Seconda proposta di restauro dell’archivio in penombra.
Qualche giorno fa cercavo di spiegare ad un amico le difficoltà per portare avanti qualsiasi progetto di restauro in questo paese. Lui mi aveva portato alcuni “rari e vetusti” esemplari di pellicola, almeno questo è quello che credeva lui, e pensava che il gioco era fatto dal momento che si trattava di esemplari “rari e vetusti”. Per convincerlo delle difficoltà gli ho fatto vedere cosa è successo, cioè cosa non è successo, con il film dell’Ambrosio.
Bene, riproviamoci ancora una volta.
Anche questo dovrebbe essere un film molto interessante, visto l’interesse, addirittura internazionale, nella vita e nell’opera di Emilio Ghione. La sua prima prova di regia-sceneggiatura: Idolo infranto, produzione Celio Film 1913, interpreti: Francesca Bertini, Alberto Collo, Giacinto Gallina. Bellissima fotografia, interni ed esterni (Roma, Tivoli), di Giorgio Ricci. Da noi, la copia italiana (incompleta), all’estero copia alla cineteca dell’UNAM (Messico), altra al Netherlands Filmmuseum. Copia della copia messicana alla Cineteca di Bologna.
Siamo qui. Il nitrato è in buonissime condizioni, per il momento.
Il tormentone dell’ Hitchcock ritrovato va avanti da un paio di giorni senza che nessuno riesca a fermarlo. Ormai è sicuro che si tratta del primo film di Alfred Hitchcock, girato addirittura a Hollywood. Quotidiani, televisioni, mezzi stampa sul web, che al cinema muto non concedono abitualmente nemmeno due righe, hanno sparpagliato la notizia ai quattro venti come se qualcuno avesse ritrovato, invece dei 30 minuti del film di Graham Cutts, il diario intimo e inedito della cameriera di Alfred Hitchcock segretamente innamorata di lui. Grande scoop! (quello del diario della cameriera). A proposito, come si chiamava la cameriera di fiducia di Mr. Hitchcock?
In poche parole: aveva ragione Pamela di Silent London. Qualsiasi notizia sul cinema muto che non vada preceduta da un nome come Chaplin, Keaton, Pickford, Gance e pochi altri, ha poche possibilità di svegliare l’interesse di un mondo sempre più distratto con il suo patrimonio culturale, ma disposto a seguire con la massima attenzione il solito talk show (conosciuto anche come “vedi la litigata e la riconciliazione in diretta”), dove una coppia di fidanzati, per il 99 % degli spettatori due completi sconosciuti, raccontano in 16 puntate e molti intervalli pubblicitari, ogni particolare sulle loro più intime abitudini sessuali, corna, famiglia, ecc. Questo tipo di programmi, ed altri simili, verranno conservati accuratamente negli archivi per le future generazioni, mentre gente sconosciuta come un certo Emilio Ghione sparirà completamente dalla memoria collettiva.
In questo mondo dei tesori nascosti e ritrovati del cinema muto c’è di peggio. Il trattamento della stampa al film di Graham Cutts può giustificarsi per quello che ho detto sopra, e cioè, la necessità di “creare un evento” per attirare l’attenzione del pubblico in generale. E fin qui posso anche capire. Immaginate adesso che i 30 minuti ritrovati venissero attribuiti a Hitchcock senza il minimo accenno a Cutts, inventandosi, per esempio, una falsa testimonianza storica dove si racconti che Cutts aveva abbandonato completamente il set in mano al suo aiuto regista. Difficile? Mica tanto. Come dicevo, è stato fatto questo ed altro.
Adesso vi racconto la storia di un film ritrovato, restaurato, e presentato in un festival di cinema, davanti ad una platea di storici e addetti ai lavori, per il quale è stata inventata una casa di produzione, l’anno di produzione, il regista, persino il visto di censura. Motivi? Due. Il primo creare l’evento “copia unica la mondo”, il secondo la mala fede di un’archivista senza scrupoli, che doveva ad ogni costo fare uno “scoop” e farsi una reputazione. La storia è vera, ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistenti non è da ritenersi puramente casuale, posso presentare le prove, avevo pensato in una lettera aperta alla FIAF, poi ho lasciato perdere, ma non è detta l’ultima parola. Quello che non riesco a capire è il contegno di quelli che hanno partecipato ad una manovra del genere, professionisti che non hanno nessun bisogno di compromettere il loro prestigio.
Copia unica al mondo? Certo che sì, il motivo è semplice: è come un Frankenstein perchè è il risultato di un arbitrario trapianto tra varie pellicole con qualche verosimiglianza, in un laboratorio gestito da un folle, come il dottor Frankenstein appunto.
Hesperia, Emilio Ghione, manifesto del film Anime buie, disegno di Collino (in archivio, finalmente!)
La coppia protagonista di questo film: Hesperia-Emilio Ghione è molto popolare fra gli studiosi del cinema muto: rassegne, saggi, tesi di laurea, libri…
Nei ultimi tempi, sulla vita e l’opera di Emilio Ghione sono usciti due libri due, a distanza di un anno. Nei siti dell’archivio in penombra i post più visitati sono quelli dedicati a Ghione. Questo mi fa piacere, Ghione lo merita.
Uno dei primi film in cantiere del progetto Cinema Muto Italiano è questo Anime buie, produzione Tiber Film 1916:
E ancora Zà la mort, scenario, interpretazione e messa in scena di Emilio Ghione. Non si può dire che l’ottimo artista manchi d’immaginativa e d’attività. In questo è degno di tutta la nostra ammirazione, anche se, qualche volta, i suoi lavori presentino diversi e svariati… talloni d’Achille per gli strali della critica. Anime buie, ad esempio, dei suddetti talloni ne presenta una discreta quantità: molti sono così impercettibili che non vale la pena di prenderli di mira, ma uno, il primo, è così visibile che si può colpire facilmente anche con gli occhi bendati. Intendiamo parlare del soggetto. Non che Anime buie, cinematograficamente parlando, sia un soggetto mancato. Tutt’altro. Vi abbondano anzi tutti quegli elementi di attrattiva, d’imprevisto, di complicato, che, di fronte al pubblico, costituiscono sempre la maggiore garanzia di successo. Quello che manca è la logica, dato e non concesso che in cinematografo non si possa parlare di verosimiglianza. Le avventure di Zà la mort, questa volta, volano un po’ troppo rapidamente nei regni dell’assurdo, ed i regni dell’assurdo confinano, purtroppo, con quelli del grottesco.
Troppe trasformazioni compiono i personaggi di questo dramma. Troppe avventure complicano lo svolgimento dell’azione. Quel passaggio di Hesperia e di Zà la mort dalla vita delle taverne a quella del gran mondo cosmopolita non ci persuade, come non ci persuade quella fuga di Zà la mort dalla sala anatomica. Anche la fantasia ha dei confini. Anche le favole cinematografiche debbono essere contenute entro un certo limite di possibilità.
Con tutto questo Anime buie interessa. Il pubblico, ahimè!, non si contenta di piccole sensazioni: vuole delle emozioni, e immediate, e profonde, e violente. Ghione lo sa e non commette che il peccato, che noi perdoniamo ma che la Tiber ed i compratori di film perdonano facilmente, di asecondare il cattivo gusto del pubblico.
C’è però la sua parte buona anche in questi lavori: la messa in scena. Si potrà dire che in Anime buie non manca il « bal tabarin » e che quelle « pampas » americane sono un po’ troppo vicine a Roma, ma si deve riconoscere che Ghione sa ricostruire gli ambienti, dalle taverne ai saloni, sa scegliere gli esterni e sa far muovere gli attori. Ottima, ad esempio, sia dal punto di vista tecnico che da quello del movimento di masse, la scena dell’incendio.
L’interpretazione? Buona. Hesperia è sempre la nobilissima e magnifica attrice che ogni pubblico intelligente ammira. Il suo divino sorriso, i suoi gesti, le sue espressioni sono sempre di una deliziosa efficacia.
Ghione ha troppo stilizzato la figura di Zà la mort. Qualche volta dovrebbe un po’ rinnovarsi. Ma è pur sempre un attore di vigorosa espressività e di raro talento.
Ottimi gli altri. La fotografia della Tiber non ha bisogno di lodi: è sempre superiore. Fandor (Il Tirso al cinematografo, luglio 1916)
Ho pronto il soggetto originale (Fandor parla delle pampas argentine, Ghione del Mexico, ma le scene sono ambientate in America del Nord), e qualche sorpresa. Se francesi, danesi, tedeschi, spagnoli, inglesi, americani possono editare i film dell’epoca del muto, si può fare, come direbbe Obama, lo stesso in Italia.
Presentato nella sezione Silents Italian Style del 6th Pordenone Silent Film Festival, 27 Sept. – 3 Oct. 1987.