Cartolina programma del film: El recuerdo del otro (titolo in Spagna)
«Lyda (Lyda Borelli), giovane aviatrice, noncurante dell’assidua corte del principe di Sévre (Vittorio Rossi Pianelli) s’innamora di un giovane giornalista, Mario Alberti (Mario Bonnard) e lo invita a casa sua. Pur essendo fidanzato con Cesarina (Letizia Quaranta), Mario accetta l’invito: la fidanzata, colpita da un sospetto, lo segue e, con il cuore affranto, assiste a una scena d’amore con Lyda. Approfittando di una breve assenza della rivale, Cesarina riesce a indurre Mario a lasciare Lyda: rimasta sola, quest’ultima accetta l’amore e le ricchezze del principe di Sévre.
Qualche tempo dopo, a Venezia, Lyda e il principe sono nell’intimo divisi dalla “memoria dall’altro”; e quando in un teatro Lyda rivede Mario, la passione si riaccende ed ella fugge col suo amore a Parigi. I due amanti sono felici. Ma un giorno Mario cade ammalato ed è costretto a letto per mesi: la coppia è presto ridotta alla miseria. Lyda va a cercare aiuto e lo trova solo nella generosità di alcuni apaches, per i quali ha danzato in un taverna. Ma al ritorno a casa, Mario è morto. Disperata e anche lei ammalata, Lyda si spegne nella triste corsia di un ospedale. Il principe di Sévre, venuto a conoscenza della triste notizia, accorre generosamente al suo capezzale. Ma ormai Lyda non ha più bisogno di nulla. Sentendo che tutto è finito, tenta di afferrare nervosamente la fotografia dell’adorato Mario, caduta ai piedi del letto, mentre gli occhi suoi si chiudono nel seno della morte.»
Messa in scena di Alberto Degli Abbati; sceneggiatura da un soggetto della Contessa De Rege; operatore Angelo Scalenghe.
Successo strepitoso, dopo il successo altrettanto strepitoso di Ma l’amor mio non muore, per il trio Borelli-Bonnard-Film Artistica Gloria. Diretto con mano sicura da Alberto Degli Abbati, splendidamente fotografato da Angelo Scalenghe, uno dei grandi operatori del cinema muto italiano, il film gioca molto bene le solite carte del melodramma, abilmente nascoste dietro un’apparente “modernità” di usi e costumi. Le storie d’amore “fino all’ultimo respiro” funzionano sempre, anche ai giorni nostri, provare per credere.
Come per tutti gli altri, le copie di questo film in mano ai “soliti noti”, dormono il sogno eterno dovutamente “mummificate” per non si sa quali posteri nelle collezioni delle cineteche.
Bellissimi esterni a Venezia anno 1913, Lyda Borelli, diventata qualche anno dopo signora Cini.
Gentili signori della Fondazioni Cini di Venezia: voi, che avete organizzato splendide manifestazioni culturali, che ne direste di editare un Dvd di La memoria dell’altro?
Grazie anticipate.
Regista, soggettista, sceneggiatore, produttore, romano di Roma (come lui stesso amava ricordare), dov’era nato il 24 dicembre 1889, dopo aver compiuto gli studi tecnici superiori, e calcato per un breve periodo le scene di prosa, debutta nel cinema nel 1909, intepretando piccoli ruoli nei film diretti da Mario Caserini alla Cines.
Nel 1911, dietro le orme di Caserini, passa a lavorare per l’Ambrosio di Torino, dove interpreta molti lavori, fra i quali, Satana (1912), diretto da Luigi Maggi, un film di grandiose proporzioni e di vastissime linee, il primo tentativo italiano di film «a serie».
Con Satana, Mario Bonnard si rivela come un attore di grande stile, consolidando la sua fama. Quando Mario Caserini lascia l’Ambrosio per fondare la Films Artistica Gloria, lo vuole con sé, per interpretare Ma l’amor mio non muore e La memoria dell’altro, a fianco di Lyda Borelli, che esordiva sullo schermo. Questi film ebbero un grande successo popolare in Italia ed all’estero, e Bonnard diventa il primo “divo” della cinematografia italiana. Il suo ruolo di dandy colto e raffinato ispirerà ad Ettore Petrolini la macchietta di Gastone.
Sorse così nel 1914, la Bonnard Film, prima casa di produzione italiana intestata ad un interprete dello schermo, che produsse una serie di film di genere avventuroso-poliziesco: La bara di vetro, Serpe contro serpe, Titanic (niente a che vedere con la famosa nave), Il Tenente Berth. Ma la Bonnard Film ebbe breve vita: lo scoppio della prima guerra europea e il richiamo sotto le armi di Mario Bonnard costrinsero la giovane casa di produzione a sospendere l’attività.
Licenziato dall’esercito, ritorna brevemente a lavorare per Mario Caserini come interprete accanto a Leda Gys, e firma il primo film come regista nel 1916. Secondo alcune fonti: Catena, interprete Diana Karren (non ancora Karenne) e Umberto Spadaro; secondo altre: Treno di lusso, interpreti Leda Gys e lo stesso Bonnard.
A questo punto, forte di una lunga preparazione, il nostro si cimenta nella messa in scena, senza abbandonare del tutto l’interpretazione. Ritorna a Torino e costituisce, insieme con l’industriale Alfredo Fasola la Electa Film. Tra i primi lavori, L’altro io, ispirato a Lo studente di Praga.
Poi, Mario Bonnard ritorna a Roma, all’Unione Cinematografica Italiana. Sono di questo periodo Le rouge et le noir, Papà Lebonnard, Il Fauno di marmo, Mentre il pubblico ride (quest’ultimo, uno dei pochi film interpretati da Ettore Petrolini).
Dopo una breve interruzione, compose quello che molti ricordano come uno dei più riusciti tentativi di grottesco cinematografico: La Morte ride, piange e poi s’annoia…(1919). Ecco, per esempio, cosa scriveva Alessandro Blasetti nella sua rivista Cinematografo, anno 1927:
«Come attore – viva la faccia della franchezza – Bonnard è stato uno dei migliori fra i primi ma non ci ha mai entusiasmato. Come direttore artistico invece è stato il primo che ci abbia fatto assistere otto volte alla proiezione di un film italiano dopo aver cognito, nella nostra allor ventenne esuberanza goliardica, alcune esercitazioni acrobatiche su una sedia di platea del Corso Cinema a dimostrazione del nostro esplosivo compiacimento. Intendiamo riferirci – lo diciamo per puro dovere giornalistico – ai tempi del primo film “cinemotografico”, del primo film “fantasia-movimento” comparso sugli schermi internazionali: La Morte piange, ride e poi si annoia ideato e messo in scena appunto – oltre che interpretato – dal signor Mario Bonnard, nato in Italia, ivi allora domiciliato ed esercitante di professione. Con quel film Mario Bonnard direttore, allora alle prime armi, superò di mille atmosfere Mario Bonnard attore, allora già veterano e vincitore in molti artistici tornei. Sceneggiatura modernissima: nuovissimi criteri nell’impiego delle luci, taglio magistrale dei quadri, utilizzo intelligente d’ogni risorsa tecnica, trovate originalissime, accuratezza ed eleganza inusitate nella edizione dei titoli, scoperta della vera coreografia cinematografica… Tutto ciò non fu che cornice ai rilievi che la critica – parlata e discussa fra le persone intelligenti (allora meno di oggi esisteva una critica seria sulla grande stampa) – ebbe a fare sul valore artistico del film. Valore artistico del film che fu ben altro; e fu quello cioè di aver respinto in cinematografo e concezioni e sistemi teatrali per iniziare, sia pur con tutti i tentennamenti e le incertezze che inevitabilmente accompagnano ogni primo passo, la vera via della concezione e dei sistemi realizzativi cinematografici. La Morte piange, ride e poi si annoia infatti ci viene ricordata con frequenza anche oggi con gentilissimo e cavalleresco pensiero da molti fra i più quotati direttori artistici d’oltre oceano sia nei criteri di taglio, passaggi e successioni di quadri; sia nella originalità di alcune sue situazioni e trovate, sia sopratutto, nelle grandi linee di concezione-base e di espressione-base».
Dopo questo film, Bonnard diresse ancora per l’U.C.I. la messa in scena de I promessi sposi (che vinse una medaglia d’Oro al concorso internazionale di Torino), La gerla di papa Martin e Il tacchino. La crisi del cinema italiano lo porta a lavorare negli studi di Parigi e Berlino.
Nei primi anni del sonoro dirige alcuni film in doppia versione franco-italiana, e nel 1935 ritorna definitivamente in Italia.
Dal ritorno in Italia al 1962, lavora praticamente senza interruzioni. Muore a Roma il 22 marzo 1965.
Nel prossimo “capitolo”, avventure-sventure di Mario Bonnard e ricordi (fra gli altri) del suo “pupillo” Sergio Leone, di Alberto Sordi…
«La principessa Maria de Jutland (Elena Sangro) ha sposato “per ragioni politiche” il duca Helgoland (Ugo Bazzini), molto più vecchio de lei. La sua vita è noiosa, finché non arriva come ospite il conte Giorgio (Carlo Gualandri), figlio di un compagno d’armi del duca. In realtà il conte ha l’incarico di scoprire il complotto sovversivo di cui Helgoland è a capo, e procedere all’arresto del duca. Giorgio corteggia Maria, cercando la sua complicità per arrestare il marito. Maria avverte invece del pericolo al duca. Nella colluttazione tra Giorgio ed Hergoland, quest’ultimo resta accidentalmente ucciso dal coltello che Maria gli ha messo in mano. L’arrivo dei villici infuriati costringe Giorgio e Maria alla fuga.
Qualche tempo dopo Maria, divenuta Miriam, si trova a Roma con tre amici: Hilda (Elsa d’Auro), il suo fidanzato Kenyon (Fernando Ribacchi), e Donatello di Montebeni (Giorgio Fini), che fa la corte a lei. Miriam è perseguitata da Giorgio, che si è fatto frate e l’ossessiona. Un giorno, dopo una visita ai resti del Foro Romano, Miriam istiga Donatello a uccidere Giorgio facendolo cadere dalla rupe Tarpea. Non vista, Hilda ha assistito al fatto. In preda al rimorso, Donatello decide di rompere con Miriam e si ritira nel proprio castello, dove un giorno va a trovarlo Kenyon. E’ attraverso l’amico che Miriam, intenzionata a chiedere perdono a Donatello, ottiene di incontrarlo a Viterbo. Rimasta sola a Roma, Hilda intanto è convinta da un frate inglese, a cui si è confessata, a ritirarsi in convento. Questa volta, sarà Miriam ad aiutare Kenyon a ritrovare Hilda, e a indurla a sposarlo. Dopo le nozze, gli amici si salutano: Donatello, ormai deciso a scontare la sua colpa, va a espiare in carcere; mentre Miriam, “la dolente”, riprende il viaggio nel deserto della sua vita».
Messa in scena, sceneggiatura di Mario Bonnard; soggetto dal romanzo di Nathaniel Hawthorne (The Marble Faun, 1860); fotografia di Alessandro Bona. Produzione Celio Film- Roma 1919.
Insomma, che dire… non me lo ricordo molto bene questo film che ho visto tanti, tanti anni fa (ritrovato, non so se restaurato, direi preservato). Proprio per questo, vorrei rivederlo.
Secondo la Rivista Cinematografica del 25 settembre 1920, ebbe molto successo all’epoca: “Tratto dal popolare romanzo di Nathaniel Hawthorne ed edito dalla Celio Film, è stato accolto dal nostro pubblico con vero entusiasmo sia per il soggetto originale e romanzesco in modo veramente affascinante, che per l’elegantissima messa in scena è l’ottima interpretazione affidata ad ottimi artisti, fra i quali due graziose Elena Sangro ed Elsa D’Auro, che hanno reso molto bene i due strani tipi di donna di Miriam ed Hilda”.
L’attore Carlo Gualandri, che interpreta il conte Giorgio, diventato frate dopo l’uccisione di Hergoland, ha un sito internet tutto per lui. Uno dei primi siti internet dedicati ad un interprete del cinema muto italiano. Guardate qui.