Letteratura cinematografica: Dopo il peccato romanzo di Amleto Palermi

Dopo il peccato romanzo di Amleto Palermi

Dicembre 1920

Una premessa innanzi tutto, poiché devo rendere nota una considerazione.

Salvo le dovute eccezioni, i nostri autori cinematografici non sono, che io sappia, giornalisti, novellieri, romanzieri, commediografi, poeti. Parte di essi hanno accoppiato alla loro prima virtù di direttore artistico, quella di soggettista. La loro più o meno valentia nella mise en scène e nell’ideare scenari e copioni, non esclude però che scrivere ed ampliare un soggetto, malgrado la buona volontà e la maggiore applicazione possibile, riesca una fatica non tanto apprezzabile. Voglio dire semplicemente che, dovendo una persona leggere uno scritto altrui e giudicarlo, badando al contenuto e alla forma, ha il dovere di tener conto della capacità dell’individuo, e di tutti quegli elementi che lo riguardano in rapporto a l’opera creata. Una severità maggiore o minore, a seconda dei casi, dovrebbe quindi essere in noi, ma riteniamo invece più utile, con un giusto equilibro di esposizione, di dare sempre un accenno preciso ed anche dettagliato — quando il lavoro l’esiga — delle mende di cui potremo renderci conto.

Amleto Palermi – Dopo il peccato

Il contenuto di Dopo il peccato è d’un genere tutto diverso da Il bacio di Cirano. Questo, d’una trama semplice e in certo qual molto studiata; quello, pieno di passionalità. incisivo e forte, pure mostrando una sincerità di narrazione anche in parti delicate e semplici.

Don Giovanni il Siciliano, Anna “l’americana”, Don Gennarino Turrò, Mariuccia, sono i quattro principali protagonisti di questo dramma. Ognuno d’essi è un “tipo” dai caratteri molto vivi, e nella vicenda che è stata svolta con lodevoli criteri, emergono, in special modo, il primo e il penultimo. La figura di Don Giovanni è una di quelle che difficilmente si dimenticano: geloso e irritabile, rude e fiero, pieno di tenacia, di scatti, di effusione, interessa al lettore per tutto il racconto. Don Gennarino, sfaccendato e fanfarone, sfruttatore e galante, si cattiva l’attenzione, più che altro, per le sue qualità. Anna e Mariuccia sono disegnate con tratti abbastanza egregi, ma il Palermi doveva dedicare un più ampio studio alla prima, psicologico essenzialmente, poiché è essa che origina tutto il tumulto di passioni nell’animo di Don Giovanni, è essa che costituisce un cardine principale del soggetto. L’autore invece, si è soffermato a parlare dei suoi dolori, delle sue angoscie, de’ suoi pentimenti, ma così, leggermente, senza penetrare a fondo nell’anima dell’eroina. Quel che noi vediamo nel romanzo, è appena una parvenza; abbiamo intesa tutta la complessità delle pene e degli affetti solamente dalla maschera nobile ed espressiva di Bella Starace Sainati, ché fortuna ha voluto di poter casualmente assistere alla proiezione del film.

Un personaggio secondario è Dummi, la cui presenza si rende necessaria altro che per determinare lo scioglimento del dramma. Di cattivo effetto è il sacrificio del povero idiota, tanto più che Giovanni lo tratta con una maniera villana. Questo episodio, che costituisce parte della fine, getta una luce piuttosto antipatica su le persone, e rende meno buona l’ultima impressione.

Dopo il peccato ha molti punti di contatto col soggetto Sole di Pasquale Parisi. Solo che in questo, la figura dello scemo era l’oggetto principale del film, mentre nel primo, pur essendo necessario al termine lieto, appare in ultimo grado.

Dal punto di vista letterario, questo scritto ha tutti i caratteri della novella. È svolto in forma piuttosto piana, privo però d’uno studio profondo, d’una analisi completa, d’una stringatezza d’espressione. Lo stile, qua e là, è anche piuttosto misero; e infelici sono alcune significazioni di concetti. È doveroso notare alcuni brani che rivelano nell’autore egregie doti d’osservatore, non disgiunte da una certa abilità descrittiva, come pure, termini d’efficacia straordinaria. Sentite come in un breve giro di parole, egli delinea l’opera di un ciarlatano: « Poi celebrò le meraviglie dei cosmetici ».

Dopo il peccato ha acquistato nel film uno sviluppo agile e una vicenda serrata. La recitazione di tutti gli attori ha data una maggior coloritura ai protagonisti e una intonazione piena d’umanità, riuscendo a porre argine a varie manchevolezze che nel dramma scritto è dato di notare.

Carlo M. Guastadini
(immagine e testo archivio in penombra)

La seconda moglie – Rinascimento Film 1923

La seconda moglie Rinascimento Film 1923
Da quella sera trascorsa al Primrose Restaurant la vita sembrò rifiorire per Aubrey Tanqueray (da La seconda moglie, Rinascimento Film)

Cinema Centrale, Messina, Marzo 1923La seconda moglie, Rinascimento Film, dal dramma di Arthur King Pinero (The Second Mrs. Tanqueray). Riduzione e direzione Amleto Palermi.

Dire questa film il « il capolavoro della Menichelli » — come annunciava la réclame muraria — non credo sia sufficiente ed esprimere l’impressione che ho ritratto assistendone alla proiezione.

Bisognerebbe pensare un piccolo brillante che avesse un valore intrinseco inestimabile. E non credo il paragone esagerato. Credo di avere visto tutte le interpretazioni della Menichelli ed il suo nome è troppo conosciuto per decantarne altre lodi, ma in questa Seconda moglie ella ha superato se stessa: Ella è affatto meravigliosa! Ella è assolutamente divina! Non l’avevo mai vista con quella « strana pettinatura da Tabarin » che, accoppiata a quei pendenti, più strani ancora, facevano un effetto assolutamente meraviglioso. Con quel suo corpo flessibilissimo, avviluppato nei veli come in una nebulosa, in alcuni quadri, (specie nel 4° atto) ella ci appare come una figura tizianesca: bellissima in quella semplicità straordinaria di mondana redenta. Meravigliosa tra l’affetto del marito e la gelosia verso la figlia di esso. Sacra, divina negli ultimi quadri!

Sono convinto che nessun’altra donna avrebbe ottenuto quanto ha potuto ella ottenere. Sembra un lavoro scritto espressamente per la « bambina irrequieta ».

Una lode al Palermi per la felice scelta del lavoro. Non ho mai letto l’originale del Pinero e non mi è possibile giudicare in merito la riduzione, ma il lavoro fila dritto, senza ripieghi, senza posizioni forzate, tranne una, ahimè!: L’incontro impreveduto del capitano Artale con Paola!

Gli interni sono indovinatissimi, gli esterni, per la maggior parte girati in Inghilterra, sono meravigliosi. La fotografia è chiara e nitida. Bene, come sempre, il Pavanelli, benino la Claudi. Chi ha reso meno è stato il Martinelli. È piaciuto.

Naturalmente molto successo di… cassetta!

Roberto D’Orazio Orecchio
(La Rivista Cinematografica)

L’agguato della morte di Amleto Palermi 1919

L'agguato della morte
Inserzione pubblicitaria (In Penombra, Roma, febbraio 1919)

Cinedramma straordinario in 4 parti.
Soggetto e messa in scena di Amleto Palermi.
Interpreti: Thea, Ugo Piperno, Giuseppe Piemontesi, Amedeo Ciaffi, Xam Derling, Max di Brabante.

Una lettera del Tenente di Villarosa aveva prevenuto il Principe di Belfiore, suo cugino, che una donna misteriosa, rassomigliante straordinariamente alla principessa Dusnella, sua consorte, era stata sorpresa ad aggirarsi, di notte e in compagnia di un soldato, nei pressi del forte Colleverde.

I due personaggi misteriosi, diceva la lettera, erano riusciti a fuggire; ma un cammeo era stato rinvenuto al suolo, e quel cammeo recava inciso lo stemma dei Belfiore.

Il principe, impressionato dalla comunicazione, parte subito per il forte di Colleverde, con la scusa dell’acquisto di un podere, e ordinando al maggiordomo che, ove il suo ritorno si allungasse, mostrasse al padre della principessa, la lettera ricevuta.

Mentre la principessa Dusnella e suo padre, vecchio generale in ritiro, ne attendevano il ritorno, un insistente latrare dei cani di guardia fa accorrere i servi alla porta del castello, ove essi trovano il cavallo del principe di Belfiore che porta, quasi rovesciato sul dorso, un uomo ferito.

Lo sconosciuto, che è privo di sensi, è condotto nel castello, adagiato su di un letto, e soccorso. Egli è Paolo di Santelmo ed ha una ferita d’arma da fuoco al fianco destro.
Dusnella e il padre si recano ad aiutare lo straniero, e cercano invano d’interrogarlo; egli è sempre svenuto. Ma grande è la loro sorpresa quando si rendono conto che il ferito stringe nella mano sinistra un fazzoletto macchiato di sangue e quel fazzoletto reca lo stemma e le cifre del principe di Belfiore.

In quello, il maggiordomo mostra nascostamente al padre di Dusnella la lettera del tenente di Villarosa, e il padre allora, cui non sfugge anche il particolare che sua figlia ha al dito un anello al quale manca la pietra, è assalito da una tragica ansia, e prende una risoluzione: fa sorvegliare Dusnella e lo straniero ferito, e accorre al forte Colleverde.

Nella notte, i servi nascosti a spiare vedono la porta della camera di Dusnella aprirsi e la principessa uscirne per entrare furtivamente nella camera del ferito. Questi è rinvenuto: la sua ferita è lieve, la donna e lui parlano a bassa voce. Paolo di Santelmo racconta come al forte Colleverde, dopo una lotta accanita, egli ha avuto ragione del Principe di Belfiore ed è riuscito a fuggire sul suo stesso cavallo.

Mentre il padre di Dusnella, giunto al forte, s’intrattiene con il genero e col tenente di Villarosa sui fatti accaduti, squilla il campanello di allarme.

I soldati hanno scorto due ombre profilarsi sul ciglio del fossato e, secondo l’ordine ricevuto, hanno spianato le armi e fatto fuoco.

Le due ombre precipitano: sono Paolo di Santelmo e la principessa Dusnella.

I soldati, il principe e il generale, scendono nel fossato ed ivi trovano il giovane morto: sul suo avambraccio, appare un tatuaggio che rivela in lui un affiliato alla più terribile setta delle spie nemiche.

Dusnella, ferita e svenuta, è trasportata nell’interno del forte. Essa è immobile su di un piccolo letto. Il medico la osserva, mentre il marito e il padre sono sotto il tormento più angoscioso.

Come si chiarirà il mistero?

È quello che si rivela, con emozione; nel finale del dramma.
(dalla brochure del film)

L'agguato della morte 1919
Una scena del film L’agguato della morte (1919)

Come finisca questo “cinedramma straordinario” non so dirvelo per la semplice ragione che il film risulta scomparso. Secondo Vittorio Martinelli, che non cita la fonte, la trama sarebbe molto diversa:

La Principessa Dusnella di Belfiore viene sorpresa accanto ad una polveriera nell’atto di dar fuoco alla miccia di un potente esplosivo. Tutte le apparenze sono contro di lei, benché in realtà, la fanciulla, agendo in uno stato di sonnambulismo, è portata a compiere gli atti più imprevedibili. La sua innocenza viene alla fine provata. La spia che avrebbe dovuto far esplodere la polveriera, viene catturata da Dusnella e da Paolo di Sant’Elmo, il suo fidanzato, l’unico che aveva sempre creduto alla sua innocenza.
(da Il cinema muto italiano 1919 – i film del dopoguerra, Bianco e Nero – Nuova Eri/Edizioni Rai 1995)

Girato nel 1919 (visto di censura del 1.4.1919), prima visione romana Cinema Venezia, 23 gennaio 1920. Non sono riuscita a trovare nessuna recensione.