C’era una volta a Milano l’Armenia Films

Martedì scorso, tre palazzine dei mitici Pickfair Studios, Santa Monica Boulevard angolo Formosa Avenue, sono state demolite senza pietà in mezzo alle lacrime e le proteste di molti cinefili… Se volete leggere di più su questa storia, ecco a voi il link: Save the Pickfair Studios

Riflettendo su questa notizia mi è ritornata in mente una fotografia pubblicata su Flickr qualche tempo fa: questa: Una magica Porta dei Leoni nascosta nella Bovisa. Quasi un miracolo perché dei vecchi teatri di posa italiani ai tempi del muto è rimasto in piedi poco o niente… Per raccontarvi dell’Armenia Film, andiamo indietro nel tempo…

Milano 1910. Poiché lo stabilimento ereditato dalla S.A.F.F.I. Comerio non è più in grado di far fronte allo sviluppo dell’azienda, la Milano Films acquista un terreno di diecimila ettari nei pressi della Bovisa, a Via Baldinucci, sul quale cominciano i lavori per un teatro di posa. L’edificio misura circa 650 mq. e può garantire la lavorazione giornaliera di 15.000-20.000 metri di pellicola. Il teatro entra in funzione nel maggio 1911. Accanto al teatro di posa il laboratorio per la stampa.

Teatro di posa e laboratorio stampa della Milano Films 1911
Teatro di posa e laboratorio stampa della Milano Films 1911

Maggio 1917. Nasce l’Armenia Films, nuova Ditta di produzione-noleggio-acquisto-vendita di films cinematografiche, del sig. Johannes H. Zilelian. La Ditta occupa una parte dei terreni appartenenti alla Milano Films, e costruisce a sua volta due nuovi teatri. Johannes H. Zilenian aveva finanziato e distribuito la Serie Armenia della Milano Films, prodotta nel 1916.

Milano 1933. « Ho voluto ripercorrere in tram la via delle Bovisa per rendermi conto delle trasformazioni sopravvenute in tanti anni, e per aver tutto il tempo di convincermi che davvero tornavo alla Milano Film, oggi Elios, ad assistere di nuovo, dopo tanto, a una ripresa cinematografica fatta a Milano, e fatta con serietà di propositi.

Il tram non è più quello, anche se porta lo stesso numero 9, quel numero così noto e caro a tanta gente d’allora, celebrità in boccio e celebrità in fiore, umili comparse, direttori artistici d’ogni calibro, operatori, macchinisti, lavoranti del film: molti scomparsi dai teatri di posa, pochi sopravvissuti, qualcuno scomparso addirittura dal teatro della vita. Questo d’ora è un tram nuovo, comodo, ben molleggiato, con sedili di velluto rosso, come tutti gli altri della città. Lungo il percorso, altri cambiamenti: strada asfaltata o lastricata, case dalle facciate ripulite, edifizi nuovi, aspetto generale fiorente e ridente. Al capolinea del tram, una piazza rotonda, illeggiadrita al centro di una fontana che, se anche non ha nulla di monumentale, è tuttavia un segno di questo rinnovamento edilizio di Milano, che per le fontane non aveva avuto mai spiccata simpatia.

Quante cose sono mutate! e, ciononostante, io sento correre ancora su una strada amica, nota anche nelle cose che ignoravo, salutato da una facciata, là da un riquadro di giardino, altrove da un fumaiolo, dall’insegna di una bottega, da una siepe, da un ciuffo d’alberi bassi, con lo stesso saluto di tanti anni fa. »
effeemme (Kinema, novembre 1933)

Milano 1934. Sull’ampio terreno adiacente a gli stabilimenti della Milano Film, e precisamente su quello dove un tempo sorgevano i due teatri di posa dell’America Films (sic. Armenia Films) e i vari fabbricati adibiti a gli uffici ed ai servizi accessori  teatri che erano stati adibiti ad alloggi provvisori per gli sfrattati — stanno sorgendo ora i nuovi e modernissimi teatri di posa sonori di una Editrice di recentissima costituzione, la Nazional Fono Film. Saranno ancora due capacissimi teatri, attrezzati, come s’è detto, per le esigenze del film sonoro.
(Kinema, gennaio 1934)

Nei vecchi teatri della Milano Films, diventata Elios nel 1933, Luchino Visconti girò il suo primo film: Il mistero del film (scomparso) di Luchino Visconti.

Spionaggio, commedia in pochi atti e meno parole e sovratutto niente scene

Personaggi principali, sì, ma non padroni: Una signorina molto carina; Un giornalista molto brutto.

LA SCENA (che viceversa è un sottoscena)

Un lungo corridoio nei pressi di una sala di prova della Casa X, che potrebbe essere anche quella della Società Ambrosio.

Due muri laterali, sui quali si aprono parecchie porte, chiuse. Fra queste, chi è pratico, trova subito quella della sala di prova; chi non lo è… i casi sono due: o va in cabina o va in… cabinetto. Nel fondo del corridoio v’è un altro muro, e su questo una finestra, alta quanto basta perchè la serva non arrivi a pulire i vetri.

Arredamento semplicissimo: una scopa dimenticata dall’uomo di pulizia, un bigonciolo senz’acqua qualche ragnatella… e niente altro.

SCENA PRIMA… E DOPO

La signorina molto carina e il giornalista molto brutto.

Sig.na — (scendendo la scala s’incontra col giornalista che sta spiando per trovar modo di vedere la proiezione) Oh! (di sorpresa; forse di paura).

Giorn. — (c. s.) Oh! (di sorpresa; forse di piacere).

Sig.na — (poco lieta del cattivo incontro) Scusi, da che parte è entrato?

Giorn. — (molto lieto per il bell’incontro) Gliela dò in cento ad indovinare.

Sg.na — Ma, non saprei…

Giorn. — Dalla porta. Strano, non è vero? In cinematografia si entra e si esce dappertutto, meno che dalla porta. Ma – si capisce – chi non è del mestiere…!

Sig.na — Lei, scusi, che cos’è?

Giorn. — Giornalista, ai suoi comandi.

Sig.na — (con angoscia) Giorna… lista…

Giorn. — Per servirla. E critico…

Sig.na — (quasi svenendo) E cri… cri… cri…

Giorn. — No, scusi. Kri Kri, se non sbaglio, è un attore cosidetto comico della cosa… del coso… del… del… (il giornalista ha una memoria di ferro per i nomi).

Sig.na — (facendosi coraggio) E desidera?

Giorn. — Vedere la film che si sta visionando: Il Fauno di Febo Mari.

Sig.na — (coll’accento della disperazione) Non si può, è proibito; severamente proibito.

Giorn. — (inchinandosi) Grazie mille; non chiedevo di meglio (si dirige verso la porta).

Sig.na — (sempre agitata) Ma di là si va in cabina.

Giorn. — Obbligatissimo: è quello che cercavo.

Sig.na — Ma s’è proibito severamente!

Giorn. — Brava, è appunto per questo che io entro.

Sig.na — (mentendo colla massima sincerità) Ma se il Cavaliere viene a saperlo, se la prenderà con me.

Giorn. — (con un sospiro) Eh! beato lui! Anch’io, sa, una volta me la prendevo colle … Beh! insomma… tempo trapassato remoto… Io fui stato… (fa per entrare).

Sig.na — Ma le ripeto che quella è la cabina dell’operatore.

Giorn. — In fatti me l’ha già detto. Vuol dirmi, anche, se c’è un buco che guarda nella sala?

Sig.na — Certo che c’è.

Giorn. — Basta, non mi occorre altro, signorina. Al mondo non ho desiderato mai altro che avere un buco a mia disposizione. (s’inchina con grazia ed entra).

Sig.na — (sola) E se n’è andato! Che spione! (entra a sua volta, indispettita, per la porta della sala di proiezione).

La scena rimane vuota per circa tre quarti d’ora; soltanto verso gli ultimi minuti escono due topi che, approfittando della solitudine, fanno quattro passi discorrendo sui casi della guerra europea.

Il topo più giovane all’altro — Come credete, zio, che andrà a finire questa guerra?

Il topo zio — Non te lo saprei dire: so, però, come finiremo noi.

Il topo nipote — Come, zio?

Il topo zio — Ecco: i casi sono due: Se finisce presto, si può vivere tranquilli, gli uomini mangeranno i gatti prima di noi. Se dura molto tempo, allora; casi sono due: o finiremo in padella, o come bistecche ai ferri.

Ma in quel mentre le porte della cabina e della sala di proiezione si aprono e i due topi credono prudente ritirarsi nei loro appartamenti.

Sig.na— (uscendo, incontrandosi nuovamente col Giorn. — (che esce a sua volta) Oh!

Sig.na — Ancora lei?

Giorn. — Credo bene. Però potrei sbagliarmi. Se crede vado ad assicurarmi.

Sig.na — Non c’è bisogno; vedo bene che non è l’operatore: (con dispetto) L’ha spuntata; è
riuscito nel suo intento.

Giorn. — Naturalmente. Veni — vidi — vicis.

Sig.na — (esitante) Che l’è sembrato?

Giorn. — Di lei?

Sig.na — Della film.

Giorn. — Concetto nobile, esecuzione fine, interpretazione ottima e fotografia splendida. Ho notato una nuova attrice (la sig.na trema), una debuttante assai carina, di molto sentimento, che svolge la sua azione con semplicità e naturalezza (la sig.na non trema più). Tutti veramente assolvono il loro compito coscienziosamente. Non parlo del protagonista, di Febo Mari, il Fauno : quello in carne e ossa, s’intende. Quello, si sa, è artista. Ma quella sua innamorata, la modella… Caspita ! Ho osservato che sa già imprimere una fisonomia sua propria al carattere. Corre la piccina ! e farà della strada. Vorrebbe dirmi il suo nome?

Sig.na — (raggiante, e che non trova più il giornalista tanto brutto; sorridendo): Mi spiace… non lo so…

Giorn. — (affettando indifferenza) Oh! non importa. Era così per….. Basta. Mille grazie e mille scuse dell’incomodo.

Sig.na — (con gaiezza) S’immagini; anzi ! Poiché il Cav. Ambrosio non s’è accorto…..

Giorn. — Già, già, sicuro, (inchinandosi e scoprendosi) Al piacere di rivederla.

Sig.na — (e. s.) Al piacere.

Giorn. — (sale qualche gradino, poi, come sovvenendosi, torna indietro) Oh! che bestia! (si scopre e tende la mano) Scusi, vuoi dirmi con chi ho avuto l’onore di conversare?

Sig.na — (stringendo con grazia e senza pensare) Colla sig.na Antonietta Mordeglia.

Giorn. — Grazie (cava di tasca un notes e matita, e segna) Non mi mancava che il nome dell’attrice in questione. Ora lo so (intasca, saluta). Di nuovo (e via).

Sig.na — (un po’ intontita) Toh! gliel’ho detto! (pensa e sorride) Lo credevo un orso… invece… Lo sarà dal cuore in giù, come dice Fauno.

PIER DA CASTELLO (Angelo Pietro Berton 1861-1920)

Charlot, for-ever!

Charlot
Charlot (locandina pubblicità, disegno di Rafer 1916)

Ecco a voi, cari lettori, uno dei primi articoli pubblicati dalla stampa cinematografica italiana.  Buona lettura…

Italia 1917. Le risate incontenibili del pubblico, che mostra – almeno di quando in quando – di prediligere gli spettacoli comici e le brevi ma spigliate commedie brillanti, sono all’ordine del giorno e… della sera, ogni qualvolta passa sullo schermo l’attore americano Charlot.

Di questo eccezionale artista – importatoci or sono pochi mesi da New York – avviene, anzi, di più e di meglio. Avviene, cioè, che egli è divenuto in breve tempo così popolare, da determinare anche fuori dello schermo, e cioè quando se ne parla o si ricorre a lui col pensiero, un bis di risate sonore contenute a stento nelle sale cinematografiche.

Ci è stato taluno che voleva paragonare Charlot – al secolo Charles Chaplin – al nostro grande Ferravilla. Ma questo signor qualcuno era ed è visibilmente in errore. Il paragone non poteva reggere. Ferravilla, animava le scene con una mimica fatta di pause e di arresti, e con un tesoro di tonalità nella voce, da renderla comicamente inimitabile; Charlot ha una mimica di buona scuola e di effetto immediato.

Forse esiste in Italia un solo attore drammatico che possa stare in qualche confronto con Charlot. E’ Angelo Musco, l’artista siciliano, che pare anch’esso una pila elettrica.

Indiscutibilmente, però, la risorsa del giuoco mimico di Charlot è anche da ricercarsi nella felice scelta dei lavori ch’egli interpreta: commedie dallo spunto felice e condotte con molta abilità tecnica.

Dicono che Charlot, famigliare ormai anche al nostro pubblico, formi la delizia del mondo americano, al punto che dopo Wilson egli è l’uomo più popolare di New York, e certamente il meglio pagato.

Ma altresì in fatto incontrovertibile, che se le risorse artistiche di Charlot sono degne del prezzo industriale al quale vengono sfruttate, noi dobbiamo essere grati ai manufatturieri americani, che sono riusciti ad offrire ai pubblici di tutto il mondo l’uomo che li solleva spiritualmente ogni qualvolta se ne fa l’amabile conoscenza.

Il più gran merito del celebrato artista è poi un altro: quello di aver rimessa al mondo, magnificamente riverniciata a nuovo, la film comica che pareva essere giunta alla fine della sua parabola scenica. E se si pensa ai tristissimi tempi in cui viviamo, questo merito di Charlot va degnamente premiato, giacchè un’oncia del proverbiale buon sangue ha oggi acquisito un costo non indifferente, forse in omaggio al rincaro quotidiano di tutti i generi di prima qualità…

Curioso il paragone con Angelo Musco, vero?