
L’Autore, rievocando la complicata figura di Giuliano l’Apostata, non ha voluto trar partito dalle opere poetiche illustri preesistenti: nel ricomporre l’immagine del folle eroe, del mistico a rovescio, così come balza dalla pagine che ci restano di lui, sottraendola ai troppi fulgori degli apologisti e ai spessi veli densi di ombre dei diminutori, egli ha piuttosto seguito l’ammaestramento di Gaetano Negri che sul Giuliano ci ha lasciato una delle opere più insigni che onorino gli studi storici italiani.
Attraverso una indagine logica e non partigiana, la nuova iconografia ci offre, perciò, un protagonista vivo e palpitante che per portare nell’anima, sin dal suo primo apparire, i germi dissolvitori di un dissidio etico ed estetico, ha tutti i segni peculiari dell’eroe tragico per eccellenza. Proteso con la fantasia verso il passato, ben entro il suo secolo per temperamento, pagano nel sogno e galileo inconsapevole nella realtà, inutile restitutore di vita a cose inclite ma morte e negatore di vita a cose nuove e vive, romano per aspirazione e bizantino per consuetudini, innamorato della bellezza e dalla bellezza spesso lontano per deformazioni filosofiche, poeta sempre anche nell’azione, e, in conseguenza, dell’azione non moderatore ma schiavo: ecco il Giuliano che Ugo Falena ha ritratto.
Ma se vivo è l’eroe tragico che ci offre la nuova visione, vive sono la tragedia storica e la tragedia umana nelle quali l’inutile eroe si dibatte. Da un lato, l’ultimo cozzo di due civiltà, l’una in trionfale ascesa. Dall’altro, accanto alle passioni sorelle, l’amore che urla le sue angosce e tende agguati fatali.
Due nomi di donna ricorrono frequenti vicino al nome di Giuliano: Eusebia, Elena. Due nomi e due lacune della storia. E, su quelle lacune, cumuli di dubbi, di ipotesi, di leggende, di accuse, di difese. Naturale che il drammaturgo prendesse la mano allo studioso. Che il poeta liberamente interpretasse i silenzi e colmasse le lacune della storia e che rivendicasse alla fantasia il diritto d’integrare — più vicino al vero di quel che si creda — le figure enigmatiche delle due donne imperiali. Che, cioè, le due incorporee eroine si tramutassero in due figure consistenti — persone eminentemente tragiche — e in stimoli potentissimi di poesia. Poiché se la vicenda passionale s’intreccia attorno ad esse, il dissidio spirituale che macera Giuliano bene in esse trova virtù di simboli. Non è pagana per istinto e per educazione la greca e raffinata Eusebia? Non è cristiana la pia e modesta Elena?
Dinnanzi a uno scenario che s’impernia sopra una figura storica universalmente nota e pur poco conosciuta negli avvenimenti della vita; che ha per sfondo quella Bisanzio costantiniana così fastosamente pittoresca e foscamente tragica; e che si snoda senza frammentarietà di movimenti, unito e serrato, tra le spire di un’azione quanto mai ricca di passione e d’interesse (caso quasi eccezionale nelle visioni storiche), la Bernini Film non ha badato a sacrifici. Essa ha tradotto in forme tangibili la magnifica figurazione, preoccupandosi, anzitutto, del criterio che un’industria artistica ha diritto, oltre che a vivere, ad imporsi, soltanto quando è essenzialmente arte. Ecco perché vicino al nome di Ugo Falena, ha voluto quelli di Luigi Mancinelli e di Duilio Cambellotti.
Luigi Mancinelli, l’insigne sinfonista nostro, che componendo pel Giuliano un poema vocale e strumentale per piccola orchestra (per piccola orchestra: cioè eseguibile in qualsiasi sala di proiezione) non soltanto ha arricchito il patrimonio musicale patrio di nuove pagine ispiratissime, ma ha consentito che l’arte cinematografica, indipendentemente della sua autonomia, ripetesse, e con maggior adesione tecnica tra schermo e orchestra, il nobile esperimento del poema sinfonico illustrato. Duilio Cambellotti, che con l’erudizione e la genialità del suo temperamento d’artista, ha permesso alla finzione di vivere in un’atmosfera di impressionante realtà storica.
La Poesia, la Musica, la Pittura, così, ancora una volta, si sono trovate unite con armonia squisita per il trionfo di un’opera d’arte.
La Bernini Film
Napoli, marzo 1921. Giuliano l’Apostata è una di quelle riproduzioni storiche che si riannodano alle più gloriose tradizioni dell’arte cinematografica italiana. Ricchezza di messa in scena, mirabile affiatamento di esecuzione, dovizia di particolari artistici, ampiezza di respiro nella trama come nella concezione del soggetto, novità di esecuzione, cura minuziosa dei dettagli ed efficacia pittorica nella parte tecnica fanno di questa film un modello artistico che merita di essere tenuto in altissima considerazione dagli studiosi dello sviluppo artistico della cinematografia.
La figura amletiana di Giuliano ci appare poderosamente sagomata nel contorno caratteristico e policromo di quel periodo storico in cui due civiltà si sovrappongono stridendo nel cozzo immane con bagliori di fiamma.
Se si dovesse fare una profonda dissertazione sulla figura filosofica di Giuliano, così come l’ha concepita Ugo Falena, si andrebbe a cozzar Dio sa contro quali paradossi estetici. Ma l’opera dello scrittore moderno vuol essere di poesia e dobbiamo accettarla semplicemente come tale. Evidentemente il poema muto è quanto mai suggestivo e non avrebbe potuto essere trattato con maggiore perizia.
In sostanza l’evocazione estetico-storica di Ugo Falena mostra le sue origini prettamente artistiche e riesce ad incatenare l’interesse del pubblico, anche quello di più modeste cognizioni, dalla prima all’ultima scena.
Il dissidio spirituale e sentimentale di Elena ed Eusebia dà, magari a scapito del significato storico, il tono drammatico alla vicenda. L’amore ingenera come sempre le più ardenti dispute passionali ed appassiona gli spettatori sino all’epilogo drammaticissimo. Tutto ciò, pur non alterando la linea sobriamente artistica del dramma, lo arricchisce di quell’interesse teatrale che è il segreto del successo per simili composizioni.
Duilio Cambellotti nei suoi figurini e nei suoi disegni si è mostrato artista impareggiabile. Non crediamo di scoprire all’ultim’ora questo esteta di buona fama: accettiamo semplicemente questa sua nuova fatica e l’apprezziamo sinceramente. Molto c’è di fantasia nelle sue figurazioni, ma sfidiamo il più dotto dei ricostruttori tedeschi a non dover ricorrere alla fantasia trattando un’epoca che ha lasciato delle traccie così confuse ed incerte. Ricordiamo infatti che Giuliano l’Apostata ha vissuto in un periodo turbinoso, rivoluzionario e, dal punto di vista delle arti, sufficientemente confusionario.
Il Graziosi nella parte di Giuliano si mostra attore efficace, sobrio e di buon temperamento. La Leonidoff nella parte di Eusebia ha trovato una simpaticissima linea estetica e vi si mantiene dal principio alla fine. La Malinverni è un’Elena fine, elegante, corretta, affascinante nel suo ruolo graziosissimo. Il Mascalchi, Marion May e Rina Calabria sono tutti a posto.
Le masse sono addestrate con notevole perizia e seguono il capriccio dell’inscenatore con prontezza. L’esecuzione tecnica è ottima.
(La Cine-Fono)