Za la Mort!

Confesso di non essere eccessivamente colto, riguardo al romanzo dei bassi fondi parigini. Ignoro perciò donde precisamente siano stati tolti Za la mort, Za la vie, Casque d’or ed altri celebri nomi d’apaches, che stanno creando una gloria immortale alla Tiber Film e ai suoi direttori artistici. Ma il lettore forse mi perdonerà, quando potrò dirgli che codesti sonori nomignoli del gergo parigino adornano i tre principali personaggi di una serie cinematografica d’avventure creata dalla fertile fantasia di Emilio Ghione, noto metteur en scène, celebre artista ed industrioso scombiccheratore di soggetti.

Za la Mort è il bandito simpatico, abbonato ferroviario della linea Parigi-Cayenne. Le donne più belle lo idolatrano; i valorosi compagni lo temono o l’invidiano; i poliziotti se ne lasciano volentieri burlare; i muri e il sottosuolo si aprono al suo passaggio; le acque si dividono come il Mar Rosso all’esodo degli Ebrei; il fuoco non lo tocca, il veleno e il pugnale lo rispettano. Come dio, egli è in ogni luogo; come il buon senso in cinematografia, è sempre irreperibile. Balla il tango, si capisce, e le danze degli apaches, a perfezione; maneggia il coltello come Juan Josè; sa baciare come la ragazza americana più civetta. È, per dirla in una sola parola, l’irresistibile.

Za la vie si noma la sua amante: perfida, astuta e vendicativa. Gli ha messe più volte le corna e gliele metterebbe ancora, se non fosse ammazzata in tempo da Casque d’Or, la bellissima innamorata del bruttissimo Za, che non si accorge o fa il sordo all’amore così spontaneamente offerto.

Za la mort aspetta, è naturale che Casque d’Or, trasbordata oltre l’Oceano, sia divenuta una ricchissima ballerina, e che dieci o dodici miliardari americani le facciano una corte spietata… Allora il bandito, trasformato anch’esso in miliardario (grazie all’eredità toccatagli di qualche migliaio di biglietti da mille falsi) comincia a spasimare per la bellissima fanciulla dalla chioma d’oro; che, naturalmente, lo respinge.

Ma Za la mort è l’uomo delle grandi trovate. Casque d’Or l’ha respinto? Ma è naturale: essa era innamorata di un apache, non del miliardario spacciatore di banconote poco autentiche. Quando però Za, indossata l’umile divisa di fattorino d’albergo, serve la bella giovane bionda che siede a tavola coi suoi spasimanti afflitti da tanti milioni, Casque d’Or, commossa dal sovrumano sacrificio, fa gli occhi languidi e, nel primo cantuccio solitario che le si offre, getta le braccia al collo del suo vecchio idolo, mormorando: Sono tua. L’apache, è vero, ha preso un nuovo abbonamento per Cayenne; ma le sue risorse sono infinite. Egli ne ritornerà subito, dopo mille spaventose peripezie, per godere la libertà e l’amore, lontano, nelle pampas sconfinate, dove ridiventerà quel che in fondo è sempre stato: un uomo onesto.

Resta ora da dire chi sia Emilio Ghione… La faccenda è un po’ più seria.

Le celebrità dello schermo s’incoronano di lauro con tanta fenomenale rapidità che appena s’arriva in tempo a conoscerne il luogo d’origine. Emilio Ghione dal viso glabro (è questo il particolare più spesse volte ripetuto negli avvisi cinematografici) è napoletano? siciliano? romano? E chi lo sa? Deduco che sia del mezzogiorno dall’enfasi ineffabile di certi titoli, onde abbellì le prime parti della sua serie Za la mort. Erano di una soave e grave profondità di concetto esposta in mistica ricercatezza di paroloni armoniosamente insensati. Pareva di sentir parlare uno di quei sensali, mezzo avvocati, mezzo inbroglioni, che sono purtroppo una epidemia di quelle nostre provincie, così ricche di belli ingegni destinati a sciuparsi…

Altro di Emilio Ghione non so, fuori di quello che s’impara dalle films dove agisce. Cioè, ch’egli è un attore molto efficace, dalla maschera di un orrido impressionante, dal corpo magro e muscoloso, straordinariamente adatto alla parte di apache. E anche non ignoro che i soggetti della serie Za la mort sono ideati da lui. Ideati? È un po’ troppo. Diciamo compilati. E la compilazione non è troppo felice. Voi vedete passare nell’azione tutti i più vieti motivi del romanzo d’appendice tipo Rocambole, ma senza il più lontano termine di confronto con le concezioni immaginose del visconte Du Terrail: i colpi di scena, i passaggi dall’uno all’altro mondo, le avventure nei meandri del sottosuolo parigino, le ridde fantastiche di milioni, che dalle vecchie concezioni rocambolesche sono man mano passate ai moderni Fantomas e Lupin e al romanzo inglese di Rider Haggard, di Boothby e di tanti altri.

Emilio Ghione però ha saputo dare una impronta sua propria a tutta questa materia, togliendone principalmente un grave difetto: il buon senso. Tutti questi soggetti cinematografici che costituiscono la serie Za la mort hanno l’indiscutibile pregio di essere semplicemente insensati. Sembrano tendere alla glorificazione di un malfattore che, se è molto più stupido di Rocambole e di Fantomas, in compenso fa delle cose meno fantastiche, meno grandiose, meno interessanti, ma molto più verosimili e inspiegabili.

Perché molto spesso viene alle labbra la domanda: Ma perché Za la mort si affana a compiere tante imprese perfettamente inutili? Perché sembra così spesso un turista, il quale, volendo compiere il viaggio da Londra a Parigi, stima necessario passare per il polo nord e traversare tutti cinque gli oceani?

Vorremmo dare al signor Ghione un consiglio. Una volta egli era attore, direttore, soggettista e compilatore dei titoli. L’arrivo alla Tiber del conte Negroni gli ha forse tolto di mano il mestolo per quel che riguarda i titoli e la messa in scena.

Perché, dietro l’ottimo effetto che ne è derivato, non rinuncia anche a ideare i soggetti? Non sarebbe tanto di guadagnato per la sua gloria?

Acer.
(Cinemagraf, 5 settembre 1916)