Eleonora Duse e il Cinematografo

Cenere (1916) Fondazione Cineteca Italiana

Come la Duse interpretò Cenere – Insegnamento di arte e di vita – Le possibilità artistiche del cinematografo

Torino, maggio 1924.

Nella valanga di divagazioni, osservazioni, definizioni, più o meno esatte e più o meno indiscrete, sull’Artista che nella turbinosa e rumorosa città d’Oltreoceano ha concluso la sua meravigliosa vita, tutta illuminazioni e bagliori, ben poco si è detto intorno all’interessamento profondo che Ella ebbe per l’arte muta.

Eppure a noi pare che l’adesione di Eleonora Duse al cinematografo abbia avuto un immenso valore morale, costituendo quasi la consacrazione della novissima arte interpretativa: e ciò non tanto per la realizzazione materiale che Ella diede in un primo esperimento purtroppo rimasto senza seguito, ma per la fede profonda che Ella ebbe nell’avvenire “artistico” di questo “mezzo di comunicazione e di espressione” recentemente trovato dagli uomini.

Abbiamo quindi creduto opportuno intervistare brevemente in proposito chi meglio era in grado di darci ragguagli e informazioni: cioè un giornalista che per alcuni anni si dedicò, come autore, al cinematografo e che, pur essendo ritornato ora al giornalismo politico militante, continua ad avere grande simpatia e stima per quest’arte del silenzio, verso la quale tanti superuomini di princisbecco affettano uno sciocchissimo disdegno.

Sentano ora, i su non lodati superuomini, che cosa pensasse del cinematografo Eleonora Duse.

Il giornalista intervistato fu, per così dire, il “trait-d’union” che rese possibile il fugace ma non inutile passaggio della Duse nell’arte cinematografica; gli abbiamo dunque anzitutto chiesto qualche particolare a tale riguardo. Ed egli ci ha detto:

— Fu nel 1916, in primavera. Da parecchio tempo Eleonora Duse seguiva con interesse profondo le manifestazioni di questa nuova forma di arte: estremamente varie, spesso caotiche e confuse, come tutte le forze giovani e ricche che non hanno ancora potuto disciplinarsi. E forse, in cuor suo, aveva già avuto la tentazione di un esperimento personale; ma — chiusa com’era, da tanti anni, nel suo “buon ritiro” spirituale — non si sarebbe forse mai decisa a tentare una nuova forma d’espressione che aveva tutte le incognite di un “fatto nuovo”. Occorreva l’occasione propizia, la così detta  “causa occasionale”, la spinta decisiva. E questa venne in seguito ad un colloquio che io ebbi col Comm. Ambrosio, uno dei tanti colloqui — troppo spesso interrotti! — che si svolgevano in quell’ufficio di direzione dello stabilimento di via Mantova, che ha visto sfilare tanti artisti e letterati e giornalisti, e dove si sono ideati tanti progetti bellissimi, spesso, ahimè, rimasti allo stato di progetti…

— E in quel colloquio decisero di invitare la Duse ad assumere la parte di protagonista in Cenere?

— Eh, come corre, Lei! La cosa non era così semplice e spiccia! Alla Duse si giunse solo in un secondo tempo: tanto ci pareva, più che audace, temeraria l’idea di turbare l’austerità augusta del suo lungo silenzio, chiedendole di dare il prezioso contributo del proprio nome e del proprio genio espressivo ad un’arte “in formazione”.

— Allora?

— Allora… bisogna procedere per gradi. Il Comm. Ambrosio (in quei tempi era ancora l’Ambrosio dell’età aurea, animato da quella fervida volontà di fare e da quell’audace spirito d’iniziativa che possono talvolta condurre ad errori, ma che costituiscono in fondo la ragione prima, e indispensabile, di ogni affermazione vittoriosa, si intratteneva spesso con me; e insieme si cercavano le nuove vie in cui il cinematografo potesse affermarsi con più sicuro dominio. Talvolta assisteva ai colloqui Pietro Canonica, che parlava poco ma la cui autorità di artista funzionava, per così dire, da controllo. C’era la guerra, ma la cinematografia italiana era in pieno sviluppo e possedeva i requisiti che avrebbero potuto assicurarle per lungo tempo un dominio mondiale, perduto poi miserabilmente per cause su cui è inutile ritornare. Ed ecco un giorno fiorire sulle nostre labbra, quasi sgomente, un nome: “La Duse?…” Se tentassimo?

— E tentarono!

— Tentammo. O, per essere più esatti, mi assunsi io stesso l’incarico, usando — forse abusando — della mia umile amicizia devota di tanti anni per la grande Attrice nostra. Partii l’indomani per Roma; andai a trovare Eleonora Duse, in una ridente villetta di Piazza Caprera, dove Ella abitava allora, ospite di una famiglia amica. Si era rimasti intesi col Comm. Ambrosio che gli avrei fatto avere entro due o tre giorni una risposta. Ci vollero invece due settimane, dal giorno in cui non senza mille esitazioni, formulai alla Duse la prima preghiera a quello in cui potei telegrafare ad Ambrosio che l’intesa era raggiunta e che lo si attendeva a Roma per gli ultimi accordi.

— Come mai tanto tempo?

— Già. In casi di tal genere, nove volte su dieci, gli indugi sono determinati da divergenze di carattere amministrativo. Ma con la Duse… era una altra cosa! Una volta che Ella fu decisa ad accettare, la parte finanziaria si concluse in pochi momenti. Ma Le ci vollero invece quindici giorni — ed erano già dei mesi che Ella esaminava, osservava, studiava — per darle la convinzione che la sua apparizione nell’arte cinematografica potesse avere una ragion d’essere ed un significato “artistici”. E quei quindici giorni li passò a frequentare i cinematografi della Capitale, talvolta con me, assai più spesso da sola, per fare dentro se stessa un’opera di chiarificazione. Prediligeva i cinematografi minori, anzitutto perché era più sicura di non essere riconosciuta e disturbata; secondariamente perché voleva controllare direttamente come il cinematografo agisse su quella folla popolare, a cui deve essere particolarmente destinato.

— E decisero di far Cenere, di Grazia Deledda?

— Lei ha una straordinaria simpatia per i plurali, decisero niente affattissimo! Decise lei, la Duse, lei lei sola. È superfluo dire che, ottenuta la “grazia” di una sua partecipazione ad un film, a Lei era a priori riconosciuto il diritto di scegliere l’opera da interpretare. Ora la Duse da qualche tempo “sentiva vivere” dentro di sé la tragica figura della madre, protagonista del bel romanzo di Grazia Deledda, la grande scrittrice sarda, modesta e silenziosa, che aveva una sconfinata adorazione per l’Attrice. Volle, dunque, la Duse, che la martoriata Olì vivesse, per virtù sua, anche sullo schermo. Come “regisseur” fu scelto l’attore Febo Mari, che interpretò anche la parte di Ananìa, il figlio di Olì. La struttura scenica del film fu concordata in una riunione che tennero a Viareggio, in una villetta della Duse presso la Fossa dell’Abate, in vista del divino mare etrusco, la Duse stessa, Grazia Deledda e il Mari. E l’esecuzione si svolse poi parte a Torino e parte a Balme, nell’alta valle di Lanzo; e la Duse vi portò quella coscienziosità, quel senso di disciplina che Ella metteva in tutte le cose sue. Se si escludono le brevi soste determinate dalla sua salute cagionevole, Ella era sempre prima al lavoro, puntualissima, pazientissima. Al di sopra di qualunque contratto, la parola data costituiva per sé stessa un impegno sacro a cui Ella si sarebbe vergognata di mancare anche una sola volta. In questo senso di dignità e responsabilità umana — Ella diceva — sta la ragione prima e la base sine qua non di ogni vita civile. Io la vedevo allora spesso alla fine delle sue giornate di lavoro — e chi abbia un po’ di pratica di cinematografo sa quanto siano dure e faticose — ed Ella era talvolta affranta; ma non si sarebbe mai permessa di mancare all’ora fissata, Lei, la grande Artista, onusta di gloria, che aveva fatto acclamare il nome d’Italia in tutti i paesi del mondo… Mentre alcune attricette di dodicesimo ordine, protagoniste, o… quasi, di altri films che si eseguivano contemporaneamente nello stesso stabilimento, si permettevano talvolta di arrivare con qualche ora di ritardo oppure di non arrivare affatto, con qualche specioso pretesto o magari sdegnando di dare qualunque spiegazione. Quia nominor Leo! … Anche in questo, Eleonora Duse, per tutta la sua vita, ha dato altissimo esempio di quel senso di responsabilità e di quella disciplina ideale, che sono la base prima di ogni vittoria reale nell’arte come nella vita, per gli individui come per i popoli…

— Esempio, naturalmente, non seguìto…

— … sopratutto al cinematografo. E non è, questa, l’ultima causa del suo stato attuale. Ma torniamo a Cenere. Che non fu quel che si dice comunemente “un bel film”. Troppo cose erano rimaste allo stato d’intenzione e non avevano potuto trovare la realizzazione. Tuttavia, chi ben lo ricordi, c’erano qua e là alcuni quadri, in cui Eleonora Duse aveva dato un saggio della meravigliosa potenza espressiva del silenzio. Mi basti citare quello in cui Olì se ne sta col grigio capo stanco abbandonato sulle braccia presso un basso muro; e poi lentamente lo solleva; e nel suo viso sfatto si legge insieme la disperazione e l’attesa e la sete di oblio e il timore e l’amor materno, in un turbine di sentimenti compositi, che non può essere dimenticato da chi abbia qualche sensibilità artistica. Comunque, Cenere non voleva essere che un primo esperimento…

— Ma è rimasto l’unico. Non aveva ideato di fare altri films la Duse?

— Sì. Ella pensava alla Donna del mare, di Ibsen; anzi, pur senza aver iniziata l’esecuzione vera e propria, aveva incominciato a lavorarvi, scegliendo i luoghi.

— Poi?

— Poi, ogni cosa fu sospesa, per una serie di circostanze ch’è inutile rievocare. Eleonora Duse ritornò alla sua pace di Asolo e, quando ne uscì nuovamente, più tardi, fu per un’ultima meravigliosa apparizione, in cui Ella dette al mondo lo spettacolo prodigioso di un’arte teatrale che i critici si sforzano invano di definire e che non è definibile perché attinge la sua ragione d’essere nel mistero del genio. Tuttavia Le dirò, per concludere, che anche il suo breve passaggio nel campo del cinematografo può aver avuto una buona influenza. Gli artisti del cinematografo — parlo specialmente dei direttori — se siano dotati di un po’ d’intuizione, possono, in alcuni quadri di Cenere aver visto ciò che Eleonora Duse intendeva fare: possono cioè comprendere come Ella intendesse questa forma d’espressione. E sopratutto non sarà inutile ripetere che la grande Artista austera riconosceva al cinematografo delle vere e proprie possibilità artistiche altissime, oggi ancora embrionali, ma vive e ricche di avvenire. Ella insisteva specialmente sulla miglior definizione data del cinematografo: quella “arte del silenzio”, definizione che tutti oggi ripetono quasi meccanicamente senza considerarne il significato. Arte del silenzio: cioè, per molti aspetti, il contrario di ciò che è il teatro, tale quindi che le occorre obbligo di cercare i motivi di ispirazione e di formarsi una tecnica espressiva in un campo che solum sia suo. Dopo un immenso dilagare in tutte le direzioni, il cinematografo deve ora anzitutto e sopratutto compiere un’opera di selezione per trovare la via che lo porti alla piena valorizzazione delle proprie energie caratteristiche; dopo tanto cammino “in estensione”, che spesso significa dispersione e sbandamento, deve ora compierne uno “in profondità”, alla ricerca delle proprie radici, della polpa viva e fosforescente in cui sta la propria ragione di vita artistica…

A questo punto il nostro intervistato si è interrotto con un: « Dio mi perdoni, sto facendo quasi della filosofia estetica! ». E non c’è più stato verso di cavargli altre parole, se non queste:

— E, in tutto ciò, Eleonora Duse può farci del bene anche da morta, coll’insegnamento e l’esempio. Ma chi ci ridarà più le ore di rapimento e “lo stato di grazia” che Ella — Ella sola — ci sapeva donare colle sue interpretazioni sceniche?…

E noi non possiamo che associarsi a tale rimpianto: quello che passò, come un’immensa ondata dolorosa, su tutta la terra, allorché si annunciò che laggiù, nella fumosa e tumultuosa Pittsburg, il grande cuore di Eleonora Duse aveva cessato di battere.

Notizie varie luglio 1915

Francesca Bertini in "Viva l'Italia", arrivederci della Caesar Film 1915.
Francesca Bertini in “Viva l’Italia!”, arrivederci patriottico della Caesar Film 1915

1 luglio. Il Comando Supremo stabilisce le norme per l’amministrazione provvisoria dei territori liberati dall’Austria.

La Federazione Operatori Impiegati Cinematografici Italiani. Il titolo è un poco lungo, ma saggiamente il bravo Ente di Napoli lo accorcia così: F.O.I.C.I. Ora, in una recente seduta straordinaria — assai numerosa — dei suoi Soci, dopo una fervida discussione, ha deciso di costituirsi in Società cooperativa, e ne approvò lo Statuto.

10 luglio. A Roma, senza nessuna cerimonia, viene aperta la Galleria Nazionale d’Arte Moderna, trasportata e riordinata nel Palazzo delle Belle Arti a Valle Giulia, costruito dall’arch. Bazzani per la Esposizione del 1911.

Il barone Alberto Fassini è luogotente di vascello nella nostra Marina, e nell’occasione del suo ingresso in questa gloria d’Italia, S. M. il Re lo ha nominato Commendatore della Corona d’Italia. Congratulazioni. In luogo del barone Fassini, a cui fu fatta, all’atto della partenza, una entusiastica dimostrazione per parte del personale della Cines, è stato assunto il Signor Carlo Amato, di cui c’è da sperare assai bene.

Lavori eseguiti dall’artista Arias. Siamo lieti di dare il benvenuto a questo attore egregio, che tanto ama l’Arte nostra da lasciare l’onorifica e rimuneratrice professione del giurista per darsi intero alle concezioni cinematografiche. Egli già fu parte della Casa Ambrosio, ove fece emergere le sue non comuni doti. L’avvocato Arias è anche giornalista non comune e e scrittore laudato di alcuni romanzi. Ha viaggiato molto, prova ne sia che ha studiato l’elettrotecnica in Germania e nella Svizzera; poi fu nominato Vice-Console a Manila (Filippine), poi console in Cina, da cui passò, sempre in tale carica, al Capo di Buona Speranza. Andò quindi agli Stati Uniti, causa… il cuore, e… così abbandonò una posizione cospicua. Ritornato al Messico si aggregò alla Compagnia del celebre attore spagnuolo Juan Balanguer, quale primo attore giovane. Rientrato nella nativa Spagna fu direttore di un proprio giornale umoristico che gli fruttò un mondo di guai. Fu quindi corrispondente del grande diario madrileno l’Heraldo e da lì a poco passò in Turchia… Poi la Cinematografia lo attrasse, ed ora si trova in Italia. Arias ha interpretato per la Casa Ambrosio: Jack Forbes contro Robinet; Yacht Misterioso; La colpa del morto; Il treno Reale; Senza mamma. Per la Padus Film: Quando si ama; Il sogno del nonno; L’artiglio del demonio.

12 luglio. Gli Stati Uniti, seguendo l’esempio dell’Inghilterra, creano un nuovo Dipartimento delle invenzioni e ne affidano la direzione a Edison.

Max Linder a Palermo. Sono state poche recite, alle quali è accorsa tutta Palermo. Al Teatro Biondo, Max Linder si è presentato nella graziosa pièce Max député. L’incasso della prima serata ha superato le seimila lire! Max Linder, durante il breve soggiorno a Palermo ha voluto visitare tutti i dintorni, ha voluto rendersi conto delle bellezze incantevoli delle campagne palermitane.

15 luglio. Le provincie di Cremona e di Piacenza sono dichiarate in stato di guerra.

Alba Film. Questa nuova Editrice romana si sta affermando con un lavoro, di cui non sappiamo se più lodare il concetto elevato patriottico ed umano che l’infiamma o il valore artistico dell’esecuzione. Si tratta di Silvio Pellico, il martire santo dello Spielberg. Il libretto è opera del Cav. Augusto Jandolo, che lo ha pure messo in scena con la coadiuvazione di Livio Pavanelli. Ad interpreti principali del soggetto furono chiamati quei non comuni attori che sono la Signorina Evelina Paoli, la Signorina Elisa Grassi Nicola, il Cav. Gioacchino Grassi, i Sig.ri Raffaello Mariani ed Ugo Bazzini. Operatore Luigi dell’Otti. Girato in ambienti storici, ritratti dal vero, a Venezia: Palazzo Ducale e Ponte dei Sospiri, per speciale concessione delle Autorità Militari. Congratulazioni a tutti, nonché al M. Augusto Ferretti, il quale è il Concessionario per tutto il mondo dell’interessante riduzione cinematografica delle Mie prigioni. Consiglieremmo di continuare con le Addizioni di Piero Maroncelli e con le Memorie di Carlo Andryane, queste che spargono chiarissima luce sui degenti del tetro castello moravo, tuttora pieno della leggenda del formidabile barone di Trenk e dei terribili sistemi dell’Austria inumana.

18 luglio. Inizia la seconda battaglia dell’Isonzo. Tre aeroplani austriaci bombardano Bari; ma uno di essi colpito dai nostri cadde in mare all’altezza di Barletta.

Roma, 20 luglio. Vita Romana… molto movimentata cinematograficamente parlando! … Difatti tutti i Divi e le Dive sono passati di qua in questo frattempo, neppure se si fossero dati un rendez-vous! E grandi cose si maturano fra l’Aragno, il Faraglia e il… Chiara! Prima di tutti vidi il beniamino delle donne… Bonnard, con l’arzillo De Riso e una bruna… Silfide in poltrona ad applaudire e gustare Petrolini al Teatro Cines; poi una sequela di altri papaveri (per antonomasia) della Cinematografia Romana; l’egregio nonché occupatissimo avv. Mecheri, il non meno egregio e non meno occupato avv. Barattolo, e poi via via il conte Negroni con Hesperia, Bertini padre e… graziosissima figlia Cecchina; l’arbiter elegantiarum dei metteurs en scène Serena, ed intravisto appena all’Aragno il… Divo Caserini. Bonnard, Gys, navigano a gonfie vele verso l’infido pelago…; De Riso amoreggia con l’avv. Barattolo… ed è in cerca di commedie (rara avis). Hesperia si cela moltissimo e lavora in gran silenzio, ed io sottoscritto sono ancora con il cartello dietro alle spalle Est locanda, come dicono qui. Pazienza! Tempi di guerra!
(cronaca di Argus, La Vita Cinematografica)

25. Ala. Solenne consegna in municipio della medaglia d’argento al valore militare alla signorina Maria Abriani che sotto il fuoco nemico fece da guida intelligente e audace alle truppe italiane.

29. L’Osservatore Romano pubblica una lettera del Sommo Pontefice ai popoli belligeranti e ai loro capi. Nell’anniversario dello scoppio del tremendo conflitto invoca la pace.

Alberto Capozzi parla della cinematografia italiana

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Torino, giugno 1915. L’arte cinematografica si trova, come l’industria, in un periodo di crisi, non per le stesse cause, indubbiamente, ma perché i gusti del pubblico, anzi dei nostri pubblici, che si evolvono, si elevano e si orientano verso rappresentazioni più logiche, più reali, più artistiche di quelle che ebbero maggior successo negli ultimi tempi.

Io credo che le avventure, i drammi polizieschi e soggetti simili, abbiano fatto il loro tempo e che tornino in onore dei drammi sentimentali e passionali, ma non nella forma primitiva di prima, bensì inquadrati in scene decorose ed in armonia col soggetto. Nel passato la sceneggiatura ricorreva a trucchi ingenui che urtavano il buon gusto, oggi invece occorrono ambienti veri e reali in tutti i minimi particolari e la sceneggiatura di un film può oggi contribuire notevolmente tanto al successo quanto al viceversa. Essa deve integrare l’azione degli attori, ma non deve soverchiarla con gli sfarzi eccessivi.

Perché l’interpretazione del dramma passionale risulti efficace, è necessario non solo lo studio psicologico del personaggio che l’attore deve rappresentare, ma altresì quello degli altri personaggi, onde mettersi in perfetta armonia con essi; ed è perciò che nei miei film io cerco che anche gli altri attori interpretino le loro parti come io le sento. Solo da questo intimo affiatamento si può ottenere il massimo dei risultati e cioè la fedele e reale esteriorizzazione dei diversi sentimenti.

Con questi intendimenti e con questi mezzi, è possibile non solo comporre lavori passionali e sentimentali, ma si può anche, e con speranza di successo, affrontare la grave prova del dramma psicologico. Questa è la forma di arte che più mi attira, perché è la più elevata e perché in essa io vedo le maggiori difficoltà da superare e da esse io mi sento irresistibilmente attratto. Io sento che potrei dare una perfetta interpretazione artistica a riduzioni cinematografiche di lavori di carattere psicologico e confido di potere in un avvenire non lontano, dedicare tutta la mia attività artistica a simili lavori e realizzare così un mio sogno ed un miglioramento della nostra arte. La letteratura, come il teatro drammatico offrono a noi una ricchissima fonte di soggetti irti di difficoltà di interpretazione, è vero, ma che avvieranno la Cinematografia verso un sicuro indirizzo artistico, che contribuirà a raffinare il sentimento delle nostre folle e renderà possibile ad esse la conoscenza di tante opere d’arte, che ora le sono ignote, perché il teatro è ancora chiuso per esse.  La Cinematografia non potrà sostituirsi al teatro, ma potrà essere invece la volgarizzatrice delle forme più elevate del teatro stesso.

Allora sì che noi potremo dare tutti noi stessi all’interpretazione delle nostri parti, mentre oggi dobbiamo, per necessità industriali, assoggettarci a degli acrobatismi che non hanno che una troppo lontana parentela con l’arte: il pubblico nord-americano desidera i film d’avventure? Ebbene in questo principio d’anno  ho dovuto per ben tre volte, col vento e con la neve, fare dei salti nelle poco tiepide acque del Po, scendere e salire dai treni in corsa…

Comprendo che l’America è un ottimo mercato per i nostri film e che dobbiamo soddisfare i gusti di quel pubblico per non perderlo, ma come conciliare tutti questi diversi desideri?

Il pubblico russo ama una certa libertà di costumi, morali e materiali, altri preferisce e si commuove al delitto e all’adulterio, mentre la censura italiana, e con ragione, vieta l’uno e l’altro. Due miei film, La valanga di fuoco e la Mano di fiamma, che hanno ottenuto all’estero il più lusinghiero dei successi, sono stati vietati in Italia, perché in uno vi era l’uccisione volontaria di un fratello e nell’altra io rappresentavo un apache, ha giudicato la Censura, con tanta fedeltà di espressione, da rendere troppo simpatica e quasi seducente la figura di questo malvivente.

È possibile  continuare in questa incertezza?

In attesa di tempi migliori, io credo intanto che la produzione di film italiana, visto la quasi impossibilità di trovare soggetti che contentino tutti, dovrà scegliere, fra i diversi pubblici quello che più risponde al temperamento dei propri artisti e comporre film di unico stile: così gli attori specializzandosi ciascuno nel proprio stile, riusciranno più facilmente a migliorarsi e la produzione acquisterà indubbiamente un maggiore valore.

Intanto però noi dobbiamo e possiamo farlo, mirare a elevare il gusto del nostro pubblico ed a lato del dramma sensazionale che alimenta la sua curiosità morbosa, dobbiamo dargli rappresentazioni più civili, e meno brutali, che tocchino il sentimento e non agitino le sue passioni.

A questa missione sociale molto possiamo contribuire noi artisti che godiamo le simpatie delle folle, noi possiamo per la fiducia che esse hanno in noi, per la stima di cui ci circondano, per il fascino e la suggestione che esercitiamo su di esse, attirarle quasi insensibilmente e loro malgrado, su un’altra via e orientare il loro gusto verso rappresentazioni più elevate e più morali.

La Casa Ambrosio già da tempo ha fatto di questi tentativi, che hanno avuto un lusinghiero successo ed io mi auguro che tutta l’industria italiana ci segua; così essa potrà avere il primato non solo per le sue qualità artistiche, ma anche per la missione sociale che potrà compiere.

Alberto Capozzi
(La Tribuna, giugno 1915)