Spari e campane a festa 1911

Luigi Maggi
Luigi Maggi, interprete e regista dei film della casa Ambrosio

Ricominciamo il percorso per i film criminosi del 1911 con La dannazione di Caino, secondo titolo La maledizione di Caino, produzione Ambrosio, messa in scena di Luigi Maggi, interpreti Luigi Maggi, Giulietta De Riso. Delitto di gelosia in uno scenario rurale e neorealista, con il solito spettro tenace e vendicativo:

« Due paesani sono innamorati della stessa donna. Il primo, dopo essere stato da lei respinto, vede la calda accoglienza riservata al rivale e decide di vendicarsi su di lui. Costui, per tornare a casa, deve effettuare con il suo carro un lungo percorso su strade di montagna, e il primo, senza farsi scorgere, dà da bere al cavallo del secondo una pozione alcoolica; cosi che, durante il viaggio che porta il carro a sfiorare dei vertiginosi precipizi, il cavallo comincia a sbandare di qua e di là, e alla fine fa precipitare carro e passeggero giù per una scarpata sulle rocce sottostanti: e l’uomo muore. Nessuno sospetta la responsabilità del rivale nell’accaduto; e dopo qualche tempo questi riesce a far breccia nel cuore della donna e a fidanzarsi con lei. Ma comincia allora la sua punizione: dovunque vada, lo perseguita l’immagine dell’uomo che ha ucciso. Perfino durante la cerimonia nuziale, lo spettro si interpone tra la donna e l’uomo, che è sempre più terrorizzato. Lo spettro lo incalza, lo spinge a salire sulla montagna, lo fa ritornare nello stesso luogo in cui è avvenuto il tragico incidente: e qui egli mette un piede in fallo e precipita, trovando a sua volta la morte. »(1)

I delitti riposano per un paio di mesi, siamo in state. La ripresa delle programmazioni nel mese di ottobre porta sugli schermi una Romanza, diventata Santa (Santa Romanza appunto), produzione Cines, interpreti Fernanda Negri Pouget, Gastone Monaldi:

«Battista è l’assistente di un anziano chimico; durante il lavoro commette una grave imprudenza e dovrebbe essere licenziato, ma Bianca, la figlia del chimico, impietosita, interviene presso il padre e il giovane conserva il suo posto. Credendo che Bianca sia innamorata di lui, Battista tenta di abbracciarla, ma la ragazza lo respinge. La ripulsa provoca nell’animo dell’ingrato Battista un desiderio di vendetta: aggredirà il padre di Bianca e lo deruberà, approfittando dell’assenza della giovane, recatasi con il fidanzato a una festa.
Bianca però ha dimenticato a casa lo spartito di una romanza che deve cantare alla festa, e rientra con il fidanzato in tempo per difendere il padre dall’aggressione dell’assistente infedele: nella colluttazione con il fidanzato di Bianca, Battista rimane ucciso. Didascalia finale: «Se non fosse stato per la romanza…». (Da una visione del film)(1)

A proposito, che fine ha fatto il film? Se Bernardini e Martinelli dicono di averlo visto dovrebbe essere in qualche archivio.

Di La vendetta del morto, produzione Ambrosio, soggetto Arrigo Frusta, operatore Giovanni Vitrotti, l’unico interprete segnalato dalle cronache è Mary Cléo Tarlarmi. Ambientazione francese altolocata per la solita storia ispirata dal noto “ride bene chi ride l’ultimo” anche quando sei nell’ al di là:

«Come Gaston Lafont, l’ammalato, l’agonizzante, il morente, s’accorge che sua moglie lo tradisce col miglior amico, il medico curante, una piccola fiamma gli brilla nell’occhio, annebbiato dal male. Manda pel notaio, fa testamento e chiude le labbra ad un ostinato silenzio. A poco a poco le mani si fanno ceree, lo sguardo si spegne, i battiti del cuore diminuiscono. Gaston Lafont è morto. Così i due complici sono liberi finalmente e davanti loro brilla la felicità. E quando il notaio legge il testamento del defunto, nessuno dei due sospetta l’insidia.
«Lascio tutte le mie sostanze a mia moglie a condizione ch’ella si unisca in matrimonio col dottor Piero Baldi, il quale ebbe per me tante cure. In caso di morte di uno dei coniugi, al superstite passerà l’intera eredità.»
Ma il morto conosceva assai bene l’animo dei due colpevoli. E col loro matrimonio la sua vendetta incomincia. La felicità sognata dilegua come brina al sole. In breve, la vita per la povera donna diventa un inferno. Il dottor Baldi non è solo infedele, cinico, dissipatore, ma brutale e violento. E un pensiero l’assilla: in caso di morte di uno dei coniugi al superstite passerà l’intera eredità. Così medita il delitto: con mano ferma versa un potente veleno nel bicchiere della donna e, sorridendo, le porge a bere. Ma la donna ha visto l’atto delittuoso. Come la vita è ormai intollerabile, accetta la morte, e senza batter palpebra, beve fino all’ultima goccia. Poi, appena l’assassino le volge le spalle, con un affilato pugnale, mortalmente lo ferisce. La vendetta del morto è compiuta!». (1)

Il convegno supremo, altra produzione Ambrosio, soggetto Frusta, messa in scena Luigi Maggi, operatore Giovanni Vitrotti. Pure questo ambientato in Francia, stesso ambiente altolocato, epoca imprecisa, ma dalla presenza di una “chanteuse” di caffè-concerto, una sciantosa direbbero in Italia, potrebbe essere il 1911:

« Marcello di Valery, un giovanotto molto elegante e mondano, frequentatore dei salotti più aristocratici, è travolto dalla passione per Gaby, una chanteuse di caffè-concerto, una «piccola donna molto bionda, molto pallida, colle labbra aperte sempre a un enigmatico sorriso di sfinge» e non va più a divertirsi con gli amici. Una sera, tra gli omaggi inviati alla chanteuse dai suoi ammiratori, nota un costosissimo canestro di orchidee, inviato da un inglese, un certo «Harry Pendali»; e la sera stessa segue Gaby – che, con il pretesto di un forte mal di testa, lo aveva congedato – fino al villino dove abita lo straniero. Dopo una notte di attesa, quando all’alba la donna se ne va sulla sua automobile, Marcello affronta il rivale e lo sfida a duello. Prima di lasciarsi, l’inglese si accorda con Marcello perché, chi di loro sopravviverà, si incarichi di punire la donna da cui entrambi sono stati traditi. E’ Harry a rimanere sul terreno, ucciso. La sera stessa, Marcello manda a Gaby, che nulla sa di quanto è avvenuto, un invito a cenare a casa sua: al termine, le offre un grappolo d’uva, porgendole gli acini con le proprie labbra; le racconta intanto la storia del loro amore, rivelandole come l’uva che stanno mangiando sia stata da lui stesso avvelenata. «Gaby, atterrita, balza in piedi, e manda un urlo. Marcello l’afferra, l’abbraccia, la stringe forte: ‘Sì, mormora, sì, dobbiamo morire; dammi le labbra!’».

Veramente non capisco come Mary Cléo Tarlarini abbia potuto incarnare la « piccola donna molto bionda » (data un’occhiata alla foto pubblicata nel primo post della serie criminale 1911).

La fertile e criminosa immaginazione del reparto sceneggiature della Società Ambrosio non si ferma davanti a nulla scomodando persino le feste natalizie. Tutto va bene per il botteghino. In Natale tragico la coppia Tarlarini-Capozzi si rovina a vicenda le feste con un misto di adulterio, gelosia e la solita vendetta, che in questo caso finisce in auto-martirio:

« In occasione del Natale, la contessa Giuliana di Rosalba attende dal marito il regalo di una collana, e l’uomo esce di casa per fare l’acquisto. La contessa prova dentro di sé un sentimento di rimorso, perché sa di non essere degna di un marito così devoto e affettuoso: ella ha infatti un amante. Quando il conte rientra in casa con la collana, trova la moglie già addormentata e, ascoltando le parole sconnesse che ella pronuncia nel sonno, scopre il suo adulterio e in un cassetto trova la lettera «infame» che ne costituisce la prova. Corre allora a prendere la rivoltella, chiedendosi cosa fare: uccidersi? ucciderla? Pensando, immagina una vendetta ancora più tremenda. Nell’astuccio che ha portato a casa sostituisce la collana con la rivoltella carica, con la lettera ‘infame’ e con un biglietto.

Giuliana si sveglia nel cuore della notte, al suono delle campane che annunciano il Natale; scesa dal letto, vede l’astuccio sul tavolo, lo apre, e alla fine comprende e allibisce, leggendo: «Tuo marito sa tutto ed ecco la condanna che egli stesso vuole ch’io esegua di mio pugno!». «Giuliana è troppo fiera, pur nella sua colpa. Bisogna morire. E sa darsi la morte coraggiosamente. Il corpo dell’adultera stramazza sul tappeto, mentre l’eco della rivoltella si diffonde nella notte solitaria unendosi al clangore festante delle campane…»

Mi pare molto interessante l’introduzione dei due elementi sonori come epilogo della storia: l’eco della rivoltella che si diffonde mischiato al suono delle campane…

E adesso basta, sospendiamo per qualche post queste cronache del crimine per darci alla pazza gioia. Vi racconto in un paio di giorni.

1. Aldo Bernardini, Vittorio Martinelli, Il cinema muto Italiano 1911 – I film degli anni d’oro; Biblioteca di Bianco e Nero – Centro Sperimentale di Cinematografia 1996.