Greta Garbo nel giudizio di cinque registi

Greta Garbo (foto Clarence Sinclair Bull)
Greta Garbo (foto Clarence Sinclair Bull)

I cinque direttori della Metro Goldwyn Mayer che hanno diretto a Culver City i lavori di Greta Garbo, sono concordi nel rilevare che il tratto caratteristico della sua arte consiste nella semplicità e nell’abilità straordinaria di esternare le emozioni, rendendo simpatico il personaggio, che in qualsiasi altra incarnazione riuscirebbe addirittura antipatico.

Edmund Goulding, che diresse Anna Karenine, pregato di esprimere la sua opinione sull’artista scandinava disse: “Greta Garbo è, certamente, la più sincera fra le attrici cinematografiche, non v’è nulla di meccanico nella sua arte. Prima di prodursi in una scena deve essere profondamente convinta del verismo delle situazioni. Dritta nel pensare e nel parlare, ha immediata e netta l’intuizione di quello che può piacerle. È categorica nei suoi gusti, non conosce mezzi termini. Un direttore artistico trova un potente alleato non tanto nella sua bellezza, quanto nella sua semplicità meravigliosa”.

Victor Sjöström, che diresse La donna divina, rileva le grandi doti artistiche dell’attrice svedese. “Miss Garbo dispone di mezzi di espressione che rendono perfettamente i momenti psicologici, riuscendo a convincere il pubblico che essa sente veramente le emozioni del suo personaggio. Greta Garbo possiede il rarissimo dono di esprimere pensieri con lo sguardo. Due attori cinematografici riescono a servirsi con tanta efficacia di questo mezzo di espressione: Lon Chaney e Greta Garbo. Miss Garbo si prepara molto profondamente per ogni sua interpretazione: legge i romanzi dai quali il soggetto è stato tratto, studia il carattere del suo personaggio, rendendosi capace di una incarnazione perfetta. È sensibile alle emozioni come la pellicola alla luce.”

Secondo Clarence Brown, che diresse La carne ed il diavolo, Greta Garbo è l’attrice che piace ugualmente sia alle donne che agli uomini. La sua personalità artistica, avvincendo il pubblico, rende possibile il finale tragico. Essa ottiene pieno successo anche in queste scene, impossibili per altre.

Fred Niblo, direttore de La donna misteriosa in Greta Garbo ammira sopratutto la maturità della mente e la profonda conoscenza della natura umana. “La profondità d’osservazione è sorprendente per una ragazza ventunenne ”.

Monta Bell, che diresse il primo film americano di Greta Garbo, Il torrente, la chiama « enigma umano ». L’attrice trova nella sua ricca personalità inestinguibili risorse per tener accesa la curiosità del pubblico; mai però si rivela completamente. A volte pare semplice come una bambina, a volte sorprende per il complesso della maturità spirituale; è capace di destare negli uomini un senso di protezione e nello stesso tempo di romanticismo, prove essenziali di femminilità.

Parole di lode e di riconoscimento per la sua arte ebbe pure John Robertson, che diresse l’ultimo lavoro di Miss Garbo The single standard.

(cinematografo, 8 settembre 1929)

Cesare Gravina

Cesare Gravina e Dolores del Rio (La sete dell'oro)
Cesare Gravina e Dolores del Rio (La sete dell’oro, 1929)

Napoli, luglio 1929. Cesare Gravina, con la sua gentile signora, anche lei artista di prima linea, si concede un periodo di vacanze.

In quindici anni è stato otto o nove volte in America. Nell’America del Sud e in quella del Nord.

Dopo un così lungo periodo di un lavoro indiavolato, un po’ di riposo al Parco Mancolini al Vomero è il meno che un artista — anche dalla fibra eccezionalmente forte com’è Cesare Gravina — è il meno che si possa prendere.

— Ritornerete in America?

— Eh! no! Sono tornato in Italia, e a Napoli, col proposito di non andarmene più. In America, e, preciso, a Hollywood un artista trova tutto ciò che può desiderare. La scarsezza di mezzi è ignota in quella terra meravigliosa per la formidabile attività degli uomini.

Ma quando avete lavorato molti anni, avete avuto del successo (Gravina dice così, ma il successo che egli ha avuto è stato continuo, grande e, ciò che non guasta, produttivo risorge dal fondo dell’anima il ricordo della patria lontana…

— Sapete — dice Gravina animandosi — che da lontano la patria si ama potentemente, e, ad un certo punto, ha una voce per chiamarvi a sé, alla quale non si resiste?

Perché avrei dovuto resisterle, io? Non avrei avuto neppure la scusante che c’è per molti che in patria non hanno avuto fortuna.

Io modestamente la fortuna in arte l’ho avuta nel mio paese e fuori.

C’è soltanto una strana singolarità.

In Italia sono stato un artista comico.

La benevolenza del pubblico italiano l’ho avuta in cambio dalle ore di buon umore che ho dato al pubblico.

In America, nell’arte muta, sono stato — hanno voluto che non fossi altro — un artista drammatico fino al tragico.

Guardate queste fotografie…

(Erano un monte di fotografie diverse, di stampe):

… Sono poche, io non conservo nulla. Poi non mi occupavo della réclame. Se ne incaricavano le case per le quali lavoravo.

(Le fotografie di Gravina, che sono dei fotogrammi ingranditi, sono sorprendenti. Pochi artisti hanno il dono di trasformarsi, senza trucco, come il Gravina muta di espressione, sempre raggiungendo degli straordinari toni di efficacia drammatica)

— Con chi avete lavorato?

— Mi dovreste domandare con chi non abbia lavorato. Sono stato con la First National con la Paramount, con la Universal, con la « Goldwyn, con la Metro Goldwyn Mayer, con la Metro, con la Fox, con la Boustroheim Production, con Jackie Coogan e con molte compagnie indipendenti.

Ho recitato con le stelle, with all the stars:

Mary Pickford, Mary Doro, Margarita Clark, Valentine Grant, Jay Rae, Greta Garbo, Dolores Del Rio, Madge Bellamy, Gloria Swanson.

Ho avuto i grandi direttori Sidney Olcott, Erich Stroheim…

— Larghi mezzi?

— Domandate dei mezzi? In Italia è difficile farsene un’idea. Ed è difficile ad uno che venga di li, come vengo io dopo esservi rimasto anni, e raccontare cose che non siano prese per esagerazioni. Un direttore, quando tutto è al punto per andare avanti, s’accorge che un particolare dello scenario non va — secondo lui — Ordina:

— Togliete via quella roba!

— Adesso rimedieremo!…

— Non si può. Togliete via. Rifate. Sarà per domani: oggi non si lavora.

C’era una folla di comparse ingaggiate.

Quel rimando equivaleva a una decina di migliaia di dollari mandati all’aria.

Pare, forse è realmente un’esagerazione.

Ma in America la spesa è un elemento trascurabile e trascurato sempre innanzi alla volontà decisa di raggiungere la perfezione in tutto.

A Hollywood — lo avrete letto e inteso cento volte — c’è tutto, si costruisce tutto, ci sono compagnie con grandi e piccoli attori di tutte le nazionalità del mondo.

Poi, quando sentite parlare di un aspetto di casa americana non dovete starvi alla sensazione che vi dà la parola descrittiva, dovete sforzarvi a rendervi l’ambiente. Si spende molto? Sì e no. Non si può dire a rigore: si spende molto con l’accento di chi vuol dire che il danaro è buttato via.

Perché quel che si spende, ritorna, e ritorna subito.

Il collocamento della produzione cinematografica per l’87 % si ottiene negli stessi Stati Uniti. Il film che esce dall’Unione Americana per venire in Europa o per andare altrove ha già dato un largo profitto; un profitto che si calcola a molte centinaia di migliaia di dollari.

Ecco spiegato il Direttore americano.

Scritturato a 750 dollari la settimana, m’hanno tenuto inoperoso tre settimane, in attesa che avessi naturalmente la barba con cui dovevo figurare sullo schermo.

Una volta hanno voluto uniformi, lampadari, perfino la carrozza dalla casa imperiale d’Austria. S’è pagato, ma s’è avuto tutto in piena autenticità.

Nessun vero artista dirà mai che ciò costituisca una superfluità o un eccesso.

Dicevo che non m’hanno voluto come artista comico. Ho sbagliato. In Montecarlo ho un rôle comico. Piacque. Ma hanno preferito che sostenessi parti drammatiche. Nell’Uomo che ride sono Ursus. Nella Marcia nuziale, in Greed, nella Poor Little Peppina, Donne folli, Merry go round, tutti roles di forte drammaticità.

— Fumate?

— Sigarette, no, grazie. I miei toscani… se permettete.

— Ecco… l’accendisigari…

— C’è scritto…

— Sì. È un regalo di von Stroheim…

C’è questa dedica, incisa: « To one of the greatest actors – the world has ever had – and incidentally my very best friend Cesare Gravina – sincere admiration.
Dec. 24 – 1925
ERICH VON STROHEIM ».

« Ad uno dei più grandi artisti che il mondo abbia mai avuto ed anche mio ottimo amico, a Cesare Gravina, con profonda ammirazione
Dic. 24 – 1925
ERICH VON STROHEIM ».

— Bello! Una superba dedica. Ma voi, Gravina, non siete uomo da stare in riposo.

— Ma che! Mi sento l’impazienza della ripresa…

Lulù o il vaso di Pandora prima visione italiana 1929

Lulù (Louise Brooks)
Lulù (Louise Brooks)

Milano, settembre 1929. Un giudice, innanzi ai giurati che devono giudicare una giovane donna vestita di nero e velata, la quale non sembra troppo commossa né troppo impressionata per la sorte che l’attende, rievoca il mito di Pandora.

— La donna che sta dinnanzi a voi, è una nuova Pandora. Gli dei, per vendicarsi di noi deboli mortali, hanno accumulato in lei tutte le grazie e tutte le perfidie. Bisogna liberarne l’umanità sopprimendola. Chiedo la pena capitale.

I giurati però, e il pubblico tutto che assisteva al processo, erano spensierati come Epimeteo e Lulù poté scendere dal banco degli accusati e riprendere la vita dopo la grigia pausa che aveva seguito il delitto.

Figlia del popolo, per atavismo ed educazione piena dei più perversi principi, era stata raccolta, ancora giovanissima, dal direttore di un grande giornale, Peter Schoen, il quale fu la sua prima vittima. Avendola sposata, costretto a ciò dal fascino strano e terribile che da essa emanava, la sera stessa del matrimonio era stato trovato ucciso, il cranio fracassato da un colpo di rivoltella.

Lulù, per quanto arrestata sotto l’accusa di omicidio, non era stata la materiale esecutrice del delitto ma ne era certo moralmente la responsabile.

Che fare dopo l’assoluzione?

Il giovane segretario dell’ucciso, anche lui soggiogato dal fascino della novella Pandora osa affrontare il terribile destino e parte con •lei. Dopo qualche tempo la loro vita diventa difficilissima e finiscono per ricorrere a degli espedienti, anche i meno onesti, le risorse per continuare a vivere. Arrivano in tal modo in un club malfamato, che ha la propria sede su di una vecchia nave che non può più affrontare il mare e rimane perciò eternamente ancorata lungo la cala.

Ogni sera numerose persone vi si recano per giocare clandestinamente.

Anche Lulù e il suo amico, Mark Hending, vanno nel club a tentare la fortuna, ma in breve, invece di guadagnare perdono anche il poco che era loro rimasto. Un cattivo consigliere consegna a Mark Hending un mazzetto di carte in precedenza preparato e il giovane vince a ogni colpo. Vince anzi troppo sfacciatamente, tanto che qualcuno degli altri giocatori si insospettisce e può sorprenderlo in flagrante. Il baro riesce a fuggire insieme a Lulù ma deve abbandonare la città e rifugiarsi a Londra. Dopo nuovi giorni di nerissima miseria, quando Lulù sta per abbandonare l’amico per scendere ancora e sempre più in basso, una sera di Natale passa l’Esercito della Salute, con trombe, prediche e doni e i due disgraziati si accodano al corteo incamminandosi verso la via della salute e della redenzione.

A dire il vero Zeus non aveva previsto questa fine edificante e nemmeno Vedekind nel suo dramma: La scatola di Pandora; che •diventando però Lulù e passando dalla scena allo schermo è stato modificato per ragioni di pubblica morale.

La vicenda, in questo riassunto sembra breve, mentre al contrario il suo sviluppo è notevole per i molteplici episodi che vengono svolti nel film e le numerose scene d’ambiente che lo rendono molto interessante.

G. W. Pabst, realizzatore del lavoro, notissimo per una lunga serie di produzioni come questa di genere realista e anche super-realista, ha compiuto opera veramente notevole portando sullo schermo la vicenda di Vedekind.

L’illogicità della fine, non tanto in se stessa ma perché arriva troppo imprevista e improvvisa sorprendendo lo spettatore, non è certo idea sua o gli è stata imposta ed è stata eseguita come una misura di ripiego.

Questo fatto risulta tanto più evidente in quanto che nel film la vicenda, pur essendo condotta con tempo veloce, non trascura mai i particolari che devono collegare fra di loro i vari episodi e prospettarli in successione logica.

Assai piacevoli in questo lavoro, sono alcune scene d’ambiente fra cui, divertentissime, quelle che si svolgono fra le quinte di un music-hall.

La messa in scena, molto varia aderisce sempre al soggetto che inquadra, diventando, da gaia e luminosa nelle prime scene in casa di Peter Schoen o al teatro, triste e cupa quando deve mostrare il club nella stiva della vecchia nave e più ancora la topaia in cui i due disgraziati giovani si sono rifugiati a Londra.

Anche per la messa in scena, gli ultimi quadri, quelli dell’esercito della Salute, sono inferiori a tutto il resto del film e denotano una realizzazione affrettata e eseguita a parte.

In un lavoro come questo, come è facile immaginare, gli interpreti hanno una importanza capitale.

La parte della protagonista, sopratutto, presentava difficoltà grandissime, consistenti nel dover dare alla figura di Lulù un carattere di donna che fa il male quasi al di fuori della propria volontà, perché trascinata da un destino impostole dalla natura, incoscientemente.

Certe situazioni dovevano inoltre essere messe in valore ma in maniera tale da non offendere il buon gusto e la suscettibilità del pubblico.

La scelta dell’artista è stata felicissima.

Luisa Brooks ha saputo comprendere la parte e viverla con un sentimento artistico veramente notevole, dando a Lulù un rilievo tale da renderla la figura dominante in tutto il film. Ha saputo inoltre contenere sempre il suo personaggio nei giusti limiti non scendendo mai a manifestazioni volgari come sarebbe certo capitato a un’artista meno abile di lei.

Fritz Kortner ha interpretato assai bene la non felice parte del giovane segretario.

Anche in questo un tipo di debole più che di malvagio, un cavaliere Des Grieux moderno, un uomo che scende sempre più nella scala del vizio non perchè a ciò lo induca la sua volontà ma perchè attratto, affascinato, dalla potenza che emana dagli occhi della donna fatale. Peter Schoen, il direttore di giornali, la prima vittima di Lulù, ha avuto come interprete un attore di valore, Karl Goetz, il quale ha saputo presentare un personaggio che difficilmente si dimentica. Tutti e due assecondano in modo mirabile la protagonista.

Notevoli sono pure alcune figure di secondo piano fra cui quella assai caratteristica del padre adottivo di Lulù e suo cattivo consigliere. La tecnica e la fotografia sempre ottime.

Concludendo, questo film, se non è uno spettacolo eccezionale è, però, come abbiamo detto, sempre interessante. Specialmente per chi va a vederlo colla disposizione di assistere ad un lavoro pensato e saggiamente costruito anzi che a uno dei tanti fuochi di artificio che ora ci vengono presentati sullo schermo.

Ho cercato dappertutto ma non sono riuscita a risolvere il mistero: Che fine ha fatto il visto di censura del film Die Büchse der Pandora prima visione italiana agosto-settembre 1929?