Come ho creato Manolescu

Ivan Mosjoukine

Giorgio Manolescu, che in un certo momento fu il re dei cavalieri d’industria, occupò di sé le cronache di tutto il mondo verso la fine del secolo scorso. Ciò dimostra che questo emerito filibustiere era veramente cosmopolita. Vi furono delle canzoni sulle prodezze di Manolescu, dei romanzi la cui materia fu ispirata dagli avvenimenti di cui la sua vita fu piena, e vi fu pure l’immaginazione di R. Rinaldini, che aggiunse colore alla notorietà.

Al principio dello scorso anno, il gruppo direttivo Bloch-Rabinowisch, che presiede ad uno dei reparti della produzione Ufa mi propose d’interpretare la parte del protagonista nel film che si sarebbe realizzato sulla vita del celebre avventuriero. Il metteur-en-scène Tourjanski s’intrattenne lungamente con me per esaminare le possibilità che si sarebbero sfruttate nell’interpretazione del mio personaggio. Quindi mi procurai tutta la documentazione contemporanea allo scopo di possedere un completo ed esatto corredo di cognizioni, quando si fosse iniziata la lavorazione. Ma fu proprio durante la lettura di quei documenti, che provai una prima delusione. Dopo tutto ciò che l’immaginazione e la verità mi avevano appreso sul mio personaggio, ebbi l’impressione che nella personificazione a cui mi accingevo non sarebbe stato il materiale aneddotico che avrebbe fatto difetto per ricostruire una vita così turbolenta, ma mi sarebbero mancate le possibilità per organizzare il detto materiale secondo una lirica drammatica. Con i documenti che avevo esaminati si poteva bensì realizzare un film sensazionale; ma ciò era troppo poco nei confronti delle intenzioni dei produttori, come pure della concezione che io avevo avuto da tutta la mia parte. Si aggiunga inoltre che Manolescu nell’attuazione dei suoi « colpi », si manifestava abbastanza primitivo e non s’imponeva mai dei compiti difficili; ma al momento d’intraprendere il suo « lavoro », si rimetteva sempre, sia alla debolezza delle sue vittime, sia al capriccio del caso.

Un giorno ebbi fra le mani uno studio di psicologia criminale del Dott. Erich Wulfen, avvocato generale a Dresda, uno studio che mi fece intravedere una scappatoia. Quest’opera offriva la chiave di quell’anima di criminale, e metteva in luce tutto ciò che poteva essere di patologico in Manolescu.

In questo modo il modello che andavo forgiandomi, cominciò ad avere contorni determinati. In alcune lettere di Manolescu ricorrono sovente, simili a un doloroso ritornello, frasi come queste: « Voi sapete come io non abbia altri desideri che di guadagnare il mio pane onestamente, di godere di un focolare tranquillo e pacifico e di assaporare la felicità nell’ombra ».

Tali aspirazioni dimostrano indubbiamente che Manolescu non fu né un ladro professionale completamente corrotto, né un superuomo ergentesi al disopra del bene e del male. La figura di questo avventuriero, spogliata di colpo di quella specie d’incanto di cui la lontananza del tempo l’aveva circondata, cominciò subito a guadagnare in interesse psicologico.

Non rimaneva più che da illuminare la vita sentimentale di Manolescu, e quando anche questo lavoro fu compiuto mi vidi dinanzi un uomo di carne e sangue, che mi tornava graditissimo far rivivere nella mia interpretazione.

Il mio modello era là: Manolescu, il vagabondo continuamente dominato dall’aspirazione verso un’esistenza borghese, che si era abbandonato alla discrezione di una donna, della quale soltanto dipendeva di annientarlo o di salvarlo. Ma d’altra parte non ci si poteva limitare alla donna che esercitò sull’avventuriero una simile influenza.

Nel film è Brigitte e Helm, che incarna Cleo, la donna che nella vita di Manolescu, simboleggia la prima grande passione, e lo getta — ossia, mi getta — nelle spire del delitto. È una folle bambola danzante, che non ha quasi neppur coscienza del suo potere. Sempre attraente, sempre affascinante, ella fa di Manolescu la sua vittima, fino a non lasciargli più scorgere, nella sua ossessione di perseguitato, altra uscita possibile.

La seconda donna che porta la felicità sognata, la pace e la tranquillità, è Dita Parlo.

E non si tratta di un continuo movimento di oscillazione tra l’una e l’altra, d’una scelta tra questa e quella. Ma piuttosto d’imparare a distinguere nella vita i principi del bene da quelli del male. E, secondo il mio pensiero, è là il problema centrale di Manolescu, il mio modello. Si è trattato di creare un carattere che potesse scoprire il bene ed il male, ma non soltanto fra le donne che lo circondavano, ma ancora in se stesso.

Ivan Mosjoukine

Mosjoukine à Hollywood

Ivan Mosjoukine et Robert Florey, Hollywood 1927
Ivan Mosjoukine et Robert Florey, Hollywood 1927

Ivan Mosjoukine, qui débarqua à New York le 12 décembre 1926, y passa près d’une semaine et arriva à Hollywood le 22 décembre. Tous ses amis de Paris l’attendaient avec impatience et s’ingénièrent à rendre son premier Noël à Hollywood aussi heureux qu’il pût le souhaiter. J’avais connu Mosjoukine à Nice, sept ans auparavant, alors qu’il ne parlait pas encore français, et par une amusante coïncidence je le retrouvais dès son arrivée en Californie, alors qu’il ne comprenait un mot d’anglais. Mais durant ces trois mois, il a beaucoup travaillé est il est maintenant capable, non seulement de lire ses scénarios, mias encore de s’exprimer avec un certaine facilité, l’argot américain même lui devient familier et il n’hésite pas à se servir d’expressions typicalement américaines telle que: “You bet!” (Tu parles!) ou encore: “O. K.,” prononcez “Aukay” (Très bien).
Après beaucoup de discussions et d’hésitations, Carl Laemmle décida que le premier “vehicle” starrant Mosjoukine serait Leah Lyon ou plus exactement Leah Leon, histoire juive dont l’action se passe en Russie et dans laquelle Ivan aura un rôle semblable à celui de Valentino dans L’Aigle noir. Mary Philbin, la “trouvaille” de Von Stroheim, a été choisie pour être la leading-lady de Mosjoukine. On avait tout d’abord pensé à Lya de Putti et à Conrad Veidt (ce dernier pour incarner le Grand Rabbin), mais à la dernière minute Carl Laemmle décida que Mary Philbin et Nigel de Bruler seraient les partenaires du créateur de Casanova.
Aujourd’hui, 10 mars, Mosjoukine, rebaptisé “Moskine”, reçoit “la alternativa” des cameras américaines sous le ciel facile de Hollywood, c’est-à-dire qu’il commence ce matin même son premier film aux studios de l’Universal.
(Robert Florey, Ivan Mosjoukine – Les publications Jean Pascal, Paris 15 Avril 1927) 

Si l’on juge par la dernière photo que nous adresse Mosjoukine, son séjour à Hollywood a l’air de se passer le mieux du monde.
« Le pays est merveilleux, dit-il; les premières semaines, in est bien un peu ébahi par les manières américaines, mais, au bout de quelque temps, on s’habitue très bien… Puis j’ai un excellent dérivatif: le travail.
Pensez donc que j’ai déjà tourné depuis mon départ, The Crisom Hour (l’Heure rouge) avec Edward Sloman comme metteur en scène et Mary Philbin, comme partenaire!(1)
Dans quinze jours, je vais commencer, sous la direction de Georges Melford, Il connut les femmes. Cette fois, Lya de Putti sera ma partenaire.
Il commence à y avoir ici une colonie cinématographique française assez importante.
Je vois souvent Paulette Duval, Arlette Marchal, Ginette Madie, qui sont de délicieuses camarades, avec lesquelles je parle souvent de la France et des bons amis que nous y avons laissés.
Il y a parfois un peu de mélancolie dans ces conversations. Nous sommes, évidemment, à un tournant de notre carrière, mais nous comptons bien que le travail que nous faisons ici, les films que nous tournons, seront vus et appréciés par nos admirateurs et nos admiratrices de France. Si j’ai déjà beaucoup  tourné depuis mon arrivé ici, Tourjansky et Mme Kovanko, par contre, se désolent de n’avoir encore rien fait. On s’instruit beaucoup à observer, leurs dis-je souvent, observez en attendant!
Et, ici, il y a de quoi satisfaire la curiosité des passionnés de l’art muet. Tous les studios: Universal, United Artists, First National, Famous Players Lasky font du film en série, et on travaille avec une rapidité et surtout avec des moyens encore inconnus chez nous » (Ciné-Miroir, Paris 16 Mai 1927)

(1) Surrender (Universal), le seul film qu’il y interpreta fut un échec commercial.
Mais on était en 1928 et toute la production était orientée vers le parlant. Or, Mosjoukine ne parlait pas un mot d’anglais. Et c’est ici que la seconde raison apparaît. S’il parlait le français et l’allemand assez bien pour se faire comprendre, son accent le rendait inapte à interpréter  quelque rôle que ce spit qui ne fut d’un Russe parlant la langue russe. Or, en 1929-1932, on n’en était pas encore au cumul des langues dans un film parlant et le doublage était inconnu.  Mosjoukine dut donc résilier con contract et rentrer en Europe.
(Jean Mitry, Ivan Mosjoukine 1889-1939, Anthologie du Cinéma, Octobre 1969)

Luigi Pirandello e il cinema

Ivan Mosjoukine nel film "Il fu Mattia Pascal" di Marcel L'Herbier 1926

Aprile 1926

Luigi Pirandello, la cui opera è già considerevole e del quale hanno soprattutto incontrato il favore del pubblico ben 24 volumi di novelle, non è che da soli sette anni autore di teatro. Eppure oggi le grandi metropoli mondiali: Roma, Parigi, Londra, New York, Berlino, Vienna, Bruxelles e Madrid vanno a gara nel presentare ai pubblici dei loro teatri le novità che escono la di lui penna.

Chi non conosce ormai Sei personaggi in cerca d’autore, L’uomo, la bestia e la virtù, Ciascuno a suo modo, Vestire gl’ignudi, ecc.?

Ciò non di meno Pirandello, la cui mentalità vasta e moderna è aperta alle novità ed al sincronismo perfetto fra il pensiero e la vita, ha sempre guardato con simpatia il cinematografo. Se, come egli spiega, se n’è fino ad oggi tenuto lontano devesi esclusivamente alle difficoltà fino ad ora da lui incontrate nel trovare possibilità di realizzazioni degne de l’opera sua.

E così ha ritenuto di poter tradurre per lo schermo un suo romanzo giovanile Il fu Mattia Pascal solo allorché si è reso conto che a tale realizzazione avrebbero concorso uomini della tempra di Marcel L’Herbier e di Ivan Mosjoukine.

Pirandello ha dichiarato:

— Se qualcuno si meraviglierà del mio tardivo avvicinamento al Cinematografo, è bene sappia che a ciò è estraneo ogni mio apprezzamento per tale forma d’arte. Finora io ho avuto rapporti di poca importanza con le Case Editrici cinematografiche. Tre miei lavori finora sono stati realizzati in films, senza che vi siano state apportate variazioni di sorta.
In America, una importante Casa, si interessò grandemente di un mio romanzo che avrebbe voluto tradurre in film offrendomi in compenso non pochi dollari. Ma mi imponeva di apportare al romanzo delle modificazioni che essa riteneva necessarie per la riproduzione su lo schermo.
Io, per la mia dignità di letterato, mi sono sempre opposto a fare della mia arte un genere di commercio, sicché mi opposi alla proposte della Casa in parola.
Oggi invece io son ben lieto di offrire per la realizzazione cinematografica il mio fu Mattia Pascal a Marcel L’Herbier di cui ben conosco il talento artistico.
Il cineasta di Don Giovanni e Faust saprà certamente ridurre per cinematografo il mio romanzo, mantenendogli la linea da me voluta sia letterariamente che filosoficamente.
Io ritengo infine che, più che ogni altra manifestazione artistica, possa il cinematografo darci la concreta visione del pensiero.