Il bombardamento di Tripoli Ambrosio 1911

Il primo progetto di restauro dell’Archivio In Penombra riguarda questo film, un documento storico di 6/7 minuti (dipende dalla velocità di proiezione) sul bombardamento del porto di Tripoli nell’ottobre 1911 e le prime azioni sul territorio, sicuramente l’unica copia sopravvissuta (so quanto è rischiosa un’affermazione del genere, ma se c’e n’era qualche altra copia in giro, sarebbe già spuntata fuori).

Il nitrato è in buone condizioni di conservazione, non ha bisogno di grandi “cure”. Una volta restaurato e digitalizzato, sarà a disposizione per documentari televisivi, proiezioni in festival, e/o commercializzato tramite DVD.

Siamo qui… mancano poche settimane al centenario.

L’Italia e la Turchia sono da oggi 29 settembre alle ore 14,30 in istato di guerra

Il martedì mattina, 3 ottobre, dieci corazzate e torpediniere italiane con quattro trasporti erano ancorate davanti a Tripoli su una linea di parecchie miglia. L’incrociatore Varese era posto a guardia all’occidente per arrestare le navi che avessero voluto tentare di forzare il blocco. La flotta italiana cominciò a fare evoluzioni per divisioni, di tre corazzate e altrettante torpediniere ciascuna. La prima divisione dell’ammiraglio Faravelli, che si trovava in direzione dell’est, cominciò ad aprire il fuoco sul forte della penisola, dove si trova il faro, esattamente alle 15,15.

La seconda divisione, ponendosi in linea, andò a passare davanti alla Varese, girò all’ovest dapprima e ritornò quindi verso l’est. Fece fuoco sul forte della città chiamato Gargaresch. I tiri erano nutritissimi. I turchi risposero vigorosamente. Però dopo un’ora e mezza di cannoneggiamento la batteria centrale della città presso il faro ammutolì. Si videro allora enormi turbini di polvere e di fumo, gli altri due forti si difendevano ancora, specie quello di Gargaresch, Al tramonto il cannone tuonava sempre, malgrado l’avvicinarsi della notte.

La mattina del 4 ottobre fu continuato il bombardamento contro le opere esterne della piazza, escludendo le opere centrali, per evitare danni alla città. Le batterie Sultania e Hamidjé rimasero smantellate.

Essendo la Garibaldi, al Comando del vice-ammiraglio Thaon de Revel, entrata nell’avamporto, la batteria Hamidjé fu visitata da due ufficiali che la trovarono sgombera. Gli otturatori dei cannoni erano stati asportati. Nella batteria furono trovati tre cadaveri di soldati turchi.

A mezzogiorno del 5 ottobre venne issata la bandiera nazionale italiana sul forte Sultania, salutata dalle salve regolamentari della squadra. Il forte fu occupato da compagnie di sbarco che rimasero sotto l’efficace protezione delle artiglierie delle navi ancorate parte nel porto, parte a breve distanza dalle fortificazioni smantellate.

In seguito all’avvenuto sbarco di marinai al forte Sultania gli arabi appartenenti alle tribù dei dintorni di Tripoli si recarono a bordo della nave ammiraglia e fecero atto di sottomissione scongiurando per la cessazione del bombardamento.

Il console generale tedesco, decano del Corpo consolare, dott. Alfredo Tilger, si recò pure a bordo e pregò l’ammiraglio di voler assumere la tutela dell’ordine pubblico e la protezione delle persone e degli averi della colonia straniera, nella città abbandonata dalle truppe turche.

Vennero sbarcate altre compagnie di marinai con cannoni e mitragliatrici, le quali occuparono militarmente la città di Tripoli, lasciando tuttavia presidiato il forte Sultania.

L’occupazione ebbe luogo senza incidenti. Le truppe sbarcate furono poste agli ordini del capitano di vascello Cagni e il contr’ammiraglio Borea-Ricci-d’Olmo fu nominato governatore interinale di Tripoli.

Il console generale tedesco partecipò all’ammiraglio Faravelli che durante il bombardamento non si era avuto da deplorare nessun serio danno alle persone ed alle residenze degli europei. Alcuni proiettili hanno colpito, è vero, il consolato di Francia e quello di Germania e due case italiane ma non hanno prodotto grandi guasti.

«E poi — come diceva ad un giornalista un ufficiale italiano — è difficile colpire nel segno senza qualche colpo preliminare per regolare il tiro. Abbiamo fatto il possibile per non danneggiare nessuna casa, perché volevamo soltanto colpire i forti ».

I marinai italiani sbarcati a Tripoli si accantonarono nella grande caserma vicina alla spiaggia sotto la protezione diretta delle artiglierie delle navi italiane ancorate nel porto.

Gli arabi consegnarono molte armi e il deposito principale delle munizioni, in gran parte avariate, quasi inservibili. Essi chiesero da mangiare umili e sottomessi.

Il lazzaretto e gran parte della Dogana sono crollati in seguito al bombardamento. Le merci custodite nei magazzini doganali sono sepolte sotto le macerie.

Il forte Gargaresch è stato pure occupato dai marinai italiani. È stato rifornito di potenti artiglierie, e servirà a garantire lo sbarco delle truppe. Palombari della marina si accinsero subito a tagliare i fili elettrici delle torpedini disposte a difesa del porto per evitarne lo scoppio.(notizie da L’Illustrazione Italiana, ottobre 1911)

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The first restoration project of the In Penombra Archive regarding this film, a historical document of 6 / 7 minutes (depending on projection speed) on the bombardament of the Tripoli Harbor in October 1911 and the first actions in the area, surely the only surviving copy (I know how risky such a statement, but if there was another copy around somewhere, would already be checked out).

The Nitrate is in good condition, no needs major “treatment.” Once restored and digitized, will be available for television documentaries, festival screenings, and/or sold on DVD.

We are here…

Italy and Turkey are today 29 September at 14.30 in a state of war

On Tuesday morning, October 3, ten battleships and torpedo boats with four Italian transports were anchored in Tripoli before a line of several miles. The cruiser Varese was to guard the West to stop the ships that had groped wanted to force the lock. The Italian fleet began to make developments for divisions, of three battleships and torpedo boats each. The first division of Admiral Faravelli, who was in the direction towards the east, began opening fire on the fort on the peninsula, where the lighthouse is located ,at exactly 15.15 pm.

The second division, putting themselves in line, passing in front of the Varese, turned west at first, and then returned to the east. He fired on the Fort of the city called Gargaresch. The shots were abundant. The Turks replied vigorously. But after an hour and a half of cannonade, the defense of the city center at the lighthouse was speechless. He then saw huge clouds of dust and smoke, the other two forts were defending themselves, especially that of Gargaresch, At sunset the cannon thundered ever, despite the approach of night.

The morning of October 4 was continued the bombardament against the external works of the square, excluding the central works to prevent damage to the city. The batteries Sultania and Hamidjé were dismantled.

The Garibaldi, under the command of Vice-Admiral Thaon de Revel, was eentered on the outer harbor, the battery Hamidjé was visited by two officers who found it clears. The shutters of the cannons had been removed. Into the drums were found three corpses of Turkish soldiers.

At noon on October 5 Italian national flag was hoisted on the Fort Sultania, hailed by shooting blanks of the team. The Fort was occupied by companies that were landing in the effective protection of the artillery of the ships anchored in the harbor, a short distance from the fortifications dismantled.

Following the successful landing of the sailors to the Fort Sultania, the arabs belonging to the tribes on the outskirts of Tripoli went on board the ship and made obeisance to avoiding the stop of the bombardment.

The German Consul General, Dean of the Consular Corps, Dr.. Alfredo Tilger, went well on board and asked the admiral wanted to take the law enforcement and the protection of persons and assets of the foreign colony, into the city abandoned by Turkish troops.

Other companies of sailors were landed with cannons and machine guns, which militarily occupied the city of Tripoli, leaving the fort Sultania manned.

The occupation took place without incidents. The troops landed were placed under the command of Captain Cagni and Vice-Admiral Borea Ricci-d’Olmo was appointed interim governor of Tripoli.

The German Consul General told to Admiral Faravelli that during the bombardament not had to deplore any serious damage to people and to the residences of the Europeans. Some bullets hit, it is true, the French and German Consulate and the two houses of Italians, but did not produce large failures.

“And then – as an Italian official said to a reporter – it’s hard to hit the target without a few shots prior to adjust the shot. We feel we can to avoid damage to any house, because we just wanted to hit the Forts. ”

The Italian sailors landed in Tripoli will be allocated to the great barracks close to the beach under the direct protection of the artillery of the Italian ships in the harbor.

The Arabs delivered many weapons and ammunition of the main deposit, mostly damaged, almost unusable. They asked to eat humble and submissive.

The hospital and much of the Customs have collapsed after the bombardament. The goods stored in bonded warehouses are buried under the rubble.

The Fort Gagaresch was also occupied by Italian sailors. It was stocked with powerful artillery, and will serve to ensure the landing of troops. Divers of the marina immediately set about cutting the wires of electric torpedoes ready to defend the port, to prevent the outbreak.(news from L’Illustrazione Italiana, october 1911)

Spari e campane a festa 1911

Luigi Maggi
Luigi Maggi, interprete e regista dei film della casa Ambrosio

Ricominciamo il percorso per i film criminosi del 1911 con La dannazione di Caino, secondo titolo La maledizione di Caino, produzione Ambrosio, messa in scena di Luigi Maggi, interpreti Luigi Maggi, Giulietta De Riso. Delitto di gelosia in uno scenario rurale e neorealista, con il solito spettro tenace e vendicativo:

« Due paesani sono innamorati della stessa donna. Il primo, dopo essere stato da lei respinto, vede la calda accoglienza riservata al rivale e decide di vendicarsi su di lui. Costui, per tornare a casa, deve effettuare con il suo carro un lungo percorso su strade di montagna, e il primo, senza farsi scorgere, dà da bere al cavallo del secondo una pozione alcoolica; cosi che, durante il viaggio che porta il carro a sfiorare dei vertiginosi precipizi, il cavallo comincia a sbandare di qua e di là, e alla fine fa precipitare carro e passeggero giù per una scarpata sulle rocce sottostanti: e l’uomo muore. Nessuno sospetta la responsabilità del rivale nell’accaduto; e dopo qualche tempo questi riesce a far breccia nel cuore della donna e a fidanzarsi con lei. Ma comincia allora la sua punizione: dovunque vada, lo perseguita l’immagine dell’uomo che ha ucciso. Perfino durante la cerimonia nuziale, lo spettro si interpone tra la donna e l’uomo, che è sempre più terrorizzato. Lo spettro lo incalza, lo spinge a salire sulla montagna, lo fa ritornare nello stesso luogo in cui è avvenuto il tragico incidente: e qui egli mette un piede in fallo e precipita, trovando a sua volta la morte. »(1)

I delitti riposano per un paio di mesi, siamo in state. La ripresa delle programmazioni nel mese di ottobre porta sugli schermi una Romanza, diventata Santa (Santa Romanza appunto), produzione Cines, interpreti Fernanda Negri Pouget, Gastone Monaldi:

«Battista è l’assistente di un anziano chimico; durante il lavoro commette una grave imprudenza e dovrebbe essere licenziato, ma Bianca, la figlia del chimico, impietosita, interviene presso il padre e il giovane conserva il suo posto. Credendo che Bianca sia innamorata di lui, Battista tenta di abbracciarla, ma la ragazza lo respinge. La ripulsa provoca nell’animo dell’ingrato Battista un desiderio di vendetta: aggredirà il padre di Bianca e lo deruberà, approfittando dell’assenza della giovane, recatasi con il fidanzato a una festa.
Bianca però ha dimenticato a casa lo spartito di una romanza che deve cantare alla festa, e rientra con il fidanzato in tempo per difendere il padre dall’aggressione dell’assistente infedele: nella colluttazione con il fidanzato di Bianca, Battista rimane ucciso. Didascalia finale: «Se non fosse stato per la romanza…». (Da una visione del film)(1)

A proposito, che fine ha fatto il film? Se Bernardini e Martinelli dicono di averlo visto dovrebbe essere in qualche archivio.

Di La vendetta del morto, produzione Ambrosio, soggetto Arrigo Frusta, operatore Giovanni Vitrotti, l’unico interprete segnalato dalle cronache è Mary Cléo Tarlarmi. Ambientazione francese altolocata per la solita storia ispirata dal noto “ride bene chi ride l’ultimo” anche quando sei nell’ al di là:

«Come Gaston Lafont, l’ammalato, l’agonizzante, il morente, s’accorge che sua moglie lo tradisce col miglior amico, il medico curante, una piccola fiamma gli brilla nell’occhio, annebbiato dal male. Manda pel notaio, fa testamento e chiude le labbra ad un ostinato silenzio. A poco a poco le mani si fanno ceree, lo sguardo si spegne, i battiti del cuore diminuiscono. Gaston Lafont è morto. Così i due complici sono liberi finalmente e davanti loro brilla la felicità. E quando il notaio legge il testamento del defunto, nessuno dei due sospetta l’insidia.
«Lascio tutte le mie sostanze a mia moglie a condizione ch’ella si unisca in matrimonio col dottor Piero Baldi, il quale ebbe per me tante cure. In caso di morte di uno dei coniugi, al superstite passerà l’intera eredità.»
Ma il morto conosceva assai bene l’animo dei due colpevoli. E col loro matrimonio la sua vendetta incomincia. La felicità sognata dilegua come brina al sole. In breve, la vita per la povera donna diventa un inferno. Il dottor Baldi non è solo infedele, cinico, dissipatore, ma brutale e violento. E un pensiero l’assilla: in caso di morte di uno dei coniugi al superstite passerà l’intera eredità. Così medita il delitto: con mano ferma versa un potente veleno nel bicchiere della donna e, sorridendo, le porge a bere. Ma la donna ha visto l’atto delittuoso. Come la vita è ormai intollerabile, accetta la morte, e senza batter palpebra, beve fino all’ultima goccia. Poi, appena l’assassino le volge le spalle, con un affilato pugnale, mortalmente lo ferisce. La vendetta del morto è compiuta!». (1)

Il convegno supremo, altra produzione Ambrosio, soggetto Frusta, messa in scena Luigi Maggi, operatore Giovanni Vitrotti. Pure questo ambientato in Francia, stesso ambiente altolocato, epoca imprecisa, ma dalla presenza di una “chanteuse” di caffè-concerto, una sciantosa direbbero in Italia, potrebbe essere il 1911:

« Marcello di Valery, un giovanotto molto elegante e mondano, frequentatore dei salotti più aristocratici, è travolto dalla passione per Gaby, una chanteuse di caffè-concerto, una «piccola donna molto bionda, molto pallida, colle labbra aperte sempre a un enigmatico sorriso di sfinge» e non va più a divertirsi con gli amici. Una sera, tra gli omaggi inviati alla chanteuse dai suoi ammiratori, nota un costosissimo canestro di orchidee, inviato da un inglese, un certo «Harry Pendali»; e la sera stessa segue Gaby – che, con il pretesto di un forte mal di testa, lo aveva congedato – fino al villino dove abita lo straniero. Dopo una notte di attesa, quando all’alba la donna se ne va sulla sua automobile, Marcello affronta il rivale e lo sfida a duello. Prima di lasciarsi, l’inglese si accorda con Marcello perché, chi di loro sopravviverà, si incarichi di punire la donna da cui entrambi sono stati traditi. E’ Harry a rimanere sul terreno, ucciso. La sera stessa, Marcello manda a Gaby, che nulla sa di quanto è avvenuto, un invito a cenare a casa sua: al termine, le offre un grappolo d’uva, porgendole gli acini con le proprie labbra; le racconta intanto la storia del loro amore, rivelandole come l’uva che stanno mangiando sia stata da lui stesso avvelenata. «Gaby, atterrita, balza in piedi, e manda un urlo. Marcello l’afferra, l’abbraccia, la stringe forte: ‘Sì, mormora, sì, dobbiamo morire; dammi le labbra!’».

Veramente non capisco come Mary Cléo Tarlarini abbia potuto incarnare la « piccola donna molto bionda » (data un’occhiata alla foto pubblicata nel primo post della serie criminale 1911).

La fertile e criminosa immaginazione del reparto sceneggiature della Società Ambrosio non si ferma davanti a nulla scomodando persino le feste natalizie. Tutto va bene per il botteghino. In Natale tragico la coppia Tarlarini-Capozzi si rovina a vicenda le feste con un misto di adulterio, gelosia e la solita vendetta, che in questo caso finisce in auto-martirio:

« In occasione del Natale, la contessa Giuliana di Rosalba attende dal marito il regalo di una collana, e l’uomo esce di casa per fare l’acquisto. La contessa prova dentro di sé un sentimento di rimorso, perché sa di non essere degna di un marito così devoto e affettuoso: ella ha infatti un amante. Quando il conte rientra in casa con la collana, trova la moglie già addormentata e, ascoltando le parole sconnesse che ella pronuncia nel sonno, scopre il suo adulterio e in un cassetto trova la lettera «infame» che ne costituisce la prova. Corre allora a prendere la rivoltella, chiedendosi cosa fare: uccidersi? ucciderla? Pensando, immagina una vendetta ancora più tremenda. Nell’astuccio che ha portato a casa sostituisce la collana con la rivoltella carica, con la lettera ‘infame’ e con un biglietto.

Giuliana si sveglia nel cuore della notte, al suono delle campane che annunciano il Natale; scesa dal letto, vede l’astuccio sul tavolo, lo apre, e alla fine comprende e allibisce, leggendo: «Tuo marito sa tutto ed ecco la condanna che egli stesso vuole ch’io esegua di mio pugno!». «Giuliana è troppo fiera, pur nella sua colpa. Bisogna morire. E sa darsi la morte coraggiosamente. Il corpo dell’adultera stramazza sul tappeto, mentre l’eco della rivoltella si diffonde nella notte solitaria unendosi al clangore festante delle campane…»

Mi pare molto interessante l’introduzione dei due elementi sonori come epilogo della storia: l’eco della rivoltella che si diffonde mischiato al suono delle campane…

E adesso basta, sospendiamo per qualche post queste cronache del crimine per darci alla pazza gioia. Vi racconto in un paio di giorni.

1. Aldo Bernardini, Vittorio Martinelli, Il cinema muto Italiano 1911 – I film degli anni d’oro; Biblioteca di Bianco e Nero – Centro Sperimentale di Cinematografia 1996.

La Morale delle tele bianche

Oramai è tempo!

Quali destini sono riserbati al Cinematografo ? Qualcuno, anzi molti, crederanno cosa facile rispondere a questa domanda, ma non tutti sanno la grave difficoltà di una saggia risposta,
Io credo e non temo d’ingannarmi, che il Cinematografo si sostituirà al teatro. Cosa certa è che il Cinematografo ha preso un grande incremento e più ne prende.

Valorosi artisti drammatici, convinti dì questa nuda verità, battono tutti i giorni le porte delle fabbriche, offrendo l’opera loro, pur sapendo che entrando, anche per un sol giorno, in una manifattura di films, hanno segnata la loro morte civile nella carriera teatrale.

La Casa Pathé intuendo i destini che il non lontano avvenire riserva all’arte cinematografica, decise d’impiantare una succursale a Roma, al solo scopo di sfruttare le Compagnie drammatiche italiane. Artisti insigni hanno adescato all’amo. Novelli e Vitti, per esempio, sono condannati a girare il mondo ed a dare, per poca somma, spettacolo della loro inesperienza cinematografica.

Altro è l’arte drammatica, altra cosa è quella cinematografica.

Colà è la voce melodiosa o robusta, l’accento chiaro, il gesto naturale, l’impallidire o l’arrossire simultaneamente, che forma l’artista. Qua è il gesto soltanto ; non facile pronunzia o dolcezza di voce; è mimica. Quella mimica però, che presa dalla macchina, riproduce poi sulla tela bianca, chiara e precisa l’azione.

La cinematografia è una nuova arte; è quell’arte vera che serve a rinnovare i popoli ed a rivelarne la vita.

Questa frase non è mia.

Passeggiando un giorno per via Maqueda, a Palermo, mi arrestai ad ammirare l’estetica bellezza di quel Teatro Massimo e mi colpi l’occhio questa sentenza scritta a lettere di oro:

« L’arte rinnova i popoli e ne rivela la vita; è vano dalle scene il diletto ove non miri a preparar l’avvenire ».

Ora se l’arte cinematografica deve anche mirare a preparar l’avvenire, mi si consenta:

Nella qualità di corrispondente della Vita Cinematografica, in qualunque città mi trovi, non manco di assistere a delle proiezioni. A parte i soggetti comici, dei quali mi occuperò in avvenire, esprimerò il mio giudizio sui soggetti drammatici. Nella massa, non potendo certo trattarli uno ad uno, li dividerò a gruppi.

I soggetti storici, che pur mirano a far rivivere fra noi popoli antichi, riescono spesso di grande confusionismo, incomprensibile anche per colui che ha cognizioni delle tavole storiche. È questo un difetto dei direttori artistici addetti alla scelta dei lavori ?

Lo vedremo in seguito.

I soggetti moderni nulla hanno di morale. Una donna, maritata o nubile, spinta da morbosa passione, o allettata da ricchezze che agogna, abbandona marito od amante, padre o figli, e dopo un mese, un anno, un lustro, torna ed è sicura di essere perdonata.

Un uomo, spinto da malvagio istinto, ricorre al delitto. Viola un domicilio, fa i primi passi di furto od assassinio, si arresta per circostanze indipendenti dalla sua volontà, e quest’uomo viene messo in condizione di vivere agiatamente.

Questi ed altri simili i soggetti che si proiettano sulle tele bianche !

Ho voluto chiedere a cospicue personalità, direttamente interessate, la ragione di questi lavori, e tutti, concordi, mi hanno risposto: Gli incettatori domandano soggetti a lieto fine; la Germania e l’Austria non accettano pellicole a forti tinte…

E sono questi i soggetti a lieto fine ? Sono questi i soggetti che chiedono la Germania e l’Austria in special modo ?

Questi sono soggetti a fine immorale; sono l’incoraggiamento alla prostituzione per la donna, alla delinquenza per l’uomo ! Se è vero che l’arte cinematografica deve rivelare gli usi ed i costumi, non è vero che tutte le donne d’Italia sono senza cuore e tutti gli uomini senza onore.

Se è vero che l’arte cinematografica deve preparare l’avvenire, non è giusto il perdono ed il premio là ove il castigo s’impone. Si riproducano i grandi delitti, si tramandi ai posteri l’inganno e l’infamia dell’attuale consorzio umano ma si faccia pur vedere che ai tradimenti, alle infamie, ai delitti, seguono le pene adeguate, e ciò, solamente ciò, potrà servire d’ammenda.

Gli americani ci facciano assistere tutti i giorni alle loro gesta brigantesche; i francesi antepongano all’onore il piacere, ma gli italiani tramandino i loro istinti e non transigano con l’onore.
Le fabbriche di films siano più felici nella scelta dei soggetti; gli italiani oramai possono imporsi sui mercati cinematografici; si mantengano all’altezza del loro prestigio.

Ciò sia detto in linea generale.

Mi tratterrò nel prossimo numero singolarmente degli Stabilimenti e degli artisti e sin d’ora dichiaro che, siano essi abbonati o meno alla Vita Cinematografica, metterò in rilievo i pregi ed i difetti di ciascuno, servendomi, in ciò fare, non solo della mia perizia nell’arte, ma farò pregio delle svariate discussioni alle quali ho potuto assistere nelle sale dei Cinematografi delle più grandi città di Italia e di Francia.

Disilluderò gli illusi; rivelerò i pregi dei veri artisti; solleverò gli avviliti; avvilirò i troppo vanitosi, senza preconcetti, senza parzialità.

Totò Biondi (Tromba)
(La Vita Cinematografica, 15-22 marzo 1911)

Grazie alla Bibliomediateca Mario Gromo del Museo Nazionale del Cinema – Fondazione Maria Adriana Prolo, Torino, per le riviste del cinema muto, le brochure, ecc.