Torino-Roma e viceversa

Case editrici di films in Italia, Maggio 1924
Case Editrici di Films in Italia, Maggio 1924

Maggio 1924

Quando il “direttissimo” si lascia alle spalle fumiganti e fragorose la vasta e ancor assonnata campagna romana per insinuarsi decisamente nel cuore di Termini, un “qualche cosa” di luccicante vi abbaglia gli occhi. È il tetto a vetri di uno dei… troppi teatri di posa. Di quelli, naturalmente, che riposano da oltre un biennio. Par che vi dica: « ce’ son sempre al mondo… non ti scordar di me! ».
Ma voi forzatamente dovete tirar di… lungo, e vi mancano il tempo e il fiato per ricambiare il festoso saluto.
Però, toccato il sacro suolo, e più particolarmente messo il piede nella Galleria di Piazza Colonna (il rendez-vous cinematografico romano), vi verrà spontanea e naturale, come è venuta a me, questa domanda: il teatro l’ho visto. Come stanno i “burattini”?
Coro di vocine malinconiche: « Come vuoi che stiamo!…» — Quanto a dire che stanno sempre malissimo.

Le informazioni di carattere cronistorico bisognerà pertanto attingerle altrove. Fra via Marghera, ch’è sempre pulitina e silenziosa; la sede del Sindacato Fascista, che è sempre frequentata e rumorosa, e qualche altro “punto di riferimento”, che per amore di brevità ometto di designare.
Queste informazioni da me raccolte con particolare amore di ricerca e con libero spirito di valutazione, potrebbero definirsi tanto più abbondanti quanto più controverse.

C’è chi vi dice semplicemente, con quel semplicismo da scritturato: « Si lavora… io perlomeno ho sempre lavorato! Se la rinascita cinematografica è questa, io sono rinatissimo ».
C’è chi, al contrario, mostra quasi d’ignorare che esista e perfino che sia esistita la cinematografia, anche se, dopo la chiusura del suo stabilimento, non ha concluso altro nel gran mondo del lavoro.
C’è poi chi vi sibilla un sì che pare un fischio e che non si sa bene se diretto all’industria, all’arte o al commercio della “decima musa”, come si ostina a chiamarla il titolato e buon amico Malpassuti. Titolato anche perché ormai egli è universalmente conosciuto come il più garbato e suggestivo fucinatore di Titoli.
D’altronde, questa dei Titoli o, per essere migliori linguisti, della Titolazione, è divenuta una professione cinematografica di non dubbia importanza e di non dubbio reddito. E ad essa vi si sono dedicati dei già reputatissimi letterati e metteurs-en-scène.
Traduttori e Titoleggiatori trionfano in Roma Pellicolare.
E si capisce anche il perché. C’è tutta una produzione estera da mandare sugli schermi italici, ed almeno quella dei titoli è una fatica che gli importatori non sanno compiere nei loro ateliers.
Le famose briciole del pasto pantagruelico. Accontentiamocene.

Ma non tutti i fu direttori artistici del bel tempo andato hanno così larga dimestichezza colla lingua di Dante da poter essere assunti in servizio letterario. E questi (non pochi per loro fortuna) hanno trovato il loro articolo supplementare. Eccellente anche questo. Già. Tagliano le pellicole (sempre estere e perfino qualcuna quasi italiana) per renderle buone almeno come metraggio.
Sono i “mastri sartori” del nastro di Kodak, o magari quello di Agfa, e perfino quello di Tensi.
Tagliano giù a rotta di collo. Un po’ per gusto, un altro po’ per esercitare una muta vendetta, ed anche per quella benedetta abitudine cinematografica di… tagliare i panni addosso a qualcuno.

In ogni modo “sulla breccia” (quella impavida) c’è ancora una modesta ma non meno robusta scorta.

C’è Augusto Genina (il maestro) con un soggetto quasi suo e due attori distintissimi (Ruggero Ruggeri e Linda Moglia).
C’è Carmine Gallone con la gentile signora Soava e qualche altro buon nome d’arte.
C’è Amleto Palermi che non fa più parte del Consorzio dei Direttori Associati, e ch’è ritornato (intelligente figlio prodigo) a fianco di Amato e Pina Menichelli a rieditare Gli ultimi giorni di Pompei.

Poi ci sono (qui ci vuole il plurale) gli americani.

In incognito, Griffith, ch’è stato perfino ossequiato dal banchiere Fenoglio; liberamente, Mister Edward (quello che diresse l’anno scorso il Nerone della Fontana di Trevi), insediatosi alla Cines, dove si sta costruendo un enorme teatro degno di lasciar filmare Ben-Hur, il papà del Quo Vadis?
Mister Edward è dunque, ancora una volta, “l’ospite desiderato”, ma al suo fianco direttoriale, oltre Diego Angeli e il conte Mannini, v’è “l’ospite desideratissimo”. C’est à dire: Silvano Balboni, il buon Silvano. Egli dirige il reparto tecnico e… à tout seigneur tout honneur.

C’è chi dirige… invano i suoi passi alla nebulosa U. C. I. sulla di cui porta un bello spirito scrisse:
“Dalla padella alla brace”
ma lo scrisse col gesso. E l’eccellente Judicone ha fatto in fretta se non in tempo per cancellare l’irritante adagio.

Effettivamente l’unico motto che — ad oggi — potrebbe essere tracciato con efficacia sul frontespizio della sede Unionistica di via Marghera sarebbe l’addentrarsi nei labirinti del “cosa si fa”, che costituiscono ancora una delle fasi programmatiche dell’U. C. I.
Le porte ed anche le finestre sono spalancate; ma le idee, i propositi, le intenzioni del nuovo Consiglio d’amministrazione permangono ostinatamente chiusi.
— Dov’è il comm. Ambrosio?
— È dentro.
— Come? Ed il comm. Ravasco?
— Dentro anche lui.
— Ma come? E per quale reato?
— Ma quale reato! Sono dentro… in camera di consiglio, che ponzano…
— Ah! Ah! meno male!
La morale della favola è poi questa. Che ci sia, il nuovo Consiglio, ognuno lo dice. Cosa faccia nessuno lo sa.
« Si lavorerà a Roma o a Torino? Andrà o non andrà Pastrone alla direzione artistica?Ma! chi ‘o sape!

L’unica cosa che si sa è questa: che l’on. Giuseppe Barattolo se n’è andato a Nizza Mare… sulla Côte d’Azur, in piena serenità di spirito e nell’affettuosa compagnia della sua famiglia. E quando  vi si dà questa notizia c’è sempre dentro un alito di nostalgia. Nostalgia per l’incantatore o per il suo tempo?
Ecco il problema! Tanto più Amletico, quanto meno simpatico.

E poiché nel nostro viaggio Torino-Roma e viceversa abbiamo voluto soltanto parlare di cose simpatiche, facciamo per ora macchina indietro e — scesi nella solita terra dei sogni e delle cabale — attendiamo il direttissimo bis che ci porti ad una stazione di realtà e magari di realizzazione.

Il cinematografo nel dopoguerra

In Penombra Roma Dicembre 1918

Novembre 1918

Scrivo mentre si riaprono i cinematografi, i quali, come sapete, furono chiusi per l’affare della febbre spagnola. In proposito facevo ieri l’altro la seguente riflessione: « Tutti i malanni ormai si devono attribuire al cinematografo. L’arte, dicono, va degenerando col cinematografo. E la morale poi? Oh! la morale non è stata mai così offesa come dal cinematografo, poveretta! Meno male che la censura — Dio la benedica! — ha tratto fuori la sua durlindana, se no come andava a finire? All’inferno, s’andava a finire. Ed ora che c’è l’epidemia, di chi è la colpa? Ma del cinematografo, naturalmente. E voi vedrete che quando si farà la storia della guerra si accerterà che fu proprio il cinematografo a dar l’incentivo! ». Ma l’epidemia è stata quasi del tutto debellata, e la guerra è stata gloriosamente ed eroicamente vinta.
Ma che farà il cinematografo nel dopoguerra?
Come è noto, dalle molteplici e pletoriche commissioni del dopoguerra il cinematografo è stato escluso totalmente. Il governo continua a fare il cieco in fatto di cinematografo, e ciò comincia ad essere veramente grave. E poi avviene che quando un parlamentare vuole interessarsi di cinematografia nazionale, ecco che salta il Bellotti, nostra croce ormai e nostra delizia.
Ma che farà il cinematografo pel dopoguerra? Industriali, attenti!
Taccuino di Hec

Dicembre 1918

Il fenomeno dell’accanimento col quale la stampa quotidiana, i legislatori pubblici e i Sacerdoti della Bellezza Pura — con tre maiuscole come era di moda ai bei tempi del simbolismo trionfante — combattono il cinematografo, non è nuovo nella cronaca dei nostri tempi. Le stesse lamentazioni si ebbero per l’operetta che doveva uccidere l’opera lirica; per il caffè concerto che doveva uccidere il teatro, per il romanzo che doveva uccidere la letteratura, per il giornalismo che doveva uccidere il libro. Tutte le volte che una nuova forma d’arte — e dico “forma d’arte” intenzionalmente — incontrava il favore del pubblico, i guardiani della morale e del buon gusto scendevano in campo con tutte le loro forze mobilizzate.
È noto, infatti, come l’industria cinematografica sia una delle grandi industrie del mondo. La terza, mi dicono, che viene subito dopo il commercio del carbon fossile e del grano. Ora, in questo prodigioso sviluppo, l’Italia, per una quantità di circostanze fortunate, è la seconda nazione produttrice di films e si trova classificata a pena dietro l’America. Ebbene, tutte le polemiche, tutti i decreti restrittivi, tutte le interpellanze, tutti i progetti di legge concorrono oramai a questo unico scopo: uccidere questa industria e favorire l’importazione delle films straniere. Gli sforzi che fa l’America per batterci su questo terreno commerciale sono inauditi. Aspettando che la fine della guerra le permetta di stabilire da noi qualche grande succursale delle sue case più famose, tende con tenace abilità a conquistare il mercato. E per lei non è difficile, se si pensi che la sola vendita di una film negli Stati Uniti, paga interamente le spese di produzione, in modo che può guadagnarci ancora molto cedendola a prezzi irrisori alle altre nazioni; ed è quello che fa. Di più, in certi paesi ha esercitato una specie di boicottaggio a suo favore: rifiutandosi, cioè, di vendere pellicole proprie a tutti quei cinematografi che non mettano in proiezione esclusivamente films americane, e chiudendo così automaticamente il mercato alle case rivali. (…)
Diego Angeli 

Lettera aperta a S. E. Berenini Ministro della Pubblica Istruzione. Eccellenza, vorrei trovarmi uno di questi giorni a quattro occhi con Lei per dirLe in un orecchio che — a guerra vittoriosamente conclusa — è lecito a un Ministro italiano rendersi direttamente conto delle cose del cinematografo, e come arte e come industria nazionale. (…)
Ora Le so dire che la produzione cinematografica italiana è ottima merce, e fino a ieri ottimamente proficua. Fino a ieri! Perché ormai la concorrenza americana va a poco a poco soppiantandola nei mercati esteri ove dominava egemonica. Fra non molto, se non si muta rotta, sarà un’altra industria italiana di grande esportazione che si ridurrà a cosa sfinita. E sa Ella come? Per gli inciampi che lo Stato italiano va creando a ogni levata di sole, con una così gioiosa fantasia inventiva che se le fosse volta a favore, Dio solo sa a quale grandezza e potenza smisurate potrebbe farla salire. Gli inciampi sono di varia natura: alcuni inerenti al farraginoso meccanismo dello Stato, come le lentezze burocratiche che, durante la guerra, sono riuscite a tanto da impedire materialmente l’esportazione delle pellicole. Ma altri guai si sono aggiunti; e precisamente i pregiudizi moralistici che il deputato Belotti ha elevato con prosopopea maccheronica a vere e proprie inibizioni e, — giunta alla derrata — i pruriti intellettualistici del senatore Molmenti che, avido com’è di nomea, non lascia intentato alcun passo per farsi avanti, pestando i calli e rompendo le scatole alla gente che lavora sul serio. Metta in pratica, Eccellenza, le proposte dei due poveruomini, e mi dica in qual modo l’industria cinematografica potrà vivere e riprendere la via dei grandi commerci se, per ogni pellicola, l’industriale dovrà sottostare a una lunga serie di controlli e di collaudi, passando dalla commissione dei padri di famiglia alla commissione dei dotti, discutendo commissario per commissario e quadro per quadro prima lo scenario scritto, poi la prova proiettata sullo schermo, infine il film compiuto. (…)
Tutta la questione è qui. Il deputato Belotti va giurando e spergiurando che la nostra produzione cinematografica è merce da bordello la quale appesta la nazione, e il senatore Molmenti non gli par vero di tenergli bordone tempestando che, se non è proprio peste, è per lo meno volgare contraffazione di armoniosa bellezza. (…)
Tomaso Monicelli 

(tratto da in penombra, Roma, dicembre 1918)

Cinema e cinematografi in Italia luglio 1918

in penombra luglio 1918
In Penombra, rivista d’arte cinematografica, Roma, luglio 1918, copertina di Bompard (Archivio In Penombra)

Il cardinal Pompili, vicario generale del Papa, ha emanato un decreto nel quale, rilevando come non sempre né da tutti gli ecclesiastici siano osservate le disposizioni che in materia di pubblici spettacoli furono date dal Vicariato, ricorda e rinnova, per ordine del Papa, la proibizione assoluta al clero, così regolare come secolare, di assistere alle produzioni che si svolgono nei pubblici cinematografi di Roma, anche se fossero di oggetto sacro, senza alcuna eccezione. Il cardinale minaccia poi di procedere contro i trasgressori con le pene canoniche, compresa la sospensione a divinis.

È noto come negli ambienti vaticani il cinematografo sia tenuto nella considerazione di un formidabile mezzo di propaganda religiosa e come il Vaticano stesso, fedele a questo criterio, abbia direttamente o indirettamente appoggiati e finanziati, acquisiti e lanciati alcuni films di carattere mistico come Christus, Fabiola, Frate Sole, ecc. Ora, da una cospicua personalità del mondo cattolico apprendiamo una notizia di cui, anche per altre fonti, ci viene confermata la veridicità. S. S. Benedetto XV che ha assistito con grande interesse alla proiezione di tutte le films religiose finora comparse, ha personalmente concepito una grandiosa iconografia cinematografica intorno ad uno dei più fulgidi periodi del cristianesimo ed ha affidato ad un colto prelato il compito di svolgere, sviluppare e concretizzare la sua idea. Si dice anche che, per tramite di una persona che ha già diretto imprese cinematografiche, si sia stipulato un accordo con una delle maggiori case italiane per l’edizione della vasta e complessa iconografia.

Manca la pellicola vergine: negativa positiva. Le consuete spedizioni di Kodak dall’America hanno subìto un ristagno. Pathé, da qualche tempo, non ne manda più. Le scorte, specialmente di negativo, sono state incettate da alcuni bagarini che ne tirano fuori qualche centinaio di metri quando sanno che qualche casa si trova nell’impossibilità di continuare la lavorazione. Allora, questi signori, assumono un atteggiamento di salvatori della patria ed offrono disinteressatamente quel negativo che loro hanno pagato una lira e quindici al metro al modesto prezzo di quattro lire. Intanto molte case, con gravissimo loro danno, sono state costrette ad interrompere i lavori in corso ed altre, specialmente a Torino, a sospendere senz’altro la lavorazione.

Una nuova circolare del Sottosegretario agli Interni richiama i censori di prima e seconda istanza ad una più severa applicazione delle imposizioni di legge per la revisione delle pellicole cinematografiche circa i soggetti e le scene riproducenti comunque ambienti, azione, tipi, gergo, consuetudini e costumi e quant’altro concerne sotto ogni aspetto la malavita, la teppa, la camorra, la baratteria, la mafia, la mano nera, gli apaches, ecc. E ciò anche quando non si raggiunga l’estremo del ripugnante, del truce, e non vi sia diretta ed immediata scuola del delitto. Non dovrà insomma in nessuna forma e per qualsiasi ragione esser consentito che i tristi eroi della malavita siano portati all’onore dello schermo.

Per opportuna norma dei Signori Revisori di primo e secondo grado si avverte che le scene riproducenti manifestazioni di orgia, sotto qualsiasi aspetto, quali, a mo’ di esempio, sono quelle che comunemente vengono riprodotte nei cosiddetti bal tabarin, in gabinetti particolari di ristoranti, in fumerie d’oppio, in case equivoche, in locali di giuoco e, in genere, in tutti gli ambienti di vita traviata e di disordine, per lo più accompagnate da danze lascive, da eccessive libazioni e da altre simili forme di dissolutezza, sono da ritenere contrarie alle disposizioni dell’art. 1 lettera a-d del vigente regolamento. Pertanto la proiezione di dette scene e delle didascalie che vi facciano riferimento dev’essere senz’altro vietata.

Un decreto del Ministro degli Interni fa obbligo agli esercenti di cinematografi di includere nel programma i cosiddetti giornali cinematografici della lunghezza massima di 250 metri, editi e distribuiti dal Comando Supremo del R. Esercito, dai Ministeri Militari, dal Commissariato Generale per l’assistenza civile e propaganda interna, nonché da quelle altre autorità o uffici che ne fossero successivamente autorizzati con decreto del Ministerio degli Interni. E fatto altresì l’obbligo agli esercenti di esporre all’esterno dei locali dei cinematografi le fotografie dei giornali suddetti, che fossero loro esibiti. La proiezione dei giornali avrà luogo almeno per tre giorni consecutivi, di ciascuna settimana, eccetto per i cinematografi che restano aperti solo per tre giorni, o meno, nel qual caso la proiezione deve aver luogo un giorno ogni settimana. È in facoltà delle autorità locali di P. S. di estendere l’obbligo della proiezione oltre i limiti su indicati anche in altri giorni della settimana, in cui i cinematografi sono aperti al pubblico. I giornali debbono essere ripetuti in tutte le rappresentazioni di ciascun giorno.