
Finito l’intermezzo sui film ritrovati, riprendiamo l’avventurosa storia di Marie Doro e Herbert Brenon in Italia.
5 marzo 1920. Lo sciopero degli operai degli stabilimenti cinematografici continua, nonostante il manifesto ultimatum pubblicato dagli industriali. Anzi sembra proprio che quel manifesto invece che persuadere gli scioperanti a riprendere il lavoro, abbia stimolato vieppiù tutti a proseguire la lotta.
Un noto industriale cinematografico, non di Roma, ci ha detto stamane che gli operai delle Case cinematografiche romane hanno paghe non rispondenti al costo della vita e che, considerato gli alti stipendi concessi ad artisti ed artiste, si può concedere un aumento di paga anche agli operai.
Il Sindacato operai cinematografici è deciso dunque a non piegare e continuare lo sciopero. Domattina altro comizio alla Casa del Popolo.
Lo sciopero cinematografico. Intervista con un industriale
6 marzo 1920. Lo sciopero degli operai cinematografici non accenna a finire. Anzi pare che si sia vieppiù riacceso dopo il manifesto degli industriali i quali invitavano gli operai a riprendere il lavoro entro il giorno 5. Gli operai a loro volta, dopo un comizio alla Casa del Popolo, avevano intimato agli industriali di accettare le loro proposte entro il giorno 6, contrariamente avrebbero preso possesso degli stabilimenti.
Diamo ora la parola, giacché stamane l’abbiamo concessa agli operai, ad un notissimo industriale che abbiamo intervistato oggi.
Anzitutto ci dispiace — ci è stato detto — che i nostri operai, lasciatisi guidare da qualche fanatico, abbiano degenerato il loro sciopero economico in uno sciopero politico. Se noi ieri eravamo disposti a patteggiare con i nostri operai che scioperavano per un aumento di stipendio, oggi questa disposizione ci manca nel modo più assoluto perché lo sciopero ha acquistato un carattere esclusivamente politico. Noi non permetteremo mai che ci si impongano delle condizioni da questo o da quel partito politico, in special modo quando il partito che vuol farci delle imposizioni è appunto quello che ha tentato e tenta con la propaganda più odiosa e insulsa di gettare nella rovina la nostra Italia, che noi invece, per quel poco che possiamo, vogliamo arricchire con la nostra industria. Hanno detto che noi abbiamo scritturata una diva per 2 milioni all’anno, e due direttori di scena per mille lire al giorno ciascuno. Ebbene tutto ciò è falso e noi possiamo dimostrarlo con documenti. Di vero c’è solo questo fatto per quanto riguarda la diva: una Casa estera ha proposto a costei un contratto, per due anni, di 6 milioni. La diva — chiamiamola così per intenderci — ci ha detto questa offerta pervenutale e ha soggiunto: «Per quattro milioni rimarrei in Italia, con voi». Ora noi non abbiamo ancora accettato questa proposta ma diciamo: è vero che la richiesta è esagerata, pazzesca, tutto quello che si vuole, ma d’altra parte bisogna fare questa considerazione: se questa signora se ne va presso una casa estera, noi sul mercato estero specialmente non potremo più scagliare la nostra produzione con la sicurezza che sarà venduta ottimamente perché oggi il pubblico più che ammirare il dramma cinematografico in se stesso ama sopra tutto, anzi esclusivamente, i suoi divi.
Va bene tutto ciò sarà degenerazione artistica vi concedo di usare gli epiteti che più credete opportuni, ma così è, e l’industria cinematografica è una delle più fiorenti industrie nazionali. Come vedete noi siamo presi per il collo e nostro malgrado siamo obbligati a sborsare delle somme fantastiche. I grandi artisti, quelli cioè che rendono sicura e finanziariamente ottima la vendita di un film, non si improvvisano sui due piedi: occorrono anni. O che credete: che si possa girare un film con qualche segretaria della Camera del lavoro? E l’industria, per essere industria buona, ha bisogno di vendere i suoi prodotti.
E’ falso inoltre che due direttori di scena percepiscano mille lire al giorno: l’unico direttore che percepisce uno stipendio superiore a tutti gli altri è un signore non italiano, e che forse non rimarrà troppo in Italia perché ha offerte maggiori all’estero. Lo stipendio di questo signore è di circa 45 mila lire annue. Inoltre nessuna attrice, contrariamente a quanto è stato detto, percepisce 800 lire al giorno. Altra panzana è quella che abbiamo letto stamane ove è asserito che l’Unione Cinematografica Italiana in un mese ha erogato 370 mila lire per piccole spese di carrozza e posta mentre invece non sono di piccole spese che 331 mila lire in un anno. E noi, tutto ciò potremmo dimostrare. E chiameremo qui a verificare i documenti di amministrazione tutti i giornalisti i quali poi diranno sui loro giornali se realmente le accuse di sperpero che ci sono lanciate sono o no malvagie.
Noi, con i nostri operai siamo andati sempre d’accordo. Tuttora li riteniamo delle brave persone, lasciatesi travolgere involontariamente da qualcuno che ha scopi, o lavora per scopi di partiti politici. Immaginate che noi della Lega industriali non solo ci siamo riuniti per evitare concorrenze fra di noi, e limitare in tal modo le paghe a molti artisti, ma per il bene anche dei nostri operai, tanto è vero che da noi fu fatta la proposta che fu fatta regolarmente anche allo Ufficio municipale del lavoro di costruire per i nostri operai delle case economiche, da noi fu fatta la proposta a notissime artiste di lasciare il danaro percepito per la posa di un film per accrescere il fondo delle case economiche che avevamo progettato, e da noi uscirono tante e tante proposte tutte a favore degli operai, che qui è inutile che io vi elenchi. Ma loro, i nostri operai, lo sanno. E lo ricorderanno, perché essi, pur in questi momenti di agitazione debbono essere rimasti i buoni operai che erano. Non crediamo che essi, individualmente siano degli scontenti, e ce lo dimostra il fatto che molti vogliono riprendere il lavoro, e se non lo fanno è perché temono delle rappresaglie. Già alcuni, sfidando anche questo pericolo, si sono presentati per riprendere il lavoro. Sfido! Basta dire che le paghe di più di 300 lire il mese sono le paghe dei facchini e di altre persone, che ogni Casa ha in soprappiù e quindi potrebbe anche licenziare. E poi le altre paghe arrivano alle 700 lire mensili.
Ma — abbiamo chiesto — se gli operai ottenessero di esercire da sé medesimi gli stabilimenti? E’ una possibilità che…
— In questo ramo di industria, certe possibilità non si possono nemmeno pensare!
Qualche chiarimento. Il notissimo industriale è Giuseppe Barattolo. La Diva dei quattro milioni è Francesca Bertini, in realtà il compenso (nel contratto dal 1° giugno 1920 al 31 maggio 1921) è di un milione di lire. Tre milioni in meno. Forse Barattolo non si rende conto della gravità della situazione, ma queste dichiarazioni solleveranno un vespaio contro la Bertini in particolare, e contro tutti i divi in generale. Qualcuno prenderà molto sul serio la questione e Francesca Bertini sarà costretta a lasciare l’Italia. Ma non il cinema.
Il direttore non italiano che percepisce uno stipendio superiore a tutti gli altri è Brenon. Anche questo solleverà un vespaio, sopratutto fra i colleghi italiani, quindi nella stampa professionale.
L’Unione Cinematografica pubblicò una smentita alle accuse del Sindacato operai cinematografici. Poi seguì il manifesto della Lega industriali ad appoggiare l’UCI. A questo punto interveniva l’on. Gioacchino Mecheri, consigliere autorevole dell’Unione, il quale in una intervista concessa ad un quotidiano di Roma, appoggiava le richieste degli scioperanti e dimettendosi dalla carica che che rivestiva in seno all’Unione, acuendo così il dissidio sorto fra lui e gli industriali dei quali non approvava i metodi seguiti nella vertenza. Intanto gli operai, i generici, i lavoratori dei films continuarono nella lotta, tenacemente. La lotta divenne aspra da ambo le parti, finché entrarono in scena i generici che, adunati per invito del loro sindacati, votarono il seguente ordine del giorno:
“Considerando che per i caroviveri e per il caro vestiario le condizioni di vita vanno aggravandosi in modo da doversi già considerare insostenibili, gli artisti generici deliberano di rimettere oggi stesso alle case produttrici un memoriale, per chiedere la concessione dei miglioramenti economici indispensabili.
La risposta degli industriali è attesa per il giorno 7 corrente, Scaduto tale termine la classe sarà convocata d’urgenza a comizio per prendere le decisioni del caso.”
Intanto i comizi si susseguivano. Pace, il capo degli operai, incitava alla resistenza. A Torino, la vittoria arrise agli operai. La notizia imbaldanzì la classe lavoratrice di Roma.
La lotta a Roma non accennava a finire. Gli operai invitarono gli industriali a presentare i loro libri contabili alla stampa quotidiana in presenza di una commissione operaia. Gli industriali non risposero. A questo punto sorse un’altra figura in difesa degli scioperanti: il barone Guido Parish, già direttore generale della Myriam.
Intanto alcune piccole Case capitolarono e gli operai logicamente imbaldanziti, deliberarono la resistenza a tutta oltranza. La stampa quotidiana, appassionata del dissidio appoggiò gli scioperanti.