la logica successione dell’ultimo quarto… Ciò che stanca gli occhi e dà l’idea di trovarsi di fronte a una donna serpe, affetta da istero-epilessia.

Menichelli a parte La Storia di una donna è una bella pellicola, e con La contessa Sara forma la coppia dei migliori lavori dell’U.C.I.

(immagine e testo archivio in penombra)