La crisi, la banca, le masse, e il Re della Cinematografia

Il figlio di Madame Sans-Gêne, Tiber Film 1921, messa in scena di Baldassarre Negroni
Il figlio di Madame Sans-Gêne, Tiber Film 1921, messa in scena di Baldassarre Negroni, al Cinema Modernissimo e al Teatro Quattro Fontane, dicembre 1921

Dicembre 1921

L’agitazione dei cinematografisti.

Domenica 4 corr. ebbe luogo al Teatro Trianon il secondo comizio di tutti gli aderenti alle varie organizzazioni cinematografiste romane.
Il comizio riuscì imponentissimo per il numero degli intervenuti e per la discussione ordinata ed elevatissima che si svolse a tutela dei vitalissimi interessi generali di tutte le classi dei Lavoratori del Cinematografo.
Infine venne votato all’unanimità e con entusiastiche acclamazioni il seguente ordine del giorno:
« L’Assemblea di tutti i lavoratori intellettuali e manuali del film;
Constatando con il più vivo compiacimento l’affermazione raggiunta presso l’opinione pubblica e il Governo attraverso la solenne dignitosa manifestazione del 26 novembre c. a.;
Constatando con soddisfazione come l’accettazione da parte del Governo e del Consiglio Superiore delle Industrie Cinematografiche della discussione di un ordine del giorno presentato dalla F. A. C. I. e dalle organizzazioni implica un riconoscimento di fatto delle organizzazioni stesse, riconoscimento consacrato, del resto, nel 1. articolo del medesimo ordine del giorno;
Deplorando peraltro la interruzione delle riunioni del Consiglio Superiore delle Industrie Cinematografiche avvenuta subito dopo le prime deliberazioni concrete, interruzione inopportuna nella tragica crisi di disoccupazione;
Ritenendo che ogni formale promessa non potrà avere la sua concreta attuazione se non sotto la pressione delle organizzazioni maggiormente interessate alla soluzione della crisi;
Delibera di continuare e intensificare la propria azione indipendente, dovunque e comunque sarà necessaria, perché al più presto si raggiungano le vittorie materiali, e ne dà mandato al Comitato di agitazione;
Decide di demandare al Comitato stesso la nomina di un Direttorio Segreto di Azione cui l’Assemblea dà ampio mandato di poteri, impegnandosi all’assoluta e rigorosa disciplina per l’impiego di tutti i mezzi legali e federali ».

La Banca Italiana di Sconto chiude i suoi sportelli. Grande panico nell’ambiente cinematografico.

Roma, 7 dicembre 1921. Col concordato di questi giorni, la Banca Italiana di Sconto, intesa come organizzazione libera e indipendente, è passata a miglior vita.
Per le mani degli stessi necrofori per cui è passato il cadavere bancario, passeranno tutte le imprese che dalla Sconto traevano vita. Con l’Ansaldo e con gli altri figli incestuosi dei superuomini di Piazza in Lucina, passeranno la gran parte delle imprese cinematografiche italiane.
È soltanto adesso che incomincia, per la cinematografia nostra, la crisi: la vera, e non quella creata ad arte dagli industriali in fregola di nuovi aumenti di capitale.
La crisi — vera — in cui entra oggi la cinematografia d’Italia, può esser paragonata a quella che si verifica in un’osteria quando si cambia il proprietario.
Il nuovo venuto vuol vedere tutto e rendersi conto di tutto, e per intanto ferma tutto affiggendo sulle porte un telone provvisorio con la scritta: “Prossima apertura”.

L’avv. Barattolo bastonato da un operatore cinematografico.

Roma, 10 dicembre 1921. Oggi, verso le 13,30, l’avv. Giuseppe Barattolo, consigliere delegato dell’Unione Cinematografica Italiana, uscendo dagli uffici di piazza dell’Esedra, è stato fermato da un individuo dimessamente vestito che lo ha apostrofato intimandogli di trovargli lavoro. L’avv. Barattolo gli ha risposto che per il momento, trovandosi l’industria cinematografica in crisi, non aveva lavoro per nessuno. Lo sconosciuto allora si è slanciato contro il Barattolo, percuotendolo al viso con pugni e bastonate.
Mentre alcuni passanti soccorrevano l’aggredito, alcune guardie regie arrestavano l’aggressore accompagnandolo all’ufficio di P. S. del Viminale, dove il vice commissario Pasarini lo ha identificato per l’operatore cinematografico Giovanni Del Gaudio, di anni 20, da Napoli, abitante in via Raffaele Cadorna 13. L’avv. Barattolo è stato dichiarato guaribile in 15 giorni.

L’azione violenta del Del Gaudio va unanimemente deplorata. Essa però purtroppo è l’esponente dello stato di animo delle masse, che se hanno delle colpe, non devono essere illuse, né aizzate… E preferiamo non aggiungere altro, augurando al comm. Barattolo — che da notizie dirette sappiamo già quasi guarito — una completa prontissima guarigione.

Il Re della Cinematografia.

Pasquale Parisi, carissimo amico nostro e scrittore di grande talento, volle un giorno farci l’onore d’inviarci un suo articolo, intitolato appunto Il Re della Cinematografia. Parisi enunciava tutte le cause del fallimento che presto avrebbe dovuto colpirci e che in effetti ci colpì: le donne erano le padrone, gli uomini perdevano la testa per un paio di mutandine ecc. ecc., e dava la colpa di tutto questo erotico ruzzare al Re della Cinematografia che proponeva di detronizzare. E concludeva: Chi sia il Re della Cinematografia lo dirò un’altra volta.
Non ha più scritto, ma i lettori compresero bene e ricordano ancora. Il Re della Cinematografia è quell’affare che spinge l’uomo a coricarsi con la donna e rende forte la donna che vuole sfruttare l’uomo. È Priapo, dio formidabile a cui i Greci ebbero il buon gusto di elevare dei monumenti.
Orbene che cosa mai combinano alcuni quotidiani fra i quali anche qualcuno molto amico di Barattolo? Lo gratificano del titolo di Re della Cinematografia credendo di fargli un complimento, e non dubitiamo nemmeno che gli fanno atroce ingiuria.
Un po’ di colpa però va anche all’avvocato che troppo spesso si fa portare agli onori della cronaca.
(A proposito. Quando leggemmo che il Del Gaudio era stato tenuto al fonte battesimale dal buon papà del commendatore, sospettavamo che ci doveva essere un trucco. L’avvocato s’è fatto dare quattro sganassoni per fare la vittima della F. A. C. I.; così pensammo. Invece, appurando appurando, abbiamo saputo una storia meravigliosa che comincia da una cava di tufo, che prima era dei Del Gaudio, che continua con la medesima cava che fu imbarattolata da un altro proprietario, e di tante altre cose spassose a sentirsi e che finiscono con le ficozze dell’altro giorno).
E francamente c’è dispiaciuto di sapere un Re della Cinematografia così malmenato, tanto più che si sa che i Re della Cinematografia, presi con dolcezza, finiscono con l’ammosciarsi mentre invece i colpi, le spinte ecc. li fanno diventar più ritti che mai…

Assunta Spina al cinematografo

« A Nelly la Gigolette seguì Assunta Spina: protagonisti io e Gustavo Serena, registi io e Gustavo Serena, aiuto registi io e Gustavo Serena. »
Francesca Bertini
(Film, 10 settembre 1938)

Affermazioni false, auto-esaltazioni e iperboli sono materia prima della storia del cinema, come scrive Kevin Brownlow nel suo Hollywood  – L’era del muto a proposito di una dichiarazione di Thomas Alva Edison nel 1891, ma la leggenda intorno alla vita e le opere di Francesca Bertini occuperebbe uno dei primi posti nel caso di una classifica internazionale sui misteri mai risolti della storia del cinema. E più passano gli anni, e più il mistero s’infittisce. Le poche notizie attendibili vengono regolarmente sepolte sotto un nuovo strato di leggende. Come scrive Costanzo Costantini « addentrarsi nella vita di Francesca Bertini è come inoltrarsi in una nebulosa, in una “nebulosa stellare”, trattandosi d’una delle più grandi “stelle” del cinema: bisogna dipanare la bibliografia più confusa, contraddittoria e approssimativa con la quale l’intera storia del cinema muto italiano ci metta alle prese. »

Proviamo a entrare in questa nebulosa e prendiamo, per esempio, la storia della realizzazione di Assunta Spina, girato negli ultimi mesi del 1914.

Cominciamo dalle fonti cartacee dell’epoca. Quelle sopravvissute…

Francesca Bertini, che il 4 settembre 1914 aveva firmato un contratto con Gioacchino Mecheri, viene “prestata” per un mese alla Caesar Film di Giuseppe Barattolo, mentre Mecheri finisce di costruire il teatro di posa di una nuova casa di produzione che si chiamerà Bertini Film:

« Ci viene comunicato che una nuova ed importante Casa editrice sorgerà fra breve nella capitale sotto l’iniziativa del solerte e geniale avv. Mecheri, già direttore generale della Celio films. Tanto all’estero che in Italia sono conosciuti ed indiscussi il valore e l’attività dell’egregio avv. Mecheri; è tanto più che ci si assicura che Francesca Bertini la bellissima e bravissima attrice cinematografica Stella Italiana sia già stata scritturata dalla nuova Casa che inizierà prestissimo i suoi lavori e che della Bertini prenderà il nome. Dunque… auguri… auguri.. »
(Il Maggese Cinematografico, 30 ottobre 1914)

I primi due film di Francesca Bertini per la casa di Giuseppe Barattolo sono Nelly la Gigolette e Don Pietro Caruso dall’atto unico di Roberto Bracco, messa in scena di Emilio Ghione, direttore artistico della Caesar Film. Il primo sarà un grande successo di pubblico, il secondo sembra scomparso nel nulla.

Verso la metà di ottobre, mentre “i quadri del Don Pietro Caruso vanno a gonfie vele”, Francesca Bertini chiede e ottiene da Gioacchino Mecheri una proroga fino al 1° novembre 1914 per completare la lavorazione dei film “promessi” alla Caesar Film di Barattolo. Più o meno in contemporanea vengono pubblicate sulla stampa le prime notizie sulla trasposizione cinematografica di Assunta Spina:

« La Caesar Film ha acquistato il diritto di riprodurre Assunta Spina di Salvatore di Giacomo. »
(La Cinematografia Italiana ed Estera, 1-30 ottobre 1914)

Sembra che nel corso della lavorazione degli esterni a Napoli la troupe di Assunta Spina, o meglio la mini troupe composta da Francesca Bertini, Gustavo Serena e l’operatore Alberto Carta, abbia dovuto fare i conti prima con la popolazione locale — “Ci hanno buttato addosso persino dei pomodori, e siamo dovuti scappare” racconterà la Bertini in numerose occasioni ricordando le riprese — e poi con un tempo eccezionalmente cattivo che costrinse la troupe a rimanere inoperosa per due settimane. Tutto ciò obbligò alla Bertini a ritornare da Mecheri per chiedere un’ultima e definitiva proroga fino al 15 dicembre, fu concessa ma per quella data Francesca aveva già deciso di rompere il contratto con Mecheri e firmare con Barattolo. La “cosa” finirà nei tribunali e non sarà che l’inizio di un duello tra “due cavazioni, due botte dritte; tu mi prendi Ghione, io ti biffo la Bertini, da quel momento due volontà decise, cocciute, non si concederanno quartiere, mai più”, come ricorderà anni dopo Emilio Ghione nelle sue memorie.

Chi prese la decisione di portare sullo schermo Assunta Spina? Secondo Vico d’Incerti, che nel 1952 si mise in contatto con Francesca Bertini e Gustavo Serena:

« Fu lui (Salvatore Di Giacomo n.d.c.), infine, a suggerire il film nel 1914 — come risulta dalla lettera che inviò a Francesca Bertini in quel tempo — anche se poi non collaborò che in minima parte, limitandosi a scrivere, dopo ripetute insistenze, la didascalia iniziale (che giunse per altro quando il film era ormai montato, e non poté quindi essere inserita).
(…)
Cos’è rimasto del dramma da cui è derivato, nel film che la Caesar realizzò a Roma negli ultimi mesi del 1914, quando era ancor viva l’eco del successo teatrale? Non molto, purtroppo, oltre al fatto. (…) Quanto nel film è stato aggiunto rispetto al lavoro teatrale, cioè il lungo antefatto, è linearmente raccontato: serve allo scopo senza, naturalmente, apportare pregi artistici. La sceneggiatura di questo preambolo è stata suggerita dalla stessa Bertini: era lei che del dramma sapeva tutto, perché la compagnia napoletana con la quale, giovinetta, aveva recitato prima di passare al cinema, l’aveva in repertorio; lei stessa vi aveva preso parte nelle vesti di una delle stiratrici, e all’autore era legata da affettuosa amicizia. Di Giacomo preferì non mettervi mano, perché — scrisse alla Bertini — non aveva alcuna pratica in questa nuova e per lui ancora misteriosa tecnica del cinema. Gustavo Serena poi, che del film fu non solo interprete, ma anche metteur en scène, si lasciò di buon grado suggerire dalla Bertini nel tracciare la sceneggiatura, per la ragione non trascurabile che contraddire quel demonio di ragazza era già allora impresa pressoché impossibile non solo per lui, misurato e cortese signore, ma anche per chi avesse avuto animo più battagliero del suo. »
Vico D’Incerti
(ferrania, giugno 1952)

Qualche anno dopo la versione offerta da Francesca Bertini nella sua autobiografia è diversa:

« Per consiglio di Barattolo, scrissi subito a Salvatore Di Giacomo pregandolo di concedere alla Caesar Film i diritti cinematografici dell’Assunta Spina. Gli dissi anche la mia grande felicità di poter finalmente interpretare la sua commedia che tanto amavo. Il grande poeta non si fece pregare: mi rispose immediatamente concedendo a Barattolo i diritti di riduzione cinematografica del suo dramma. Nella lettera, che purtroppo è andata distrutta con le altre cose che avevo e con tanti ricordi del passato, egli, tra l’altro, scriveva:
“Io non ho idea di cosa sia la sceneggiatura di un film. Affido a te la mia opera. Desidero, comunque, che l’adattamento cinematografico sia fatto da te, da te sola. come tu lo vedi e come tu lo senti, cinematograficamente parlando.” Io sapevo a memoria la commedia e fu per me estremamente facile la sua trasposizione cinematografica. Vi aggiunsi il prologo e la scena davanti allo specchio in cui Assunta si guarda, dopo essere entrata, ferita in un basso napoletano in preda all’ansia e la disperazione. Questa scena entusiasmò il pubblico e piacque molto anche a Salvatore Di Giacomo. Cooperò alla regia Gustavo Serena, che fu pure interprete valoroso del personaggio di Michele. »
Francesca Bertini
(Il resto non conta, Giardini 1969)

Le versioni non concordano, ma sopratutto non è molto credibile il disinteresse di Salvatore Di Giacomo nella trasposizione cinematografica della sua “creatura”. In mancanza di documenti d’epoca (lettera, cessione di diritti, ecc.), proviamo a consultare le fonti d’epoca.

Nell’autunno 1913 viene fondata a Roma la Morgana Films, edizioni d’arte, direttori amministrativi marchese Alfredo Capece Minutolo di Bugnano ed il comm. Levi, direttore artistico Nino Martoglio. Uno dei progetti che vengono annunciati è la versione cinematografica di Assunta Spina della quale parla in questa intervista Salvatore Di Giacomo:

« Roma, 5 febbraio 1914. (…) Salvatore Di Giacomo si trova a Roma per la convocazione della Commissione per l’Arte Drammatica, di cui egli è stato chiamato a far parte in sostituzione dell’on. Romussi. L’ho trovato ieri mentre rispondeva non so a quante lettere, e davanti a lui c’era una farraggine di carte, che erano come il documento della sua meravigliosa e formidabile attività. Perché Salvatore Di Giacomo è un lavoratore straordinario. Direttore della magnifica Lucchesiana di Napoli, da lui creata, ordinata e portata a grande lustro, egli trova il tempo di dirigere delle collezioni di volumi di erudizione e di arte, far delle ricerche storiche, scriver libri, riordinare la sua antica produzione, scrivere quelle delicate e maravigliose canzoni napoletane che han fatto la fortuna del Polyphon, e poi articoli per riviste giornali, ed ora anche lavorar per il cinematografo. L’autore di Assunta Spina era raggiante di gioia perché aveva scovato non so dove un codice del secolo XVIII manoscritto, rilegato in pergamena e contenente versi sotto il titolo alquanto idilliaco di Divertimenti estivi.

(…)

Scoprii le mie batterie e domandai cosa preparasse, se fosse vero di una riduzione di Assunta Spina e di altri suoi lavori per il cinematografo, quali intendimenti portasse nella Commissione per l’Arte Drammatica.

Cercò di schermirsi, inutilmente, poi si confessò vinto:

— Vi devo dire, prima di tutto, che io amerei piuttosto di far bene, scambio di far sapere. Senonché le forme della investigazione giornalistica moderna sono tali che non si riesce facilmente a sottrarsi agl’interrogatorii, cui non possono sfuggire nemmeno i solitarii. Credo, caro amico, di essere imputato in questo momento, davanti a voi, di due cose: di prender parte, in sostituzione di Romussi, alla Commissione governativa per l’Arte Drammatica, e di aver ceduto il diritto ad una grande società romana, di cavarne una film della Assunta Spina.

— Poiché dunque accettate la parte di imputato, discolpatevi allora davanti quel grande giudice che è S. M. il pubblico. Io sarò lieto di farvi da cancelliere verbalizzante.

— Per la prima parte che devo dirvi? Farò il mio dovere di artista e galantuomo, e impiegherò quel poco di talento che ho per sostenere tutto quel che è bello, utile e decoroso in quelle discussioni.

— E per la film Assunta Spina?

— La film? Ecco: io ho molto volentieri acconsentito alle idee della nuova società. Volere o volare, il cinematografo è in troppa voga perché lo si possa discutere dal lato della invasione e dell’interessamento vivissimo che suscita. Si può discuterlo, e assai spesso, del suo lato artistico, estetico e direi anche logico. Infatti è la ragione, è la logica più comune che spesso mancano a queste rappresentazioni. Ai personaggi dei drammi e delle commedie la cinematografia toglie qualche cosa che, assieme con la materiale agitazione scenica, è l’arma magnifica dello scrittore: la parola. Non hanno più la medesima forza di prima il riso, il pianto, l’apostrofe, la preghiera, non più un grido vi fa davvero gelare, un singhiozzo far versare lacrime. Ora a questa mancanza si è creduto che bastasse sostituire apparati sorprendenti, paesaggi, marine, chiari di luna e splendori di sole ed esposizioni di spettacoli naturali fin qua ignoti a noi e che non avremmo mai veduti e non vedremmo. Non basta. Un fatto che non si colleghi con bell’ordine d’immaginazione a queste esposizioni esula naturalmente dall’interessamento generale dello spettatore. La tela malamente intessuta si rimpicciolisce, e il particolare uccide l’idea. Il pubblico si è già accorto della insipienza e della banalità di molti di questi spettacoli. Egli chiede bensì di commuoversi e d’interessarsi, ma non vuole interrotta o sviata la sua emozione e la stupidaggine lo disgusta. Occorre che degli artisti, dei veri artisti sorveglino da vicino la composizione degli spettacoli ed anche ne apprestino di più umani, di più logici, di più artistici, in una linea che soddisfi l’occhio e la mente nel tempo istesso.

— Ed è a questa nobilitazione della film dunque che voi intendete contribuire?

— E perchè no? Si è piegato a consentire che un suo nobile suggestivo lavoro sia cinematografico un insigne scrittore di grande sensibilità ed onestà artistica: Roberto Bracco. Ha convenuto forse egli, come convengo io, che l’azione di Sperduti nel buio debba nel cinematografo essere più diffusa e variata e che un necessario ordito più peculiare debba esprimere tanti momenti di quella dolorosa concezione che il drammaturgo ha in origine separata dalla sua esposizione più completa, rapida e serrata com’è. La sua fantasia si eserciterà a comporre questo nuovo materiale quasi sussidiario, e l’esperienza di un nostro collega valoroso, Nino Martoglio, il quale si è più avvicinato alla conoscenza tecnica di questa nuova forma di spettacolo, aiuteranno il mio caro amico e concittadino. Il suo esempio m’incoraggia perché mi viene da un artista col quale ho vissuto i primi anni di giovinezza, e che m’è stato di esempio ancora nell’amore per l’arte e pel rispetto per l’arte.

— Spero però che non abbandonerete completamente il teatro per il cinematografo!

— Questo no, ma che volete? La Francia e tutti gli altri paesi offrono proventi ben più larghi a chi fa il teatro e per avventura ne ottenne successo. E l’Italia non troppo. Nel caso mio, visto che io non scrivo che per il teatro dialettale, i proventi sono irrisorii quando si pensa che una sola Compagnia dà le cose mie, La Magnetti intanto ha sciolta la sua (ma spero che lei tornerà alle scene) ed ecco mancanti di colpo i proventi. Più eque e più generose invece le società cinematografiche rimunerano ben più largamente gli autori. Il dunque tiratelo voi…

— Per il momento però il cinematografo non avrà dunque da voi che Assunta Spina?

— Sì, io ho ceduto il diritto, ed essa sarà interpretata da quei due suggestivi artisti che sono Giovanni Grasso ed Adelina Magnetti — come vedete una bella unione di forze espressive. Non è detto però che io non farò delle cinematografie originali, che anzi qualcuna ne ho già disegnata nella fantasia. Penso che v’è da mescolare ai soggetti drammatici i buoni soggetti idilliaci, sentimentali che mandino il pubblico contento a casa e che facciano benedire la cinematografia. Ed io credo che mi metterò precisamente su questa via.

— E l’Assunta Spina cinematografica seguirà fedelmente il dramma originale?

— No completamente, perché bisogna adattarlo alle esigenze tecniche e sceniche della cinematografia, ma il dramma sarà sempre quello.

E Salvatore di Giacomo, con parola colorita e con quel suo gesto largo e sobrio ad un tempo mi spiega le grandi linee della riduzione cinematografica di Assunta Spina.

— Ridurrete altri vostri lavori per il cinematografo, oltre ai lavori originali?

— No. Gli altri miei lavori teatrali non si prestano a siffatte riduzioni per la prevalenza di elementi scenici che non si possono costringere ad ammutolire sullo schermo cinematografico e sopprimendo i quali l’azione perde i suoi caratteri peculiari.

Renato La Valle
(Il Giornale d’Italia) 

Sembra più che evidente l’interesse di Don Salvatore per il cinematografo, e dall’intervista non si direbbe che fosse proprio del tutto nuova per lui la “misteriosa tecnica del cinema”. La versione cinematografica di Assunta Spina con Adelina Magnetti, prima interprete del dramma sulle scene di prosa, e Giovanni Grasso rimase un progetto per motivi che qui sarebbe molto lungo da spiegare. Dall’intervista si capisce abbastanza chiaramente che Don Salvatore aveva pronto un soggetto, forse un abbozzo di soggetto. Com’era la prima versione cinematografica di Assunta Spina scritta da Salvatore Di Giacomo? Assomigliava alla versione Bertini-Serena? Era la stessa?

Per finire, ritornando alle “leggende” intorno a Francesca Bertini (vedere gli extra nel DVD  pubblicato pochi giorni fa dalla Cineteca di Bologna – Fondazione Cineteca Italiana), Vittorio Martinelli era un grande storico del cinema e una persona molto divertente… La storia di Michele Di Giacomo (Miquel), fratello “degenere” di Salvatore Di Giacomo con “una capoccia così” l’ho sentita più volte e non soltanto da lui. Purtroppo, secondo l’anagrafe, Salvatore Di Giacomo, figlio primogenito di Francesco Saverio e Patrizia Buongiorno, aveva soltanto due fratelli: Gustavo (che diventò giornalista professionista), ed Eugenia. Inoltre, che l’autoritaria (e amatissima) mamma Patrizia abbia convinto Salvatore a vendere i diritti di Assunta Spina a Giuseppe Barattolo nel 1914 risulta molto improbabile, per non dire impossibile: Patrizia Buongiorno morì a Napoli il 21 luglio 1909. Tutto questo “io dissi” a Vittorio nel lontano 2003, lui non si arrabbiò affatto, anzi mi disse: “Vuoi fare il prossimo libro su Francesca Bertini con me?”. Un caro saluto Vittorio, là dove tu sia!

Si gira La mia vita per la tua! settembre 1914

Emilio Ghione
Emilio Ghione

Dalle memorie di Emilio Ghione:

Stavo girando con i Benetti e Collo il film Spine e lacrime, quando una telefonata mi avvisò che l’avv. Barattolo desiderava parlarmi.

Quando gli fui di fronte, Don Peppino mi chiese:

«Ha del coraggio, Ghione?»

Il mio viso interrogò muto; egli prese un foglio di carta e me lo porse.

Era un contratto, per l’esecuzione, in termine dato, di un soggetto, scritto da Donna Matilde Serao. Per il complesso artistico, erano imposti due nomi — Signora Maria Carmi, e Tullio Carminati.

L’avvocato osservò:

«Il contratto è gravoso, per la limitazione tempo, a giorni settantacinque consegna, copia positiva campione, con titoli. Che dice, Ghione? Siccome dipende da lei, si deve fare?»

Porgendogli l’impegno, risposi:

«Firmi».

Mi tese la mano, la promessa sarebbe stata mantenuta. Ebbi il manoscritto, dal titolo:

La mia vita per la tua.

La signora Maria Carmi, già la conoscevo: aveva girato alla Cines il film Retaggio d’odio ed alla Savoia Film l’Accordo in do minore palesando un temperamento non comune, per quanto poco sfruttato da impari direzione. Dovendo essere la protagonista del nuovo lavoro, ove si svolgeva un ruolo di donna fatale, decisi di essere, giudicandola donna di spirito, molto franco con lei. Le dissi che pur riconoscendole doti squisite d’artista, non approvavo completamente il suo recente operato e la pregai di seguirmi e d’essere mia collaboratrice. Apprezzò infinitamente la mia sincerità, si che mi fu nel lavoro, camerata gentile e valorosa.

Emilio Ghione e Maria Carmi
Emilio Ghione e Maria Carmi, La mia vita per la tua (1914)

Roma, 15 settembre 1914. Maria Carmi parla del soggetto che Matilde Serao ha scritto.

I grandi occhi dilatati come nell’estatica contemplazione di un sogno, le labbra tuttavia frementi, quasi agitate da un vivo palpito interiore, aveva terminato allora il suo quadro e s’abbandonava ad un momentaneo riposo, lì, sulla ridente veranda del teatro di posa.

— Siete stanca?

— No, no… Tutt’altro! — rispose — Io non mi stanco mai. Sono commossa, invece!

Infatti palpitava tutta, come agitata da un possente fremito interiore, che non riusciva a domare.

— Guardi. Questo soggetto mi prende tutta. Poche volte in teatri di posa mi è capitato in egual modo di immedesimarmi completa ed intera nel personaggio da rappresentare. Nelle brevi ore che passo davanti all’obbiettivo, questa volta mi sembra davvero di sdoppiarmi in una vita nuova, tanto le situazioni del dramma ed i sentimenti del personaggio si ripercuotono in ogni mia fibra! Creda pure: Matilde Serao con questo soggetto che noi stiamo interpretando, non solo ha mostrato ancora una volta di essere la massima scrittrice moderna, ma anche rivelato delle magnifiche attitudini teatrali e, quel che più conta, ha saputo fare del cinematografo vero come nessun altro autore sin’oggi.

Dunque Maria Carmi era entusiasta del lavoro che eseguiva. Il suo entusiasmo appariva tanto più sincero, in quanto che ella, di solito così restia a parlare di sè e dell’opera propria, ora s’indugiava ad esprimere la sua ammirazione per l’opera da compiere.

— In questi giorni — ella continuava a dire — qui, nel nitido e ridente teatro della Caesar Film le assicuro che, impersonando la passionale e bizzarra eroina immaginata dalla Serao, ho provato effettivamente delle sottili sensazioni nuove e delle emozioni indescrivibili, come se sul serio fossi proprio io stessa in persona la protagonista dell’avventura. E’ questo il primo successo del lavoro, giacché, anche prima di avvincere il pubblico, Matilde Serao ha saputo ottenere sì viva opera di suggestione sui suoi interpreti. Evidentemente, la grande scrittrice italiana ha dovuto proprio sentire nella sua anima i fremiti ed i palpiti che ha immaginato per le persone della sua fantasia; onde il lirismo di tutto il dramma è così penetrante, che deve necessariamente commuovere noi stessi attori, che siamo chiamati ad essere, per lo più, solamente mezzo di riproduzione.

Volemmo indi richiedere alla illustre attrice qualche particolare sulla trama del soggetto, ma ella si ricusò risolutamente:

— Si tratta di un grande dramma veramente umano, in cui sono messe a nudo delle passioni ed in cui il più ineffabile dolore è espresso in un’azione rapida, stretta e densa. Non posso dire altro.

Credemmo inutile insistere ancora per ottenere un’indiscrezione sullo spunto del dramma. Mario Carminati (sic Tullio) — il magnifico attore della compagnia Di Lorenzo, che la Ditta Coscia e Xilo ha espressamente scritturato per assicurare un’insolita solennità d’arte all’esecuzione dell’eccezionale lavoro — ed Alberto Collo, venivano a riprendere la diva, mentre dal teatro di posa si avvertiva che la nuova scena era pronta.

Immediatamente il volto di Maria Carmi assunse quella sua caratteristica profonda impronta di passione, gli occhi sfavillanti, la bocca dischiusa come ad un irrefrenabile sospiro; si avviò alla scena, già trasformata nella fisionomia, già fremente nelle vibrazioni della parte.

Emilio Ghione, il prezioso direttore, disponeva colla sua calma serena e precisa il succedersi dei quadri; e noi, assistendo, pensavamo che lì, nel nitido e tranquillo teatro della Caesar Film, si preparava davvero il maggiore avvenimento di arte cinematografica italiana: un soggetto di Matilde Serao, un’interpretazione entusiastica di Maria Carmi col concorso di Carminati e dei migliori artisti della Caesar Film; un’altra squisita direzione di Emilio Ghione… Era dunque il caso di non lesinare elogi e rallegramenti ai due giovani ed intelligenti iniziatori di questo inaudito avvenimento, i componenti la Ditta Coscia e Xilo, i quali hanno così mostrato di comprendere veramente che cosa sia nei tempi attuali un’iniziativa destinata a suscitare il massimo interesse nel mondo intero.
E. Fornoni

Dalle memorie di Emilio Ghione: «Tullio Carminati disimpegnò abbastanza bene il ruolo suo, di primo attore, ed Alberto Collo, fu efficacissimo nel sostenere la parte dell’ammalato d’amore. Alla visione del film, Donna Matilde, fu veramente entusiasta, e me lo espresse con quella sua famigliarità tutta partenopea, applicandomi sulle guance un chiassoso paio di bacioni. Honny soit, qui mal y pense!»