Nostra Signora di Parigi al Cinema Ambrosio

Notre Dame de Paris al Cinema Ambrosio di Torino 1924

Il romanzo victorugiano, noto in Italia attraverso una disastrosa tradizione di Ernesto Daquanno, ha acquistato oggi, mercé quel formidabile mezzo di propaganda che è il cinematografo, una popolarità di gran lunga superiore a quella che le edizioni letterarie gli avevano procurato fra di noi.

Il fenomeno non è nuovo. Particolarmente trattandosi di romanzo precipuamente fondato su principi filosofici, Nostra Signora era conosciuto molto superficialmente da grosso del pubblico, abituato a cernere in tutte le opere letterarie il “fatto” in sé stesso, spogliato, per ragioni di sensibilità, di tutta la sostanza psicologica. Il popolo, nella maggior parte dei casi, rifugge dalla analisi minuta dei fatti. Egli si accontenta dell’azione dinamica e non cerca di approfondire le ragioni determinanti.

Nostra Signora è un dramma essenzialmente filosofico. Vi è in esso un studio accurato e profondo per la ricerca intima della ragione di essere d’ognuno dei personaggi che si agitano sulla scena, mossi da una fatalità implacabile che li costringe ad essere sé stessi.

Victor Hugo ama l’analisi; è sedotto dai particolari; è interessato dal dettaglio.

Non è da stupire se il popolo leggendo i suoi romanzi salta a più pari interi capitoli descrittivi, alla narrazione dei quali preferisce la narrazione del fatto, che è l’unica cosa che lo interessi.

Se si interrogassero i lettori dei romanzi victorugiani, l’ottanta per cento di essi narrerebbero la “storia” senza curarsi di rilevare il contenuto spirituale del libro, senza analizzare la bellezza letteraria, paghi di un’azione clamorosa o sentimentale che riesce a suscitar nel loro spirito emozioni ricercate.

Nostra Signora di Parigi, così come la si conosce letterariamente, è stata portata con lievi modifiche, nel sottile nastro di celluloide impressionata, attraverso una realizzazione plastica notevole per la forma decisa della messa in scena e della interpretazione.

Tutto quanto di emotivo, di sensazionale, di sentimentale, vi è nel contenuto drammatico del lavoro, è stato mirabilmente inquadrato in un’azione serrata, dinamica e profondamente incisiva.

Non è il caso di ripetere qui la storia di Nostra Signora.

Si può soltanto accennare alla grandiosa ricostruzione degli angoli più pittoreschi di Parigi nell’anno 1482, è, soprattutto, alla costruzione fedele del monumento meraviglioso che è la grandiosa cattedrale della capitale francese.

L’interpretazione rivela da parte di tutti gli attori e particolarmente dei direttori di scena, uno studio accurato ed un’indagine minuziosa di tutti gli elementi fisici e psicologici che, approssimativamente, devono essere stati secoli addietro negli individui che la penna del grande scomparso rievocò nella sua opera immortale.

La tirannia dello spazio non consente un esame minuto di tutta l’opera, che vorremmo seguire passo a passo; tuttavia ci sia consentito conchiudere che lo sforzo titanico compiuto dalla Universal rappresenta il massimo di quanto sia lecito attendersi oggi dal cinematografo.

Per la cronaca aggiungiamo che al Cinema Ambrosio di Torino, Nostra Signora ha ottenuto un successo favoloso.

Argo.
Novembre 1924

Mister Wu (1927) di William Nigh

mister_wu_posterMalgrado il successo riportato ovunque, il notissimo lavoro di Harold Owen e Harry M. Vernon possiede tutte le caratteristiche del drammone da arena, costruito con l’unico evidentissimo scopo di épater les bourgeois. Tali caratteristiche, che vengono poi a costituire l’errore fondamentale del lavoro teatrale, sono del tutto scomparse nella riduzione cinematografica: merito personale del regista William Nigh il quale ne ha trattato la materia in modo impareggiabile.

Palesemente preoccupato di esteriorizzare il dramma, di rendere con le immagini quello che altri aveva reso con le parole, il Nigh, ha fatto di un lavoro teatrale un lavoro squisitamente cinematografico, imperniato esclusivamente sull’espressione. Le didascalie difatti sono ridotte al minimo; e a dir la verità anche di quelle poche non se ne sente un eccessivo bisogno.

La sceneggiatura è un modello di abilità; e la trasposizione cinematografica mirabile per equilibrio e misura.

Le situazioni brutali, violente, tragiche (teatrali, in una parola), sono sfiorate (e non trattate) con mano maestra. Si sorvola su quanto potrebbe scuotere gli spettatori. Per esempio: l’uccisione del servo che si vede appena; la morte di Nang Ping che s’indovina; il ferimento di Wu che si intravede. Di Basil che attende il supplizio e della ragazza prigioniera si ha un semplice accenno, magistrale nella sua brevità. Persino la rivelazione della maternità di Nang Ping s’intuisce, dato che nessuna didascalia la preannuncia.

La tecnica è impeccabile. Fotografia sorprendente, meravigliosi effetti di luce-ombra; suggestive inquadrature; ottime panoramiche; belle dissolvenze; intelligenti iridi. Sontuosa e spesso artistica la messa in scena; buona la recitazione di tutti, notevole in special modo per ciò che riguarda Lon Chaney equilibrato e compostissimo.

Film disponibile in DVD Warner Archive Collection (la colonna sonora è… meglio che non dica niente, lascio a voi, forse vi piace).

Lon Chaney riformatore del sistema carcerario

Lon Chaney nel film Il capitano di Singapore, retro-copertina della rivista cinematografo, 4 settembre 1927
Lon Chaney nel film Il capitano di Singapore, quarta di copertina della rivista cinematografo, 4 settembre 1927

Il famoso attore dice che i criminali debbono essere trattati con severità intelligente

« La principale differenza tra coloro che si trovano dietro le inferriate di una prigione e noi, è questa: che cioè la sorte ci ha messi ai due lati opposti di una grande barriera morale ». Così diceva giorni fa Lon Chaney mentre nel suo camerino dello studio stava mischiando diversi colori in un barattolo onde ottenere la giusta gradazione per la truccatura del volto. Egli si preparava per una scena di « Il Serpente di Zanzibar ».
Chaney ha studiato i criminali personalmente, nel tetro carcere delle Tombs in New York, a Welfare Island, nelle Corti Notturne, ed ha conservato nella sua formidabile memoria i tipi più caratteristici per eventualmente riprodurli sullo schermo. Egli ha così aumentate le sue cognizioni di criminologia le quali gli servono di base per condurre una energica campagna per la riforma carceraria che costituisce la sua più grande passione dopo l’arte cinematografica.

« L’umana natura — continuò Chaney mischiando le variopinte creme nel vasetto — è parecchio simile a questo vaso di creme facciali che servono a truccarci il volto. Possiamo aggiungere un po’ di blu e trasformare il colore in porpora, oppure un po’ di giallo e trasformarlo in arancio; possiamo aggiungere del nero e rendere il miscuglio, più scuro, ma dopo tutto, qualsiasi cosa aggiungessimo, rimarrebbe una miscela di grasso e crema. Questa è anche la regola per la riforma del sistema carcerario. Le prigioni dovranno rimanere così come sono oggi, ma i loro regolamenti dovranno essere mutati.

« Cosa avete visto nelle carceri di Tombs a New York ? » fu chiesto a Chaney.

« Well », rispose l’attore, « ho visto quello che avrei potuto vedere nelle strade: l’umanità. Naturalmente, per la mia arte, debbo studiare i tipi, e tipi interessanti possono essere incontrati ovunque, non soltanto in prigione. La verità è questa: che quando uno va in una prigione per cercare un tipo da poter riprodurre sullo schermo, generalmente rimane deluso. Poiché il criminale dello schermo deve avere quelle caratteristiche fisiche che il pubblico grosso generalmente attribuisce al criminale, mentre invece nella maggioranza dei casi i criminali moderni non tradiscono affatto nell’aspetto esteriore la loro criminalità.

« Il giudice Louis Brodsky della Corte Municipale di New York mi ha dato interessanti informazioni e mi è stato molto utile. Sedetti delle ore con lui nella Corte Notturna e vidi sfilarci dinanzi criminali di ogni risma e colore. Il giudice Brodsky è uno dei più acuti e profondi conoscitori della natura umana che io abbia mai conosciuto. Sospesa l’udienza verso le due del mattino egli passò in rassegna per mio beneficio i principali casi della notte. Ebbene il volto più criminale, secondo la teoria popolare, era quello di un agente di un noto Ente religioso che si occupa della redenzione spirituale dei condannati. L’agente accompagnava uno dei più temibili banditi catturati dalla polizia metropolitana in quei giorni. Ebbene quest’ultimo era piccolo di statura e smilzo. Lo sguardo era intelligente e sveglio. Nessun segno fisico di degenerazione. No; l’apparenza inganna e le teorie popolari non valgono nulla. Il giudice mi narrò in breve le gesta del bandito. Roba da far rizzare i capelli in testa: di una ferocia inumana. L’agente invece era uno dei più miti, nonostante la sua straordinaria forza fisica, al servizio dell’Ente.

« Dunque il criminale tipo, quello classico delle novelle popolari, non esiste. Ed è per questo che noi attori più che sulle caratteristiche esteriori, dobbiamo basarci, nella riproduzione di tipi criminali, nell’azione sullo schermo la quale sola può dare al pubblico la sensazione precisa del tipo particolare che vogliamo interpretare ».
« Ma voi togliete i vostri tipi dalla vita, non è vero? »

« Sì, ma raramente da un tipo solo. Per esempio nel « Capitano di Singapore ». Egli era un rinnegato con un occhio solo, vivente nelle bettole dell’angiporto di Singapore. Ebbene le caratteristiche facciali di quel tipo le presi da un suonatore d’organetto di San Francisco, il quale aveva pure un occhio solo. Ma tutto il resto: abbigliamento, portamento ed aspetto esteriore lo tolsi in prestito da un proprietario di una casa di gioco in Tijuana, il quale aveva studiato per diventare Ministro Evangelico.

« Il tipo originale del film « Il trio infernale » era ospite nelle prigioni di Berkley, dove si trova l’Università di California. Il Capo di polizia August Vollmer, anche lui un profondo studioso di criminologia, mi segnalò un ladro d’albergo da lui arrestato. Costui, strano a dirsi, era un eccellente medico. Il caso del medico ladro mi suggerì l’idea fondamentale che sviluppai nel personaggio del « Professore Eco ». Incidentalmente aggiungerò che il medico in questione dopo avere scontata la grave sentenza appioppatagli si riformò ed ora è un professionista molto rispettato in una popolosa comunità della California meridionale.

« E questo è, appunto, il nocciolo della questione. Il trattare troppo bene i criminali è sbagliato. Essi debbono essere puniti severamente. Il criminale generalmente disprezza coloro che mostrano pietà verso di lui. Egli non cerca pietà e comprende pienamente la giustizia della punizione. Non ho mai incontrato un criminale punito che si sia lamentato della severità della punizione. Il loro punto di vista è che stanno ingoiando l’amara medicina che si sono meritati. Nessuno chiede pietà. Un uomo che non abbia completamente perso ogni senso di dignità umana non si abbassa a chiedere pietà. Ed anche i criminali hanno la loro dignità. Ha ragione quindi il Commissario di Polizia Warren di New York quando asserisce che i criminali debbono essere trattati con intelligente severità. Egli non promette mai agli arrestati una diminuzione di pena nel caso di confessione spontanea del delitto. Lascia loro comprendere che riceveranno in ogni caso una condanna severamente giusta. Ma dove incomincia la riforma è nel dare al criminale tutta l’opportunità possibile di riabilitarsi. È qui che il sistema correzionale dovrebbe essere un po’ modificato onde risponda alle esigenze della criminologia moderna. Il lavoro iniziato dal Commissario Warren è interessantissimo. Secondo la sua teoria molti criminali sono diventati tali per sfuggire alla monotonia della vita quotidiana. Sentivano la necessità di correre dei rischi ed il mezzo più facile era quello di darsi al banditismo. Ebbene, molti fra costoro, terminata la condanna, sono oggi diventati utili cittadini della comunità perché sono stati assegnati a lavori che possono fornire loro il rischio quotidiano di cui il loro carattere ha bisogno. Alcuni lavorano come elettricisti nelle linee ad alta tensione, ove il più lieve errore può significare la morte, altri si sono dati all’aviazione, altri ancora fanno parte del corpo di polizia nelle squadre addette ai compiti più pericolosi.

« Nessun uomo è fondamentalmente cattivo al cento per cento. Anche il più indurito criminale ha i suoi lati buoni. Occorre saperli sviluppare e coltivare. Ma mai usando pietà. Ho già detto che per la grandissima maggioranza degli uomini la pietà è offensiva: è una specie di carità morale della peggior specie.

« Parlando col Sindaco Walker ho appreso che la situazione in New York, veramente preoccupante ai primi dell’anno, è mutata per il meglio. I famosi gangsters hanno imparato finalmente a rispettare la polizia. Ma perché? Semplicemente perché sono state costituite squadre speciali, quelle del « braccio forte », che hanno ordine di trattare i criminali con metodi molto rudi. La tattica dei guanti bianchi è terminata. I criminali sanno di andar incontro ad un ricevimento a base di randellate, e ciò li fa riflettere prima di agire. Un criminale che incomincia a riflettere è già mezzo salvato. Risultato? diminuzione della delinquenza.

« Ad ogni modo a New York ho appreso molte cose che mi serviranno probabilmente in un prossimo foto-dramma che potrà avere come soggetto una razionale riforma dei metodi carcerari ».