Ma l’amor mio non muore… – Film Artistica Gloria 1913

ma l'amor mio non muore
Scena madre… Lyda Borelli e Mario Bonnard

Film restaurato nel 1993: « È storia nota che il marito di Lyda Borelli, il conte Cini, cercò con ogni mezzo di distruggere tutte le copie dei film interpretati dalla moglie. Per fortuna molte copie sono presenti negli archivi delle cineteche. La Cineteca Italiana di Milano conserva alcuni film della Borelli ma, cosa più importante, è riuscita anche a salvare i negativi. La copia del film che la Cineteca Italiana presenta alle Giornate del cinema muto di Pordenone è stata appositamente stampata dal negativo originale su nitrato. Le didascalie, non più rintracciate sul negativo, sono state ricostruite nello spirito dell’epoca e nel limite indispensabile alla comprensione della trama, in base ai giornali dell’epoca. Il negativo è stato restaurato con un paziente e lungo lavoro di laboratorio e la copia stampata con una colorazione seppia per ricreare l’atmosfera del cinema dell’epoca.»
(Comunicato stampa della Cineteca Italiana di Milano, Giornate del Cinema Muto di Pordenone 1993)

La storia del film, secondo una locandina-programma del 1914:

« Moise Sthar, tipo d’avventuriero elegante, stretto da bisogni di una vita dispendiosa, ha accettato il losco incarico ai sottrarre i piani di fortificazioni dello Stato Maggiore del Granducato di Wallenstein. La difficile impresa, che già dava segni di cattiva riuscita, è facilitata dalla relazione che egli stringe col colonnello Julius Holbein, capo appunto dello Stato Maggiore, padre della bellissima ed elegante Elsa, alla quale Sthar dimostra vivissima simpatia che l’ingenua fanciulla cerca di corrispondere. Dopo una cena familiare in casa del colonnello, durante la quale l’ignobile Sthar sussurra all’orecchio di Elsa dolci parole d’amore, riesce a sottrarre i documenti agognati e, proietto dalla notte, fuggire per sempre.
Alla scoperta della triste realtà il Colonnello è invaso da un’agitazione folle ed Elsa da un terribile sospetto che, per quanto voglia scacciarlo, lo riafferra…. Corre all’hotel e appresa l’improvvisa partenza di Sthar nel cuor della notte, la sua supposizione diventa certezza.

Il colonnello Holbein, a cui erano stati affidati i preziosi documenti, è in sospetto dì alto tradimento, e, colpito in ciò che vi è di più sacro per un ufficiale, coll’animo terrorizzato, non trova più forza a difendersi e, vinto dalla spettrale visione di un avvenire ignominioso, si uccide. Alla povera ed ingenua Elsa viene intimato dal Granduca di Wallestein di allontanarsi dal ducato e, in una stazione di confine, la bella fanciulla è abbandonata da due gendarmi al suo cammino di dolore che ella singhiozzando, incerta, disorientata come una rondine sbattuta dalla burrasca. D’animo forte, mette a partito le sue rare qualità di pianista ed eccellente cantante e, sotto il falso nome di Diana Cadouleur, suscita in numerosi concerti grande entusiasmo e universale ammirazione, tanto che l’impresario Schaudard le offre una rimunerativa stagione in un teatro di riviera, ove accoglie seralmente frenetici applausi da un’elegante folla di ammiratori che la coprono di fiori e preziosi ricordi. Ma la memoria del padre suo le si affaccia sovente; il ricordo del giorno in cui ella lo vide livido e sanguinante le rapiscono la gioia dei suoi trionfi, ed una sera, mentre sta desinando sull’elegante terrazzo dell’hotel fra una turba di allegri ammiratori, artisti e giornalisti, la malinconica donna è stranamente colpita da un giovane triste come lei, solitario, pallido, dal volto aristocratico, che, nella penombra verso il mare, la guarda languidamente con un senso dì compatimento per quella tavolata banalmente gaia. Il giovane pallido è il principe Massimiliano, figlio del Granduca Wallenstein, che, convalescente dì grave malattia, soggiorna in clima marino. Viaggia in incognito sotto falso nome. Sorpreso dalla divina bellezza e dal fascino di Diana Cadouleur, lo dimostra colla sua assiduità agli spettacoli serali. In un radioso mattino il principe le si avvicina col cuor palpitante, le sussurra timidamente qualche parola d’amore e un senso di misteriosa simpatia invade le due anime…. così, di fronte l’uno all’altra, fissandosi negli occhi, assaporano con estrema dolcezza il momento sublime, suggellandolo con un ardente bacio. In breve l’amore divampa gigante e la giovane, accecata dall’affetto di quell’uomo così simile a lei per sentimenti, stanca del mondo frivolo che la circondo decide di seguirlo in viaggio. A bordo di un battello, mentre in rapimento estatico stanno in dolce contemplazione della splendida natura, per fatale combinazione, a rompere l’incanto divino, appare l’ignobile Sthar. Sbigottita, Elsa sta per cadere innanzi a lui come ad una apparizione infernale, mentre il principe si scosta per chiedere soccorso. Sthar allora le sì avvicina, supplica perdono lacrimante e le chiede amore. Con ribrezzo è respinto, e in quella giunge Massimiliano. Furibondo Sthar giura vendetta e annunzia in patria che il principe ereditario di Wallenstein se la passa tra galanti avventure, mentre il Ducato è seriamente scosso dai partiti estremi. Il Granduca, trascorsi alcuni giorni, affida al colonnello Theubner la delicata missione di ricondurre il figlio in patria…

E mentre presso una vetrate del Grand Hotel il giovane principe sta accompagnando al pianoforte una nostalgica romanza cantata da Elsa, entra Theubner col messaggio. Presago dei fatti, nervosamente il principe dissuggella il plico, e la busta caduta a terra è una terribile rivelazione per Elsa. Il principe ereditario di Wallenstein! Il cuore le si spezza in petto, lo schianto dell’animo la sopraffà. Si accascia sopra una poltrona e cogli occhi vitrei, fissi nel vuoto, si sente morire; comprende che non potrà più dissimulare il suo vero nome, la sua triste storia, il suo esilio, la sorte del padre, poiché dal colonnello Theubner, un tempo amico di suo padre, saprà il principe tutta la verità, la tristissima verità. Nel delirio del momento, come pazza fugge e dopo alcuni giorni di folle peregrinazione si ripresenta al teatro da lei abbandonato… Massimiliano ha avuto da Theubner la rivelazione di tutto, la storia dei tristissimi avvenimenti che hanno spinto la giovane donna sulla via del teatro. Indifferente ai fatti, sente che senza di lei non può vivere… senza l’affetto di quella donna affascinante, non gli resterebbe che morire. Nella vertigine della passione la raggiunge, e l’adorata creatura che gli diede momenti sublimi di dolce incanto è ritrovata ! Pallido, tremante, cogli occhi fissi su lei, dal palchetto la contempla estatico e sente che quella dolcissima anima dovrà essere sua per sempre! Elsa l’ha visto, fissa gli occhi su di lui.. Ad un tratto impallidisce, vacilla, fa per sorreggersi, stramazza.

Il sipario è tosto calato. Il principe si precipita come pazzo e mentre la sente languire e diventar fredda tra le sue braccia, afferra dalla morente queste fioche parole; « Ma l’amor mio non muore ». La povera Elsa, colpita così improvvisamente mentre si sentiva prossima alla felicità, dopo tanti affanni e dolori, nel terribile momento di sconforto, chiese al veleno la pace all’animo suo travagliato e volle morire per lui su quelle scene che tanti applausi le avevano procacciato!

Durante la scena della chiesa verrà cantata l’Avemaria di Gounod dalla sig.na Dina Dini
Esecuzione a grande orchestra con musica espressamente scritta.»

Recensione d’epoca con molto brio: « Dice la gente, con impeto di ammirazione: quanto è bella Lyda Borelli! Ma sa bene, la gente, come sia bella la giovane artista piena di talento, come è radiante di beltà? Di quante maniere sia bella, Lyda Borelli, sa la gente? Giacché nulla è più singolarmente mutevole che il volto di questa creatura di eccezione: Lyda Borelli; giacché mai essere umano, mai essere femminile, seppe tramutarsi così profondamente nelle linee, nelle espressioni, tanto che il viso della giovinetta ridanciana, quello della fanciulla pensosa, quello della donna mesta, quello della donna tragicamente dolente, tutti questi visi, e tanto altri, sono in lei, sono sempre in lei, ed è sempre un’altra donna! E mai questo dono portentoso di trasformazione è stato più palpitante che in questa film incomparable, il cui titolo giustamente sedurrà tutti i cuori sentimentali: Ma l’amor mio non muore, di cui Lyda Borelli è la protagonista, è l’eroina, è tutto! Mai come in questa film, così tenera e così drammatica, così sontuosa e così elegante, la Borelli ha raggiunto tanta verità di fisionomie, tutte diverse, tutte belle, tutte diversamente belle; e chi da domani, al Salone Margherita, andrà e ritornerà, ritornerà certo ad assistere a questo commovente dramma di amore, di ebbrezza e di dolore; sentirà che le mie parole restano sotto la vibrante verità che si svolgerà innanzi ai suoi occhi sorpresi.»
Matilde Serao (Il Giorno, riprodotto in La Vita Cinematografica, 7 gennaio 1914)

Ma l’amor mio non muore…, lavoro drammatico degli autori E. Bonetti e G. Monleone. Produzione Film Artistica Gloria, Torino.
Messa in scena di Mario Caserini, operatore Angelo Scalenghe.
Attori principali: Lyda Borelli (Elsa); Dante Cappelli (Gran Duca di Wallenstein); Maria Gasperini Caserini (Granduchessa di Wallenstein); Mario Bonnard (Principe Massimo loro figlio); Vittorio Rossi Pianelli (Colonnello Julius Holbein, padre di Elsa); Antonio Monti (un Generale); Emilio Petacci (Colonnello Theubner); Paolo Rosmini (Moise Sthar); Camillo De Riso (Schaudard, impresario teatrale).

Satana – I Peccati dell’Umanità – Ambrosio 1912 (4)

La lotta delle classi
(SATANA NELLA VITA MODERNA)

Il genio del male, nella vita moderna, accende e soffia nelle fiamme della passione che più arrossò gli orizzonti delle nostre grandi e terribili città industriali: l’odio di classe. La mania insaziabile di piaceri, di lusso di denaro da una parte, l’invidia, la gelosia, lo smoderato impeto di rivendicazioni dall’altra, spingono capitale e lavoro, ricchi e proletari a urtarsi come due mari muggenti, sotto un ciclo solcato da lampi e nereggiante di tempesta.

Ecco la storia :

In una grande metropoli del mondo vivono due anime innocenti e buone: Furio e Maria. Egli è meccanico, operaio in una delle immense officine del possente re dell’acciaio, essa è fioraia in un negozio elegantissimo. Una sera Maria è obbligata contro sua voglia, a portare una corbeille di splendide orchidee al Music Hall, dove, nella notte, il re dell’acciaio darà una splendida festa. Furio 1’accompagna, ma un cameriere vieta 1’entrata del Music Hall riservato ai milionari, a quel meschino abito di cotone, sudicio di fumo e di olio. Furio dolente aspetta la sua piccola amica fuori della porta dell’elegante ritrovo.

satana i peccati dell'umanità
Satana – I Peccati dell’Umanità, Ambrosio 1912 (4)

Or ecco, mentre la piccola fioraia, compiuto il suo mandato sta per andarsene, irrompe nella sala il re dell’acciaio, colla sua corte di ricchi annoiati, di cocottes, di parassiti… E’ una corsa, una ridda, un delirio… La piccola e tremante fioraia è travolta da quel torrente… La sua corbeille le è strappata di mano i suoi fiori volano in aria, fra le grida e gli strilli di quei signori che vogliono divertirsi. Ma quando il re dell’acciaio si volge verso la piccola fioraia per ordinare che sia gratificata di una mancia, l’innocente e fresca bellezza di lei lo colpisce. Egli è preso da un subito desiderio di quel fiore non ancora sbocciato e, come Maria, smarrita e spaventata si divincola e fugge, egli la insegue fino alla porta, dove Furio veglia e aspetta.

Il povero operaio e 1’onnipossente suo padrone si trovano di fronte, pronti a combattere per la donna, uomo contro uomo. Un lampo d’odio si sprigiona dai loro occhi. Accorrono gli amici, accorrono i camerieri, che scacciano Furio a pedate, accorrono le donne che trascinano nuovamente nelle sale il re dell’acciaio. Ma nel cuore di Furio s’ è accesa una fiamma di odio chiuso e divorante, nel petto del sovrano è rimasta, come un solco di desiderio e di profumo, la memoria della piccola fioraia, invano insidiata.

Questo pensiero lo insegne nell’orgia, lo martella mentre egli si addormenta nel Music Hall, infiamma i suoi sogni di ubriaco. I servi rispettano il sonno del sovrano, si ritirano spegnendo la luce.

Satana - I Peccati dell'Umanità, Ambrosio 1912 (4)
Satana – I Peccati dell’Umanità, Ambrosio 1912 (4)

Ed ecco nell’ombra fitta levarsi dal suolo una lunga fiamma ed in essa comparire Satana, simbolo delle passioni che agitano il cuore dell’uomo e lo trascinano alla perdizione. Satana fa un salto ed appare vestito alla civile come un elegantissimo giovane della società moderna. Egli mesce in una coppa uno champagne infernale e lo offre al re dell’acciaio, che destandosi, è ben meravigliato di vedersi dinanzi il giovine sconosciuto. Ma questi lo ammalia col suo sorriso fascinatore. Lo accompagna a casa, ascolta le pene della sua passione d’ amore, il cui tormento cresce a dismisura, rendendo ormai intollerabile la vita a quell’ uomo, alla felicità del quale non manca che una cosa sola:essere amato ! Satana si offre con estrema cortesia, di rintracciare la piccola fioraia. Infatti, il giorno seguente, egli, colla scusa di farsi portare dei fiori, fa salire nella sua vettura Maria.

Furio, vede la sua amante per caso, a fianco di quel giovane sconosciuto, e freme d’un primo impeto di gelosia. Satana gioisce con ineffabile sogghigno. Le file delle sue reti incominciano a tendersi. Satana mette in opera le sue arti. Conduce Maria presso una bellissima cortigiana che, istruita prima da Satana, incomincia una sottile opera di seduzione sull’ingenua, lodandone la bellezza, offrendole delle splendide vesti di seta, dei cappelli piumati, dei gioielli rilucenti. La vanità corrompe il cuore di Maria. Essa è ormai così infatuata della sua bellezza, ha la testa così esaltata dalle lodi e dall’improvvisa fortuna, che Satana può facilmente condurla dal re dell’acciaio. Coll’offerta d’uno splendido monile, questi se la rende amica. Satana glie la spinge lentamente nelle braccia, e si ritira in buon punto, serrando la porta con un magnifico sogghigno di trionfo.

E’ trascorso un mese. Il re dell’acciaio ha trovato una felicità non mai sognata nell’amore della bella fioraia. Egli non è più 1’uomo dalla fibra erculea , il duro combattente per la potenza e per la sterminata ricchezza. Nell’oblio del piacere e nel1′ amore egli dimentica e abbandona gli affari. Ma se ne ricorda bene Satana, che nominato dal sovrano gerente e plenipotenziario per il suo signore, conduce le cose in modo da ribellargli contro gli operai con le inique sue vessazioni e da far proclamare loro uno sciopero generale, che sta per degenerare in rivolta. Gli operai credono che i loro mali discendano dal loro formidabile padrone. Essi non conoscono il burattinaio che muove i fili del dramma.

Conoscono invece Satana come amico, poiché questi si presenta loro come tribuno e difensore dei diritti del povero e con discorsi infiammati li eccita sempre più verso il padrone.
Finché un giorno, mentre il re dell’acciaio passa in vettura a fianco di Maria, Satana arma la mano di Furio e gli sibila nello orecchio: « Eccolo là il nemico che ruba le vostre donne e vi fa morire di fame e di vergogna! » oppresso dalla terribile ossessione rossa, Furio spara e uccide. Fuggono. Gli operai amici di Furio sbarrano la strada, combattono colla polizia per proteggere l’allontanamento del loro eroe. Satana induce Furio a rinchiudersi in una casa deserta. Gli provvede armi e polvere. La polizia circonda la casa, ma Furio combatte disperatamente e non si arrende. Allora Satana induce Maria a tradire l’antico suo fidanzato, che la privò, per gelosia, delle ricchezze e delle gioie a cui si era così bene abituata.
Sotto apparenza di amore, Maria si riduce presso la casa ov’è chiuso Furio: egli parlamenta con lei dalla finestra, le apre. Ma quando già sta per credere al finto suo amore, una sghignazzata lo avverte della presenza di Satana. Questi, entrato, non si sa da che parte, fa notare a Furio come Maria lo abbia venduto gettando la chiave dalla finestra alla polizia. Cieco d’odio Furio stringe Maria in un abbraccio di morte e getta una fiaccola accesa in un barile di polvere.

La casa è invasa dalla polizia che ha aperto con la chiave lanciata loro dall’ex fioraia. Con orrendo fragore scoppiano le polveri, la casa crolla seppellendo fra le sue rovine, assedianti e assediato, polizia e assassino, Furio e Maria, stretti nell’ ultimo, disperato amplesso.

Sulla gran catastrofe, solo, sereno, ignaro dei dolori umani, il perfido consigliere, l’artefice del male, il genio e lo spirito dell’odio, accende impassibile una sigaretta con un tizzone fumante della casa distrutta e lancia il fumo verso il cielo con una smorfia di beffa e di sfida.

Satana - I Peccati dell'Umanità, Ambrosio 1912 (4)
Satana – I Peccati dell’Umanità, Ambrosio 1912 (4)

Satana – I Peccatti dell’Umanita – Ambrosio 1912 (2,3)

Satana contro il Salvatore
(Dalla Messiade di KLÒPSTOK)

Come al primo atto, per la materia del quale ci siamo inspirati al capolavoro britannico, così in questo secondo che è nella storia del male, la continuazione del primo, abbiamo seguito le traccie luminose d’un capolavoro della letteratura tedesca La Messiade del grande scrittore Klopstok. E, perchè l’opera d’un genio della poesia fosse illustrata degnamente ci siamo, per la messa in scena della Passione di Gesù fatti forti dello studio di tutte le grandi composizioni pittoriche delle maggiori scuole d’Italia e di Europa, riuscendo, coll’aiuto di quei maestri a comporre quadri d’una emotività e d’una leggiadria sorprendente e affascinante. Le nuove conquiste della tecnica cinematografica, che cammina a passi di gigante, e l’esempio di quelli che ci precedettero, ci permise di mettere in scena la vita del Salvatore, in un modo affatto nuovo, arrivando ad un’espressione e ad un effetto non ancora raggiunto finora, e veramente meraviglioso.

Ecco pertanto l’argomento del secondo E’un mattino radioso e sereno. Per le vie di Gerusalemme, il Salvatore si avanza tra il popolo festante che agita le palme e i rami d’olivo. Satana, nascosto nell’ombra d’un gran pilastro, vede la turba avanzarsi, vede il Salvatore predicare il regno della pace e della giustizia, intende le parole di concordia e d’amore, e freme in cuor suo di rabbia, di sgomento e d’invidia. Presa una subita risoluzione si trasmuta in un Fariseo, ed imitando il fare umile e dolce dei falsi zelatori della fede, si avanza verso Gesù e lo segue, fra le turbe. Ed ecco che essi arrivano alle fresche e ombrose rive del Giordano, dove Satana assiste al battesimo del Salvatore. E ardendo di gelosia raduna a sé alcuni Farisei, degni di essergli compagni, disputa con loro, li anima contro Gesù. Tramano una congiura per insidiarlo, per scoprire se veramente quell’uomo sia il Messia. E trovato un paralitico sul loro cammino, lo fanno portare a Gesù che erasi ritirato nella pittoresca dimora di Marta e di Maria. Satana chiama fuori il Salvatore e con un sorriso umile e capzioso gli dice: « Se veramente sei figlio di Dio, risana questo paralitico! » Gesù si abbassa, prende dolcemente per mano l’infermo e gli dice: « Alzati e cammina! » E quegli si alza e cammina. Invece di ammirare il miracolo, i Farisei fremono in cuor loro d’invidia e di sdegno. Satana, allora, trattili in disparte, si offre di perdere il Salvatore.

E prima trovato Gesù tra gli apostoli, nell’orto degli ulivi, lo prega di appartarsi un momento con lui, e quando si sono allontanati di un tratto e si trovano soli, in una valle di rocce nude, il tentatore si rivela nel suo essere e insidia Gesù.

Ecco, ad un gesto della sua mano, appariscono splendide ed ammaliatrici visioni. Satana offre al Salvatore il piacere, la ricchezza, la potenza. Tre quadri: la mollezza e il lusso orientale; i tesori di un satrapo assiro; il trionfo di un Cesare Romano. Ma Gesù rifiuta e scaccia Satana, che sotto l’irresistibile impero di quella bianca mano tesa, indietreggia, e disperato si precipita giù dal monte. Ma anelando ad una rivincita, va in cerca di Giuda e vedendolo che conta denari ne inferisce che egli sia avaro, e con lusinghe lo attira nella casa del principe dei Sacerdoti, dove per trenta denari Giuda vende il suo maestro. Il principe dei Sacerdoti concede loro soldati con lande e fiaccole accese e guidati da Giuda essi pervengono all’orto degli ulivi, dove Gesù è arrestato e trascinato via dalle turbe, Giuda rimane solo e già si rallegra delle male acquistate monete, quando Satana gli si para dinnanzi in tutta la sua orrenda figura e sghignazzando gli rivela il tranello in cui è caduto. Egli vuoi perdere il Salvatore; ma vuole pure perdere Giuda.
« Guarda, egli dice allo scellerato, che hai fatto del tuo maestro! »

E sotto gli occhi spaventati Giuda sfila tutta la passione Cristo.

Satana - I Peccatti dell'Umanita, Ambrosio 1913 (2,3)
Satana - I Peccatti dell'Umanita, Ambrosio 1913 (2,3)

Mirabile capolavoro in molti quadri che noi crediamo superfluo riassumere.

Quando dinnanzi agli occhi di Giuda si leva, nel ciclo tragico, la croce su cui è spirato il suo Maestro, egli sente tutto l’orrore del suo misfatto. Satana lo insulta, fomenta in lui le fiamme della disperazione e lo abbandona sghignazzando al suo orrendo destino.

Ma un sospetto tormenta Satana. Gesù aveva profetato la sua risurrezione. Risorgerà? Satana accorre a Pilafo, fa apporre delle sentinelle alla pietra ov’è sepolto Gesù. Ma quando egli passa a vedere se esse vigilano, le trova addormentate. Invano schiumando di rabbia le scuote. Il loro sonno è invincibile. La pietra del sepolcro oscilla lentamente. Disperato Satana si slancia per trattenerla, vi si oppone col corpo. Invano. Una forza misteriosa la muove. Satana è schiacciato sotto le pietra, e mentr’egli digrigna e annaspa la terra, Gesù, bianco e trionfante esce dal Sepolcro e si leva al cielo.

Il Distruttore
SATANA NEL MEDIOEVO

Nella prima parte del Satana il dramma nostro rappresenta il genio del male come rivolto a combattere contro il bene e contro la giustizia, e rappresenta simbolicamente il vasto concetto con la lotta contro Dio del gran ribelle e contro il Salvatore, lotta dalla quale egli esce, nella fase finale, vinto e debellato. Ma in questa seconda parte, noi rappresentiamo Satana vittorioso, poiché egli combatte coll’ uomo, al quale egli calca il piede sul collo, facendolo suo servo, instillandogli i vizi e le passioni che lo trarranno a rovina.

Ed ecco il primo, terribile alleato di Satana, il depravatore delle razze, il fautore delle male passioni, il veleno che abbrutisce l’uomo l’alcool.

Siamo nel medioevo. In un convento rinomato per il bene che vi si compie, nel convento delle buone opere. I monaci studiano i morbi, ricevono ed albergano gli ammalati li curano, gli trattano come fratelli. Vi è nel convento un dottissimo alchimista, chiamato Gerberto, il quale però non è monaco, ma serve i monaci come speziale. Or questo Gerberto è povero e si rode in cuor suo che tutto il suo talento non gli giovi per trarlo dalla povertà. Acceso di superbia, fantastica continuamente di fabbricare un farmaco da guarire ogni male e che lo renda immortale presso la posterità. Ora all’alchimista, non invano pregante il demonio di aiutarlo, si presenta Satana sotto forma di un devoto pellegrino, gli fa confessare, con abili discorsi, le sue pene, e gli si offre compagno nella ricerca d’ un complesso di erbe per fabbricare il famoso liquore. Eccoli nel laboratorio. E’ notte. Il fuoco della fiamma infernale arrossa i volti dei due, intenti all’opera. Le erbe scaldano negli alambicchi, un profumo inebriante si diffonde e sotto gli occhi di Gerberto affascinato, un liquore di color verde vellutato incomincia a scorrere dal filtro.

«Questo liquore, esclama Satana levando in alto il bicchiere, si chiama absinthe e dona la gioia e l’ebrezza della felicità ».

Gerberto fremente, felice, ne gusta e proclama che il nuovo ritrovato è una invenzione divina, Allora Satana accorre, disturba i monaci dalla loro preghiera, narra loro l’invenzione di Gerberto. Incuriositi i frati abbandonano salteri e salmi, accorrono all’officina. Il profumo del nuovo liquore conturba le loro menti, essi bevono con Gerberto e tosto un’ esaltazione gioconda si impossessa di loro.

« Questo nuovo liquore, suggerisce ancora Satana, darà la ricchezza al vostro convento! »

Ed ecco l’ospedale delle buone opere cambiato in officina di distruzione. Cacciati gli ammalati, i monaci si son dati all’industria del liquore e l’oro si ammassa nelle loro casseforti.
Ma Gerberto, l’inventore, non ne ha premio che di gloria. L’avarizia possiede il cuore del monaco economo e Gerberto resta povero, sempre povero. Ma un giorno una bella cortigiana accompagnata da un cavaliere, viene a visitare, per curiosità il laboratorio di Gerberto; questi se ne innamora perdutamente e non le nasconde la sua passione. La cortigiana lo deride e lo ributta per la sua povertà.

« Con me, dice, occorrono gioielli e oro, e non parole ! ».

Satana - I Peccatti dell'Umanita, Ambrosio 1913 (2,3)
Satana - I Peccatti dell'Umanita, Ambrosio 1913 (2,3)

Gerberto avvilito e disperato confida i suoi dolori a Satana che lo consiglia di rubar l’oro all’economo, ruba il tesoro e fugge con Satana.

Al castello della cortigiana è sorpreso dal cavaliere amante, ed egli in un impeto d’ira e di gelosia, lo uccide. E poiché la cortigiana Fiammetta piange la morte del suo amante e protettore, Gerberto la consola indicandole il mucchio di denari che egli le ha portato.

Incomincia allora per Gerberto e la cortigiana una vita di piaceri e di lusso, ma i rimorsi dell’omicidio tormentano l’animo di Gerberto anche in mezzo alle feste. Egli pensa allora che solo il liquore della gioia lo potrà salvare, e circondato da amici cerca la dimenticanza nell’ubriachezza. Ben presto l’alcool fa sentire i suoi terribili effetti: l’abbrutimento trasforma Gerberto in un privo di affetti e di intelligenza. Del suo splendido ingegno più nulla rimane, come ben poco resta della bellezza di Fiammetta. La follia e le passioni più feroci si l’anno strada nei loro cervelli: una sera, in un’ orgia, per gelosia della donna e per male parole, Gerberto e la sua compagnia mettono mano alle spade e ai pugnali. Una mischia feroce ne segue, nella quale Gerberto e molti dei suoi lasciano la vita. Ed ecco, sul gruppo dei caduti, Satana lieto e trionfante, levare la coppa colma del verde liquore, e brindare alla distruzione ed alla rovina del genere umano.