L’amazzone mascherata – Celio Film 1914

L’amazzone mascherata è il primo film della Serie Francesca Bertini “La più suggestiva ed affascinante attrice del palcoscenico cinematografico italiano”, prodotto dalla Celio Film. Anche questo è ambientato, in parte, nel paese di Silistra:

Franca ed Alberto De Roberti sono sposi felici in continua luna di miele. Ricchi, di aristocratica stirpe, dedicano tutto il loro tempo libero ad opere di beneficenza.

Nel patronato scolastico prò-Asilo Galilei, il cassiere espone lo stato poco i prospero della cassa. Ed in una riunione in casa della presidentessa tenutasi nella sera, si decide di fare un festa di beneficenza, approfittando del Gran Circolo Equestre Steroski che debutta all’Ippodromo. Al tenente Alberto De Roberti è affidata l’organizzazione della festa. E sotto la direzione di questi e di Steroski sono già cominciate le prove.

Nel frattempo Alberto è incaricato dal generale Salvi di compiere un piano di mobilitazione della cavalleria. Egli, durante le prove al Circo ne fa partecipe la moglie avvertendola che andrà a casa subito per chiudere nella cassaforte i documenti affidatigli dal generale.Tale colloquio non sfugge a Steroski, che è una spia internazionale.

Egli con la sua amante Nadia, studia la maniera per rubare quei documenti. Ed invita Alberto, con la scusa di prendere gli ultimi accordi per la grande festa di beneficenza, dopo lo spettacolo a cena al caffè inglese. Alberto ignaro del complotto, vi si reca tranquillo e fiducioso. Una sigaretta narcotizzata getta Alberto in sonno, rendendo così facile a Steroski il rapimento dei documenti segreti. Compiuto il furto Alberto viene svegliato, e… cos’è stato? — si domanda — Nulla, forse il caldo della sala avrà dato fastidio.

Si giunge così alla festa di beneficenza, riuscita un trionfale successo specialmente per Franca nel suo numero di amazzone.

Steroski, in possesso dei documenti si è affrettato a consegnarli al governo del suo paese, la Silistria.

Nel frattempo Alberto è invitato dal generale a riconsegnare i documenti. Triste sorpresa ! La cassaforte è vuota ! Dopo una straziante scena, egli abbandona la moglie e si reca dal suo generale, già conscio della sorte che lo attende. In attesa che il Tribunale militare lo giudichi, viene messo agli arresti. Ma la sua situazione è grave: le prove della sua innocenza mancano. Il tenente Alberto De Roberti viene condannato a venti anni di carcere.

Franca però si convince che Steroski o qualcuno del suo Circo, sia l’autore del furto: una mattina Bastiano, il vecchio e fedele domestico di Casa De Roberti difatti ha trovato sotto la cassa forte un bottone da frak con il monogramma del Circo Steroski. E, verso l’ignoto, con un piano ardito, difficile, ella va in cerca della prova dell’innocenza del suo Alberto….

Presentato nella sezione Silents Italian Style del 6th Pordenone Silent Film Festival, 27 Sept. – 3 Oct. 1987.

La camicia garibaldina di Za la Mort

Qualcuno ha visto il film I Topi Grigi? Ricordate la camicia che indossa Emilio Ghione?
Eccola, guardate attentamente …

Emilio Ghione 1918
Emilio Ghione, I Topi Grigi, Tiber Film 1918
I Topi Grigi, Tiber 1918
Emilio Ghione e la banda dei Topi Grigi, Tiber 1918

Il film è del 1918.
Adesso date un’occhiata a questa foto di Garibaldi.

Voglio ricordare che per questioni di resa cinematografica la camicia di Ghione (Za la Mort) potrebbe essere rossa…

A grande grandissima richiesta, un sito per Don Emilio Ghione. Buona visione!

L’ultima impresa – Tiber 1917

l'ultima impresa
L’ultima impresa (1917)

Secondo Vittorio Martinelli e Denis Lotti, autori dei volumi dedicati a Emilio Ghione, poche – nessuna – notizia su questo film. Ecco la trama, una critica… (la ricerca è di qualche anno fa). Siamo pronti per ritrovare il film e renderlo disponibile (come sempre) per tutti?

L’azione si svolge a Parigi. Nelle tranquille ore del mattino quando il via vai della gente nel mercato annuncia l’inizio della giornata lavorativa, la stiratrice Luisette, aiutata da Za la Mort, apre il suo negozio, e subito dopo entrano le dipendenti per riprendere il loro lavoro quotidiano.

Separato dai suoi compagni, completamente dimenticato della sua vita passata, Za la Mort consegna al lavoro il rimedio dei suoi errori e si accontenta di una vita semplice lavorando nel mercato, e ogni giorno, aiuta Luisette nella sua stireria, rifiutando di ricevere qualsiasi compenso.

Nell’anima del vecchio apache germina una passione, e la voce potente dell’amore non può annegare nel duro lavoro quotidiano, ma Za, nasconde in segreto il suo amore per la bella stiratrice.

Un giorno, chiudendo le vetrine del negozio di Luisette, Za la Mort si è fatto un piccolo taglio con un pezzo di vetro e guarda come un tesoro la benda che lei gli ha messo nella ferita in ricordo del suo amore segreto.

Questo spirito rude, che era stato invaso da tutta la violenza e tutte le passioni e non conosce la paura nei maggiori pericoli, trema come un bambino quando Luisette lo ringrazia mentre porta un sacco di carbone o fa qualsiasi piccolo servizio che egli considera come un omaggio alla donna che ama.

Ma Luisette, ha scelto già l’uomo al quale offrire una vita di duro lavoro e onestà … è innamorata di André, un giornalaio che ha visto nel lavoro della sua fidanzata, i mezzi di godere di un certo benessere, e non sente una passione degna del grande entusiasmo con cui Luisette attende il giorno in cui consacrare la loro felicità …

A questo punto un personaggio appare sulla scena, è Brin d’Amour, una vecchia amica di Za la Mort, che desidera riprendere i vecchi rapporti, ma Za si oppone, disposto a non ricadere mai più negli antichi errori …

Nel corso di un ballo al quale partecipano anche Luisette e André, Brin d’Amour si rende conto del sentimento che Za prova per la stiratrice e, cercando di vendicarsi, lo fa notare ad André.

Za, insultato davanti a tutti, non vuole reagire, e viene liquidato come un codardo. Lui, il vecchio apache, abile a maneggiare le armi, soltanto per la felicità di Luisette, accetta finalmente la sfida, ma senza intenzione di difendersi, disposto a farsi uccidere per non far perdere a Luisette l’uomo che ama.

Suona l’ora della sfida nella torre dell’orologio vicino, Za e André sono nel vicolo scelto per lottare ..

Za sorride mentre André si prepara a combattere, e per evitare che in un momento in cui l’autoconservazione potrebbe più su di lui nella sua decisione di sacrificare se stesso, rompe la punta del coltello contro il muro e così, inerme, si consegna alla morte, pensando che il sacrificio della sua vita non è inutile …

Le sue ultime parole sono per André, al quale fa promettere nel ricordo di sua madre che nel caso di uscire con vita dalla sfida sposerà Luisette e la farà felice … Qualche istante dopo, il coltello di André affonda nel petto generoso di Za la Mort che, traballante, ricorda ad André il suo giuramento.

Za, contenendo a malapena con la mano la sanguinante ferita, riesce a ritornare a casa sua dove, prendendo la benda con la quale Luisette aveva tamponato la piccola ferita fatta dal vetro della finestra, la preme contro il petto, nelle ultime convulsioni di agonia. Triste agonia di Za la Mort, che muore da solo in un angolo del suo cubicolo miserabile, mentre sulla strada suonano le chitarre celebrando che André è uscito indenne da una sfida con Za la Mort il terribile tiratore di coltello … e Luisette passa al braccio di André giusto sotto la finestra della stanza dove l’apache, redento dal lavoro e dalla sofferenza dal suo amore cessa di esistere.

Dell’Ultima impresa, creata e interpretata da Emilio Ghione, e rappresentata in questi giorni all’Ambrosio, ho riportato una impressione quanto mai favorevole.

Dire di Emilio Ghione parmi davvero superfluo; Emilio Ghione è un grande, un magnifico artista, dalle innumeri e svariate risorse, cui non fan difetto né la scuola né l’indole, e che sa condurre a buon porto, pur tra venti e procelle, il suo robusto naviglio.

E L’ultima impresa non è in realtà, come creazione scenica e drammatica, troppo di che; l’azione è scarsa, rapida, breve; v’è se pur v’è, un vago accenno di trama; ma tutto ciò è pallido, scarno, esangue, confuso in una sola patina grigia, che ne tronca gradatamente il respiro e ne riduce considerevolmente l’effetto.

Scarso intreccio, fiacca drammaticità, povera uniformità di colori psichici; questi — inutile è il negarlo — sono i difetti visibilissimi della creazione.

Pur tuttavia, L’ultima impresa convince e commuove.

Di chi dunque il merito?

Il grande, il solo, il reale merito è dell’interprete; l’onore va tutto a Emilio Ghione.

Strano, complesso e forse unico nel suo genere questo principe della scena muta!

Quale profonda, quale suggestiva maschera la sua! E quale e quanta dovizia di mezzi scenici ed emotivi nella sua arte mirabile!

Emilio Ghione è, come Capozzi, un dominatore, un vero re della scena; in Ghione la parte incarnata perde inavvertitamente ogni velo di finzione illusoria, e l’anima, l’anima pura ed intima della vita vissuta ci si palesa dinanzi, in tutta la sua chiara luminosità, con le sue luci e le sue ombre, le sue sintesi e i suoi dettagli; abbiamo innanzi a noi non una muta e pallida « ricostruzione » ma una « rappresentazione », o, per vero dire, una « visione » viva e completa di quella quotidiana esistenza, ove l’atomo misterioso della poesia delle cose, quasi sempre obliato dagli uomini inconsci, pare tremi e rifulga, con la voluttà silenziosa degli enigmi eterni. Rappresentazione, dunque, non fotografica o pedissequamente servile; ma «pittura», pittura animatrice e feconda degli ambienti e degli uomini, degli spiriti e delle cose, condotta con magistrale pennello su la tela immensa della vita mortale.

Questo ci da Emilio Ghione. Il suo volto, misteriosamente enigmatico, si presta, a meraviglia ad incarnare e a riflettere i moti più profondi e più fuggevoli della nostra anima, e, così nell’odio come nell’amore, così nell’amarezza come nel gaudio, questa sua maschera, più volte cupa e pensosa come un’erma tragica, come lo specchio meditabondo del dolore umano, rare volte lieta e serena, come un simulacro di felicità passeggera, si riveste di mille tinte speciali, di mille tragici aspetti e parla ai cuori nostri con quella stessa paurosa solennità con cui parla agli animi l’eterna favola allucinante della Vita e del Sogno.

Come infatti avrò agio di dimostrare in un mio prossimo scritto, il Cinematografo è una delle poche vie ove l’animo umano può pensosamente procedere, con i suoi dubbi e le sue malinconie, verso un regno di verità e di silenzio, di poesia e di mistero; ove forse una nuova forma di pensiero e di sogno sta per concretarsi e apparire, libera da ogni dogma e da ogni canone filosofico, nella luce eterna della Parola inespressa, nell’armonia silenziosa del’.e cose umane, in quell’atmosfera estatica di raccoglimento in cui lo spirito torna inconsapevolmente alle fonti prime dell’Essere, alle prime scaturigini dell’Idea.

Tale la via su cui la novissima Arte dovrebbe incamminarsi e procedere.

Sarebbe invero gran vanto, in un’epoca come la nostra, di gretto positivismo scientifico e misero scetticismo idealistico, ricondurre lo spirito al!a considerazione dei problemi eterni, mediante la virtù comunicativa di un’arte, di cui gli indotti e i profani tentano, nella lor miseria intellettuale e morale, minar per sempre le basi.
Purifichiamo, dunque, spiritualizziamo il Cinematografo!

Certo, il sogno è troppo bello e troppo alto per poter avere una subita attuazione pratica; ma, appunto perciò, la meta, lentamente e faticosamente conquistata, ci sarà prodiga di soddisfazioni maggiori.

Ripeto, la cosa è ardita, e, sotto molti punti di vista, quasi direi, impossibile; ma, dopo tutto, se non si raggiungerà proprio l’alto scopo prefisso, sarà tuttavia non poca gioia l’aver, magari infruttuosamente, tentato un grande e puro ideale.

Nitimur in vetitum sernper cupimusque negata

Il mònito ovidiano non potrebbe esser più adatto.

So bene, per altro, che i gusti e le aspirazioni della quasi totalità del pubblico non son certo in una perfetta euritmia con quanto ho sopra espresso; e potrebbe anche darsi che l’elevazione del Cinematografo, attraverso le vie del Pensiero, non fosse che un sogno, e, come tutti i sogni, « inutilmente sublime ».

Non sarà tuttavia inutile o indecoroso aver tentato la strada.

Gli elementi invero non mancano.

Emilio Ghione, ad esempio, tralasciando talune sue speciali interpretazioni di dubbio buon gusto, potrebbe in poco tempo, con !a sua anima e !a sua arte, dettare ia parola nuova e rivelatrice nei teatro dell’Ombra.

Se n’avvantaggerebbe !a sua fama, pur già cosi luminosa; e, sopratutto, la bellezza e la poesia della scena muta.

Speriamo, dunque; e attendiamo la prova. »
R. C. La Spezia, 10 maggio 1917