Dicembre 1929: situazione dell’industria cinematografica italiana

Sole, di Alessandro Blasetti, produzione Augustus 1929
Sole, di Alessandro Blasetti, produzione Augustus 1929

Il problema dell’industria cinematografica italiana è di una gravità che non possiamo nasconderci e la sua risoluzione non è delle più facili. Noi oggi non vogliamo fare un’analisi alle ragione della decadenza di questa industria e sarebbe anche di cattivo gusto precisare le cause che hanno provocato uno stato di cose non troppo lieto.

Vogliamo solo dimostrare come si sono fatti e si stanno facendo sforzi non indifferenti per rimediare alle deficienze del passato.

Cominceremo dall’Augustus, posta in liquidazione in questi ultimi giorni.

La predetta Società, creata con sforzi inauditi da un gruppo di giovani volenterosi, si basava, per la maggior parte del finanziamento, su di una personalità rappresentante nell’anonima un capitale di mezzo milione, e su un coraggioso patrizio romano che non avrebbe mai pensato di abbandonare la battaglia sul più bello.

In seguito ai noti incidenti di cui è stata vittima la Banca Italo Britannica, tutte le aziende del principale finanziatore dell’Augustus passarono al nuovo gruppo, che non volle più sapere nulla di cinematografo soffocando così, improvvisamente, un’azienda appena sorta e che aveva dimostrato col primo lavoro di poter fiorire. Abbandonato dalla maggioranza, il coraggioso patrizio romano ha giustamente pensato che, se sacrifici avesse dovuto fare, questi non dovevano andare a vantaggio di persone tendenti solo alla pura ed immediata speculazione. Ci consta pertanto che questo giovane di fede, pur lasciando andare in liquidazione l’Augustus di cui era il secondo esponente, non si è scoraggiato e sta, insieme ad altri, combattendo la sua battaglia.

La S.A.C.I.A. (Società Anonima Cinematografica Italo-Americana) di Milano sorse con un programma ottimo, programma che fu messo subito in attuazione con il film Ninetta fa la stupida, protagonista Leda Gloria, direttore il noto norvegese Alfred Lind, ex-regisseur della Nordisk.

L’attività della S.A.C.I.A. doveva proseguire con la messa in scena dell’Ettore Fieramosca e di Rotaie diretti da Ambrosio e Camerini; ma il primo fu sospeso in seguito alle variazioni d’indirizzo dell’Ente col quale la S.A.C.I.A. era in compartecipazione, mentre il secondo dovrà essere iniziato fra breve e cioè quando saranno appianate delle divergenze con l’E.N.A.C., divergenze derivanti sempre da una situazione passata.

La Soc. Anon. Pittaluga avrebbe dovuto già da tempo iniziare la lavorazione, ma sia perché gli impianti alla Cines non erano terminati, sia perché gli accordi internazionali non erano ancora completamente conclusi, i due films annunciati saranno messi in lavorazione soltanto verso la fine di gennaio.

Nelle faccende Pittaluga è difficile entrare ed è ancora più difficile comprendere quello che il comm. Stefano manovra ed intende fare. Sappiano solo che fra breve ci sarà l’assemblea generale alla quale dovrà essere presentato il bilancio dell’esercizio 1929.

I recenti dissesti di una grande quantità di noleggiatori ed agenti di film hanno avuto una ripercussione sui programmi dell’A.D.I.A. (Autori Direttori Italiani Associati) la quale può portare il vanto di aver non solo prodotto molti films, ma di averli eseguiti così bene, commercialmente e tecnicamente, da poter ottenerne con successo l’esportazione.

L’A.D.I.A. ha saputo portare ben alta la bandiera italiana.

Resta la Suprema che ultimamente ha prodotto Sperduta di Allah e Miriam e la ancora non visionata Maratona.

La Suprema è sorta sulle rovine dell’I.C.S.A., società basata su un bilancio di spese generali così enorme da escludere a priori fin dagli inizi una sicurezza di continuazione. Un nome eccelle in queste due società, il Principe Giovanelli che può definirsi l’apostolo della nostra cinematografia.

Il principe Giovanelli, forse qualche volta contornato da persone che si sono fatte un dovere di rimpinzare le proprie tasche anziché pensare anche minimamente agli interessi di chi sapeva sacrificare i propri averi con disinteressato entusiasmo, ha profuso per la nostra cinematografia, somme ingentissime e tutt’ora è in procinto di profonderne.

L’Ente Nazionale per la Cinematografia (E.N.A.C.) si trova attualmente in un periodo di assestamento economico e per ora il programma che giustamente si prefiggono di svolgere gli attuali dirigenti è molto semplice: realizzare il più possibile della non troppo vistosa eredità assunta.

Si parla troppo alla leggera di errori. Ma bisogna pensare che nei magazzini di Via Veneto vi sono la bellezza di 40 pellicole fra buone e cattive, rappresentanti un capitale di oltre 6 milioni. Era assolutamente necessario procedere ad una realizzazione immediata. Se errore c’è stato, è esclusivamente quello di aver cominciato troppo tardi. Il programma iniziato nell’Ottobre doveva essere espletato nel Luglio, in modo che l’organizzazione fosse pronta ad affrontare in pieno la situazione invernale. Ma nonostante il tempo ristretto, molto si è fatto e con bastevole ponderatezza. Si sta gridando perché l’Ente ha preso in gestione l’Eliseo, e si grida a torto. In primo luogo, da quello che ci risulta, il comm. Giordani non ha nessuna idea di iniziare qualsiasi gestione di locali ed il caso dell’Eliseo è un affare transitorio, tanto è vero che il contratto di affitto ha una breve durata; in secondo luogo la decisione è stata conseguenza degli umori degli esercenti i quali non avrebbero messo in visione che poche delle 40 pellicole esistenti. E cosa avrebbe dovuto fare l’E.N.A.C. delle altre? Attendere forse un’altro anno facendole impolverare ed invecchiare nelle scatole?

Le quattro società, Augustus (nella persona del marchese Lucifero), S.A.C.I.A., Suprema e A.D.I.A., si sono riunite in consorzio con un programma ottimo sotto tutti i rapporti. L’attuazione di questo programma non è lontano dato che il problema finanziario è stato già risolto all’infuori dei soliti finanziamenti bancari i quali, per una ragione o per l’altra. hanno dimostrato, a prescindere dalla difficoltà di ottenerli, di essere incostanti, facendo precipitare irrimediabilmente opere che darebbero col tempo sicuramente un serio risultato.

On tourne Prix de Beauté

On tourne Prix de Beauté 1929

Paris, Septembre 1929

Surement, ce samedi-là fut l’un des plus beaux jours de ma vie. Jour béni, où, grâce au metteur en scène Genina, il m’a été donné d’être à la fois spectateur d’un concours de beauté, jury de ce même concours et acteur de cinéma…

La Societé Sofar nous avait invités à venir «en tenue estivale» faire le jury et tenir le rôle de figurants bénévoles au concours qui doit être le clou du film Prix de Beauté. Comme ce concours avait lieu au Jardin d’Acclimatation, j’ai d’abord cru qu’on nous demandait de primer les qualités esthétiques des fauves, des otaries ou des chimpanzés. Pas du tout. Renseignements pris, il s’agit simplement d’un concours de beauté féminine. Rassuré, je pénètre dans le cirque en plein air, dont les gradins sont bourrés de monde, et me glisse au tout premier rang. Ainsi, je verrai les concurrentes de très près. Et, à l’heure des prises de vues, peut-être mon complet de flanelle «estival» bénéficiera-t-il d’un premier plan…

Il n’y a pas à dire, c’est magnifique. Sur l’estrade, devant moi, des musiciens déguisés en joueurs de pelote basque jouent des airs américains. Assis devant une table, les organisateurs compulsent gravement leurs notes et envoient des estafettes donner des ordres aux gendarmes espagnols? Parce que nous sommes à Saint-Sébastien, tout simplement. Ainsi en a décidé M. Genina, metteur en scène. Seulement, comme il a oublié de prévenir le soleil, celui-ci, se croyant toujours à Paris, s’obstine à se cacher derrière les nuages et se fait remplacer auprès de nous par un petit vent frisquet.

Ce qui manque le moins, ce sont les appareils de prise de vues. Il y en a dans tous les coins, braqués sur l’estrade, sur le public, sur moi, sur mes voisins. Derrière moi, il y a un jeune acteur outrageusement maquillé, qu’un turban blanc déguise en maharadjah.

les appareils de prise de vues on tourne Prix de Beauté 1929

Et, devant moi, se trouve un maharadjah authentique, habillé, celui-là, comme vous et moi, ce qui ne l’empêche pas d’avoir une des plus grosses fortunes du monde…

Attention! Sur l’espèce de promontoire surélevé, dressé au milieu de la piste, s’avance le sympathique Saint-Granier. Mégaphone en main, il nous expose nos droits et nos devoirs. Nous aurons le droit de regarder les concurrentes, qui vont défiler devant nous en maillot de bain. Nous aurons le devoir de les applaudir. Les applaudissements seront chronométrés, et la gagnante sera celle qui a été applaudie le plus longtemps. «Applaudie unanimement, précise ironiquement Saint-Granier. Car si la mère d’une des concurrentes, par exemple, applaudissait sa fille pendant trois heures, cela ne serait pas valable!…»

Nous voilà prévenus. A présent, dix jeunes filles surgissent des coulisses du cirque et se présentent à nos yeux éblouis. Dix jolis visages maquillés, dix courtes chevelures sur lesquelles le coiffer a dû s’escrimer pendant des heures; dix paires de jambes nues, soigneusement recouvertes de fond de teint, dix maillots de bain fragiles et bigarres, qui n’ont jamais vu et ne verront jamais la mer. Quelle est la plus belle? Cette blonde en noir, si mince, si racée? Cette jolie brune souriante, si fière de son costume noir et blanc? Ou cette blonde en jaune, qui a assorti ses cheveux à son costume et dont le visage est un pastel savamment enluminé?

Une à une, les concurrentes passent devant nous et envoient des baisers pour exciter notre ardeur à les applaudir. Dans le public, les partis se forment, les commentaires vont leur train. Pourvu que les concurrentes n’apprennent jamais en quels termes elles ont été «épluchées» par certains messieurs de l’assistance.

La lutte est chaude. Après une première éliminatoire, six jeunes femmes restent en compétition. Il y an a cinq que je n’applaudis pas, une seule que j’applaudis. Le reste du temps, je me dispute avec mes voisins. Ma voisine de gauche est pour la brune en noir et blanc. Mon voisin de droite est pour la blonde en jaune. Moi, je suis pour la blonde en noir. Cela ne peut pas aller. Quand je sortirai d’ici, je me serai fait deux ennemis mortels.

Pour calmer les esprits et servir les besoins du film M. Genina fait maintenant défiler Louise Brooks, la vedette de Prix de Beauté. Sur Louise Brooks, on ne nous demande pas d’avoir une opinion. Il serait sacrilège de discuter la beauté d’une star authentique. Ce qu’on nous demande, c’est de jeter des fleurs à ses pieds et d’exprimer pas nos gestes, nos applaudissements et nos expressions de physionomie l’admiration la plus délirante. Pour stimuler notre zèle, un collaborateur de M. Genina hurle dans un mégaphone: «De l’enthousiasme, de l’enthousiasme!» tandis que Louise Brooks passe et repasse devant nous, en nous adressant un sourire futé…

Tout cela ne nous fait pas oublier le concours. Après pointage, Saint-Granier s’avance vers nous pour nous annoncer le résultat. Ce résultat, évidemment, ne peut satisfaire tout le monde, et Saint-Granier craint visiblement de se faire lyncher par les mécontents. Tout de même, courageusement, il nous avoue que c’est la brune en blanc et noir, Mlle Odile Auvray, qui a gagné. Trois mille bouches hurlent un «Ah!…» satisfait, tandis que deux mille autres ont un «Oh!…» d’indignation. Moi, j’essuie mes yeux embués de larmes. Mlle Auvray est très jolie, mais c’est la blonde que je préférais…

Pour me consoler, j’écoute Saint-Granier chanter Ramona pour la deux millième fois. Ke regarde le maharadjah, qui, après avoir posé devant les photographes, est allé, sans perdre de temps, se faire présenter à la gagnante. Et puis, sans avoir l’aire de rien, je m’arrange pour circuler le plus près possible des appareils de prise de vues, qui «tournent» inlassablement. Quelle émotion, le jour où je me verrai à l’écran dans Prix de Beauté! Et pourvu que je sois photogénique!

Claude Doré

Un grand acteur vu par un grand peintre

Rudolph Valentino et Beltran Massès
Rudolph Valentino et Beltran Massès

Souvenirs du peintre Federico Beltran Massès.

Après des semaines de travail, Massès vient de terminer le portrait de Valentino. Rudy, très fier, a choisi, dans le salon de Falcon Lair, une place particulièrement bien, où le grand tableau a été installé. Et, depuis plusieurs jours, c’est un défilé de photographes et des reporters. On interviewe Massès et Valentino, on les photographie tous deux, debout devant le portrait de Rudolph…

Seul avec Beltran, l’enthousiaste Valentino continue de parler peinture.

— Je suis si content d’avoir eu l’idée, pour ce portrait, de revêtir mon costume de caballero espagnol, dit-il, dit-il.Savez-vous que, de tous les costumes, c’est celui que je préfère? Mon rêve serait de toujours interpréter, à l’écran des rôles espagnols ou arabes. Et je voudrais un jour, être, dans un film, un jeune radjah hindou…

Pour l’instant, en attendant de devenir radjah, il est indispensable que Rudolph se transforme en cosaque russe. Les prises de vues de l’Aigle noir viennent de commencer. Chaque matin, Valentino se rend au studio, accompagné de Massès, qui est devenu son ami inséparable. Et Beltran s’amuse de la métamorphose quotidienne de l’acteur: on voit entrer, dans une loge d’artiste, un Rudolph moderne, élégant, en complet beige ou gris perle.

Un quart d’heure après, la porte s’ouvre, et un jeune cavalier cosaque surgit, plus russe que nature, magnifique de force et de grâce sous le dolman et le haut bonnet à poils…

Au travail! Après avoir vérifié son maquillage, Valentino entre dans le champ des cameras et des sunlights. Et, dès cet instant, il cesse d’être lui-même pour devenir vraiment « l’aigle-noir ». Beltran s’émerveille de voir la conscience, l’enthousiasme et l’opiniâtreté que Rudolph apporte à sa tâche. Cet acteur adulé est perpétuellement  obsédé par cette idée: « Jouer mieux, encore mieux, se surpasser soi-même. Et, insensible aux compliments, il demande à Massès de jouer le rôle de critique.

— Ce jeu de scène, comment était-il Beltran?

— Très émouvant, Rudolph, il me semble…

— Vous êtes sûr? Mais peut-être cela pourrait-il être encore beaucoup mieux? Je vais recommencer…

Dix fois, vingt fois, Valentino reprend une scène, sans se soucier de sa fatigue…

Les jours passent. Massès, rappelé à Paris par ses affaires, annonce son départ, non sans regret. Il s’est pris à aimer Rudolph comme un frère. Et il sait que le jeune acteur aurait, en ce moment plus que jamais, besoin d’avoir auprès se soi un ami sûr. Le désaccord entre Natacha Rambova et Valentino s’aggrave chaque jour, le divorce paraît inévitable. Et Rudolph, tous ces derniers temps, a été très malheureux. Il y a quelques jours, entrant dans la chambre de Valentino, Massès l’a trouvé en larmes, un revolver à la main et parlant de se tuer…

— C’est idiot, Rudolph! a-t-il crié. Vous tuer, à votre âge, avec l’avenir qui vous attend, êtes-vous fou? Vous allez poser ce revolver et me jurer de ne plus jamais avoir d’idées pareilles…

Rudolph a promis d’être raisonnable. Mais il reste sombre et, en dehors de son travail, n’a de goût pour rien.

Heureusement, si, chez Valentino, les crises sentimentales sont violentes, elles sont d’assez courte durée. Ayant un peu reculé son départ, Massès voit avec joie l’humeur de Rudolph devenir peu à peu plus sereine. Le travail et l’amitié aidant, le jeune acteur retrouve un peu de son calme habituel, se reprend à sourire à la vie.

La veille du départ de Beltran, Rudolph aborde avec le peintre une question délicate.

— Ce portrait que je vous avais commandé, Beltran, vous me l’avez donné, au lieu de me le vendre. Cela ne peut rester ainsi. Je voudrais, au moins, que vous emportiez un cadeau, un souvenir de moi. Dites.moi ce qui pourrait vous faire plaisir?

Devant l’insistance de Valentino, Massès se décide.

— Eh bien! puisque vous le voulez, savez-vous ce que j’aimerais? Que vous me donniez votre chien Hollywood.

A la surprise du peintre, Rudolph a l’air désolé.

— Oh! non, Beltran, demandez-moi autre chose, n’importe quoi… Mais pas ce chien, je l’aime tellement…

— Nous trouverons autre chose, alors, Rudolph…

Et le peintre oublie l’incident. Le lendemain, Valentino accompagne Massès à la gare. Le train ne part que dans une demi-heure. Les deux amis se préparent à l’attendre ensemble, quand soudain Rudolph pousse un cri:

— J’ai oublié quelque chose à la maison, attendez-moi, je reviens tout de suite!

Il court, saute dans sa voiture, démarre à fond de train. Et, au bout d’un quart d’heure, Massès voit arriver Valentino et son chien Hollywood. D’autorité, Rudolph hisse l’animal dans le compartiment.

— Je vous donne mon chien, Beltran, dit-il, tout essoufflé…

Et, avant que le peintre ait pu dire un mot, Rudolph l’embrasse sur les deux joues et quitte le wagon…

Paris. Depuis des mois, Massès n’a pas vu Valentino. Mais, régulièrement, le jeune acteur lui envoie de ses nouvelles. De Hollywood d’abord, puis de New-York, puis de Londres, où Rudolph est venu assister à la présentation de l’Aigle noir.

Enfin, Rudolph arrive à Paris. Pendant huit jours, les deux amis ne se quitteront guère.

Un soir, de lui-même, Rudolph entre dans la voie des confidences:

— Beltran, il fat que je vous annonce quelque chose: je suis amoureux…

— Je m’en doutais, fait, Massès, en riant un peu.

— Oui, mais ce que vous ne devineriez jamais, c’est de qui je suis épris: de Pola Negri… Je l’ai rencontrée chez Marion Davies, à Hollywood. Et, maintenant, nous sommes presque fiancés. Je reviendrai à Paris avec elle, Beltran, et vous ferez son portrait, n’est-ce pas?… Je crois que je vais être très heureux. Cette fois, les mauvais jours sont passés, la vie est belle…

Le lendemain, Rudolph, toujours rayonnant, repart pour l’Amérique, où il doit retrouver Pola Negri. Les semaines, les mois passent. Et, un jour, en ouvrant le journal, Beltran Massès pousse un cri: Rudolph Valentino est mort, à trente et un ans, d’une crise d’appendicite…

Claude Dorè
(Ciné-Miroir, 5 Juillet 1929)