L’Italia Ignorata: Trana Film

Trana la Torre
Trana la Torre immagine dal sito Natività Trana

La vera istoria.

Correva l’anno 1896. Purtroppo, chi guarda dietro di sé, trova che gli anni passati avevano le ali ai piedi!

Correva dunque l’anno 1896 e negli ultimi giorni di carnevale di quell’anno, venne tesa a traverso via Po, in Torino, una grande striscia di tela con questa misteriosa parola : Kinematografo. Vinto dalla curiosità, mi cacciai col pubblico che faceva coda all’ingresso d’un gran salone e attesi con gli altri spettatori. Si fece il buio; lo schermo bianco di fronte a noi s’illumino e si lesse: Kinematografo. — Spettacolo di proiezioni animate. Ultima grande invenzione di Edison.

PARTE PRIMA: L’arrivo del treno.
Intensa attesa di tutti. Trac!
Ecco una stazione: il personale — spettacolo meraviglioso — va, viene; i viaggiatori attendono. Spunta qualcosa laggiù, che ingrandisce rapido; ecco il treno ansante. S’arresta: chi scende e chi sale. Partenza!
Torna la luce nel salone.
— È miracoloso! — È stupefacente!
— Si vedeva perfino il fumo del treno! — Hai visto quel bimbo che faceva ciao-ciao? — Se fossero vivi i nostri nonni!…

SECONDA PARTE: Battaglia di neve.
Il viale d’un parco, due squadre di ragazzi fanno alle pallottole. Arriva un ciclista; tutti addosso a lui; cade, si rialza, scappa, bersagliato furiosamente.
Si applaude. Torna la luce tra le gioconde risate del pubblico.

TERZA PARTE: Un viale a Londra.
I cabs vanno e vengono, i pedoni attraversano la strada; uno si ferma ad accendere il sigaro; passano dame e cavalieri sui «destrieri». Il cane li rincorre furiosamente.
— Che ridere! — Si vedeva perfino il fumo del sigaro, nota la voce di prima.

QUARTA PARTE: Una partita a briscola.
Si giòca; un tale perde, l’oste porta la bottiglia, la stura, riempie i bicchieri.
— Bello! — Si vedeva perfino la spuma del barbera nel bicchiere.
— Barbera amabile! — commenta uno dal naso rosso, schioppettando la lingua. — L’ ho riconosciuta benissimo!

QUINTA PARTE: Pattinaggio.
Agili volteggi di coppie sul ghiaccio. Una signora cade, tre, quattro, cercando di rialzarla Le cadono
addosso.
Grande ilarità.

SESTA PARTE: I giocatori giocati. Rinfrescante.
Che vorrà mai dire questo «rinfrescante?». Vedremo! Ecco un bel giardino. Laggiù il giardiniere bagna col getto il prato erboso. Qui, in primo piano, due eleganti giocano le carte. Scoppia un litigio. Laggiù un terzo giovane addita i due accaniti al giardiniere e gli fa dirigere il getto addosso.
Istintivamente ogni spettatore si china: pare che lo spruzzo giunga su noi! Per un po’, i due contendenti si picchiano senza avvertire l’inondazione; poi, in molle, si chetano.

Applausi furiosi. Risate da far tremare il teatro. Lo spettacolo è finito.

Il pubblico esce commentando:

— Bellissimo. — Splendido!’— Che scene lunghe! — Sfido: son di trenta metri caduna: quasi 200 metri
in tutto, si figuri! — Andiamo al Sussambrino a bere il barbera amabile!
— Proprio bene spesi i dieci soldi!

Com’è vivo e fresco nel mio ricordo il primo spettacolo cinematografico al quale ho assistito!

Quelle sei pellicole fecero il giro del mondo. Se ne parlò assai; parve che la Kinematografia dovesse avere immediatamente un grande avvenire e invece languì nei dieci anni che seguirono. Verso il 1906 venne il risveglio e… la Cinematografia non si è addormentata più. Ma già il primo spettacolo aveva in sé il germe cattivo: la spuma del barbera nel bicchiere, che lo spettatore dal naso rosso volle riprodurre al vero al «Sussambrino!».

E poteva essere cosa morale ed educativa, il cinematografo. Tale fu nei primi anni della rinascita, in quelle miti pellicole di trecento metri nelle quali c’era, sì, abbondanza di coniugi soli che adottavano tutti i mocciosi trovati per via, ma c’erano pur proiezioni interessanti che facevano conoscere le bellezze del mondo, le cacce, la vita degli animali. Poi vennero le pellicole d’immenso metraggio e… continuano.

Nei tempi della rinascita, a Torino, un giovane intelligente, Arturo Ambrosio, intuì l’avvenire di questa nuova industria e in un modesto laboratorio lavorò le prime pellicole italiane. Arturo Ambrosio fu e resterà il fondatore della grande industria cinematografica in Italia e Torino fu e ne resterà il centro più importante. Quante Case son nate d’allora! Quante anche declinarono e scomparvero!

Ma ormai la Cinematografia è diventata il flagello del tempo e non ce ne libereremo più. Speriamo almeno che, invecchiando, metta giudizio e come i vecchi «faccia la morale ai giovani!».

Come fu…

Diventò Torino, come dissi, il più gran centro di produzione per le molte Case qui sorte nel giro di pochi anni. Per le scene da condursi all’aperto, da parte degli operatori — che son quelli che girano la pellicola mentre l’azione si svolge — e da parte dei direttori di scena — che fanno agire gli attori — si iniziò una caccia spietata ai luoghi pittoreschi nei dintorni di Torino. Ora occorreva il bosco, ora la foresta, ora la montagna, ora la villa, ora il rustico, ora il corso d’acqua, ora il lago, ora il luogo selvaggio, ora il luogo….addomesticato. Cavoretto, Rivoli, Stupinigi, Lanzo, Avigliana, Piossasco, Moncalieri, Orbassano e cent’altri luoghi si adattarono a dare il loro ambiente. Pel mare occorreva rassegnarsi e andarlo a cogliere a Savona.

Ma un bel dì le Case Cinematografiche fecero a meno di scarrozzare, tramviare, automobiliare da un luogo all’altro per lo stesso soggetto. Esse trovarono tutto il possibile e l’impossibile in un luogo solo e questo luogo fu ed è Trana! Talora vi si trovò perfino il mare!!

Questo paese… pellicolare è sulla linea tramviaria Torino-Giaveno, in luogo comodissimo.

Prima del morbo cinematografico, Trana era immune d’ogni avventura: oggi è macchiata da chi sa quanti delitti, ma i suoi morti son tutti vivi.

Trana badava al suo piccolo commercio di frutta e di funghi ed aveva una cava di talco e qualche molino.

Richiamo per il forestiero era il Santuario suo. Oggi è un soggiorno estivo affollato; ci si fa eleganza e le signore si mutano «svestiti» due o tre volte il giorno. L’avvenimento più importante della stagione rimane pur sempre l’arrivo del tram….. quando arriva! Assolutamente inaudito: a Trana non c’è il Cinematografo!!

I neri delitti, i fantastici rapimenti, le grandi invasioni storiche o giù di lì, Trana le manipola, ma non se ne ciba.

Passarono Annibale, Attila, Napoleone… oh quante volte al tacito, morir d’un giorno inerte, Ei districò le braccia al sen conserte per ricevere, pagando, dalla tabaccaia una busta di Macedonie! E quante Carlo Magno, magnò all’osteria gli eccellenti pesci del Sangone!

Vedo il gesto superbo di Napoleone, calato in Italia, il quale additando fieramente questo cacherozzolo d’un monte, proietta le famose parole: Annibale valicò le Alpi; Noi le abbiamo girate!

Un grande genio, Napoleone: abbassò le vette alpine a tiro di pellicola, per poterle pigliare in giro!…

Trana e… Pompei!

Trana è a volte invasa da orde Messicane, Paraguaiane, Indiane e anche dalle più balorde delle orde. Gl’indiani davanti alla guardia campestre scotennano i loro soggetti trattenendosi la capigliatura e il resto. Gli andalusi vengono a fare le loro serenate al chiaro di sole; Archimede incendia nei vicini laghi d’Avigliana la flotta Cartaginese co’ suoi specchi ustori. Ma al grand’uomo, quando deve accender la pipa, questi famosi specchi non servono più e si fa imprestare una scatola di cerini che non restituisce.

Già: vicino vicino a Trana ci sono due laghi fatti apposta per certi delitti acquatici. Quanti annegati! Le povere spoglie si ritrovano due ore dopo a tavola sotto il grand’olmo.

Ma quest’acque hanno visto ben altro! Videro l’eruzione del Vesuvio seppellire tra cenere e lapilli e… fiammiferi spenti, Pompei!!…

Volete conoscere come può la placida acqua d’un lago divenire un tratto di mare soggetto alla collera terribile d’un grande vulcano… rimasto a domicilio?

Il campo di vetro smerigliato nel quale la macchina di presa riproduce per mezzo dell’obbiettivo la scena, venne mediante una listerella di carta nera tesa orizzontalmente, diviso in metà. Così della pellicola non sarebbe rimasta impressionata che la metà sottostante. Su essa cadrebbe l’imagine di parte del lago e della lontana sponda.

Al momento di girare, motoscafo e barche agitarono, vicin vicino al campo di presa, l’acqua, producendo una specie di burrasca uso famiglia, burrasca complicata da una pioggia di sassi e di qualche miccia fumante. Giràti così una trentina di metri, l’operatore tornò tranquillamente al laboratorio per assistere
all’eruzione del Vesuvio!…

La pellicola che già ebbe l’impressione inferiore dell’acqua fece marcia indietro ad obbiettivo chiuso. Lo schermo di carta nera passò a ricoprire la parte impressionata. E allora, nel cortile s’accese il Vesuvio, piccolo di statura, ma ricco di fumo e di razzi. Ceneri cadenti, sassolini e altre catastrofi liquidarono Pompei, come se si trattasse di scatole di fiammiferi e la pellicola imberrettò il lago del suo bravo Vesuvio!

Non dovete però credere che tutte le scene del cinematografo siano di così semplice fattura e di poca spesa.

A volte si spendono per una scena sola, che passerà in due o tre minuti, cinquantamila lire e magari più ancora. Non poche volte a Trana i carpentieri lavorano mesi in costruzioni che crollavano poi come un castello di carte. Aggiungerò che recentemente la Casa che fece l’eruzione di Pompei… a Trana, mandò invece un nucleo di attori a fare il giro del mondo, viaggio di sei mesi, per eseguire il soggetto: Il giro del mondo d’un birichino di Parigi. Le cascate del Niagara non furono quelle del molino!…

In certi giorni…

A. volte a Trana si vedono le cose più inaudite! una partita alle carte giocata da Giulio Cesare, Tupinetti, un pellirossa, con lo Spirito Santo che fa il «morto!».

Qui è il Conte di Montecristo che protesta per un nichelino di stagno, là Attila, flagello di Dio, che beve la gassosa.

Sherlock. Holmes cerca funghi sotto i castagneti e non ne trova…

Ma risuonano colpi di fischietto. Il sole, il più grande artista cinematografico è tornato con la compagna sua, miss Luce: Si gira!! E allora èccoti a traverso il filo teso che passa nel Sangone scorrere un uomo a cavallo. Il perchè di questo volo non lo sa… trac! il filo si spezza, cavallo e individuo fanno il tuffo: venti metri di pellicola.

E in quel prato laggiù?

Una mongolfiera gonfia il suo pancione al sole…

Pronti? Il ladro gentiluomo s’attacca alla rete, la mongolfiera parte e va davvero in alto con l’uomo. Si teme scenda sopra i castagneti, ma anche il vento a Trana, agisce con arte. La discesa s’effettua davanti al Tram.

Pam! Pam! E il re dei Cow-Boys che a cinque passi di distanza, piglia di mira la torre… e la falla!

Ma là sotto risuona uno sfrenato galoppo: Riccardo Cuor di Leone co’ suoi armati a cavallo va alla conquista d’un cesto di funghi da portare poi, non armata mano, a Torino.

Bufff!!! Una nube di fumo greve ed opaco, uno strimpellamento di corde: Nerone, buttato via il sigaro che non tira, accende… Roma!

Poi morti e vivi, canaglie e galantuomini, selvaggi e Santi, diavoli e Angeli Custodi si dirigono verso gli autos.

Dall’altissimo campanile del Santuario la squilla suona l’Ave Maria. Trana riacquista la fisonomia di paese pacifico. E là, ove tanti delitti e tanti eroismi vennero compiuti, i ragazzotti cercano il mozzicone del sigaro dell’imperatore Nerone e la bimba dell’oste si trastulla col tappo della caraffa; pietra preziosa smarrita da Cleopatra!…

Torino, Luglio 1920

Maria Bistoni de Celestini una italiana en America

Pepita Gonzalez y Sandro Celestini en una escena del film

Buenos Aires, 7 junio 1920

Mi derecho. Drama en 6 actos de la señora Maria B. de Celestini. Por primera vez en la cinematografía local, escribe y dirige su argumento una mujer (1).

En nuestro país, donde se están dando los primeros pasos en materia de industria cinematográfica, es raro anotar que una mujer haya pensado escribir para la pantalla, no ya exhibirse porque en cada mujer hay una artista de cine por exhibicionismo — y más aún, lograr felizmente la realización escénica de sus ideas, en un teatro donde han fracasado muchos asuntos de novelas y obras teatrales, muy difundidos. Si a esto se agrega lo “difícil” del asunto para el teatro silencioso, tendremos que el triunfo se ha duplicado.

La señora de Celestini con un poco de audacia, otro poco de amor maternal, una buena dosis de literatura, dos porciones de psicología femenil, un código debajo de los pies, el corazón en la mano y cubriendo con el manto de la indiferencia el prejuicio social ante el amor de madre, ha hecho con su primera película una obra sumamente interesante, ni aunque en el fondo el asunto carezca en absoluto de novedad y sea un tema ya tratado y sumamente debatido.

Una joven tiene un hijo fuera de la ley que han hecho los hombres y el padre de ella para no dar un escándalo social, secuestra al recién nacido y lo envía a criar lejos de la madre. Esta no puede olvidarlo y mientras su padre no deja de buscar quién repare la falta de la hija y lo encubra todo con él casamiento, la madre infeliz sufre porque no puede prodigarle sus caricias al hijito.

Los deseos del padre se cumplen y ella se casa, pero en su imaginación no vivía más que su hijo a
quién tanto su marido como su padre habían dado por muerto.

Un día extenuado por el frío y el hambre, cae desmayado en los salones de su propia madre el niño, harapiento. Tenía ya 12 años. En ese momento se daba una gran fiesta a beneficio de la Sociedad de niños que no conocen sus padres. Corre la dueña de casa en auxilio de la criatura y ve en una marca que lleva en pecho que es su proprio hijo. Sin reparar en nada y movida por ese momento explosivo en que el dolor y la alegría saben hermanar, grita “¡hijo mío! La nota de escándalo corre por los salones, las murmuraciones se acrecientan, la catástrofe se avecina y trata de explicar su actitud, de explicar su conducta, pero estas cosas no puede comprenderlas la gente que la circunda, el prejuicio social es implacable. No perdona.

En el paroxismo de su fiebre mezcla de alegría y de dolor e importándole ya nada de lo que implica la ficticia amistad de los que la rodean, echa a sus invitados a la calle y cae la tela cuando abrazada. al cuello de su hijo, vuelve a gritarle: ¡Yo soy tu madre! ¡Hijo mío! ¡Hijo mío!

Como se vé, el tema desarrollado en este film no es tan fácil de realizar en la literatura en combinación con la fotografía animada, si bien sería más fácil en el libro o en la escena hablada, donde los argumentos de defensas pueden ser más elocuentes que en la expresión fisonómica o en cualquier gesto adecuado.

Con todo, la señora de Celestini ha salvado todos los escollos, y su audacia simpática ha hecho triunfar haciendo un intenso drama social que ha provocado en su exhibición privada numerosos aplausos.

De desarrollo rápido, técnica moderna, fotografía: excelente, misce en escena lujosa y adecuada, interpretación correcta, “Mi derecho” es una obra que ha de imponerse, no solo porque es hecha por una mujer y escrita para los dos sexos, sino también porque no tiene nada que envidiar a muchas producciones extranjeras y con esto habremos dicho que es un film que hace honor a la industria nacional.

En la dirección, que se ha reservado la autora, ha colaborado eficazmente el señor Bissolati, un operador inteligente y estudioso, que tiene deparado un excelente porvenir en la cinematografía, nacional.

En cuanto a la interpretación hay dos elementos que se destacan ya en nuestros adolescentes artistas de la pantalla, Pepita González, la protagonista y Boyano, que ha vuelto a dar una nota de su eficacia en los roles de traidor y tipos “poco simpáticos”.

El poco espacio de que disponemos no nos permite ocuparnos sobra este particular, dejándolo para mañana.
(Critica)

He recuperado un album con 36 fotografías del film, un dossier de prensa y otros documentos, estoy intentando localizar, en Italia, la familia de Maria Bistoni de Celestini.

  1. La bibliografia sobre el tema generalmente menciona La niña del bosque de Emilia Saleny (1917) como la primera película argentina dirigida por una mujer (Entre preceptos y derechos. Directoras y guionistas en el cine mudo argentino 1915-1933, Lucio Mafud 2021) Disponible en PDF en el sito de Imagofagia: http://www.asaeca.org/imagofagia/index.php/imagofagia/article/view/885

La storia di una donna 1920

Pina Menichelli La storia di una donna 1920
La storia di una donna (Rinascimento Film 1920)

Corso Cinema, Roma, Marzo 1920

Una notte in uno ospedale della città arriva di corsa una vettura in cui c’è una donna (Pina Menichelli) moribonda, per una ferita d’arma da fuoco al petto. Un’anziana signora l’accompagna. Mentre l’agente di servizio interroga l’anziana signora, un infermiere raccoglie un libretto d’appunti caduto alla donna ferita e comincia a leggere. Quel libretto contiene la storia di una donna: di quella donna.

La storia è semplice. Mandata via a diciotto anni dal collegio perché i suoi parenti morirono senza provvedere al pagamento della retta, essa s’impiega come damigella di compagnia presso una severa contessa. Questa contessa ha un figlio di cui l’inesperta Pina diventa l’amante. La contessa li sorprende e scaccia la damigella che se ne va nel cuore della notte. Non sapendo dove andare si ferma su un sedile d’un viale alberato. Due guardie la scambiano per una vagabonda, e mentre stanno per invitarla a seguirli, un signore (Livio Pavanelli) in cui si indovina il viveur, passa. Attratto dalla singolarità della donna la salva: dichiara alle guardie che essa è con lui. E se la trascina.

Pina va. È trattata bene. Vede che il viveur ha due compagni, anche loro cortesi. Nessuno dei tre le chiede nulla con violenza. Essa s’adatta a poco a poco al loro genere di vita. I tre sono dei biscazzieri. Essa li aiuta a barare al giuoco e a spennare i merli, e la vita trascorre tranquillamente.

Il frutto del peccato con Gastone, il figlio della contessa, viene alla luce. È una bambina, che a cura dei soci è mandata da una nutrice.

Un giorno Pina incontra il suo primo amante. Ha un fremito d’odio, e sente un acuto desiderio di vendetta. Chiede aiuto ai suoi soci, e costoro si mettono a sua disposizione organizzando una persecuzione a Gastone. Essa diventa la sua ombra. Due dei soci si fingono amici del giovane seduttore, che nel frattempo si è ammogliato, e gli dicono un giorno, ridendo e scherzando, che quella donna si dice sia stata sedotta da un mascalzone di nobile, e che ha avuta una figlia… E allora Gastone vuol sapere: diventa lui l’ombra di Pina che adesso invece lo sfugge. A furia di pregarla riesce ad avere da lei un appuntamento… Ora, via, piano e numero sono immediatamente comunicati dai complici alla moglie di Gastone con una lettera anonima, e appena Gastone è entrato sua moglie viene a sorprenderlo.

Pina gli fa notare sorridendo che è la seconda volta che sono sorpresi… Ma il giovane ha perduto la testa: Segue la sua antica amante come un cane, trascura la famiglia, gioca, perde, si rovina. Una sera egli grida alla donna: Ma cosa vuoi da me? Essa ne ha pietà, lo spinge fuori dalla bisca e il giorno dopo gli scrive dicendogli che gli perdona, che i suoi amici sono gente equivoca, che partirà.

Ma i soci complici non intendono che la cosa finisca così banalmente. Essi la sorprendono mentre scrive quella lettera, la sorvegliano, e adoperano la sua bambina per ricattarla.

La moglie e la mamma di Gastone pregano un ministro loro amico di richiamare il rispettivo sposo e figlio in servizio, per distrarlo. Gastone non può rifiutarsi all’invito ministeriale. Sua Eccellenza gli affida un importante carteggio relativo a certe miniere.

I soci vogliono avere quei documenti, e quindi pregano Pina di attirare Gastone in un tranello, per potergli togliere le carte. (Qui la faccenda comincia a complicarsi). Pina acconsente perché si tratta di salvare la sua bambina, ma vuol salvare anche Gastone. Va all’appuntamento, e quando Gastone arriva gli dice: Salvati! Gastone si salva. Essa, che aveva rinchiusi i complici, tira il catenaccio e li fa uscire. Costoro vogliono vendicarsi sulla bambina. Ma Pina prende la sua rivoltella e spara. Livio Pavanelli, sul quale essa spara non è colpito, si butta a terra per ripararsi da un secondo colpo e (qui la faccenda si complica ancora di più) si ripara dietro un vaso di creta sul quale Pina inutilmente spara. La raggiunge, le salta addosso e la costringe a spararsi sul petto. Quindi fugge. L’anziana signora, che è la padrona della casa ove è avvenuto il delitto, la porta all’ospedale, dove Pina, naturalmente, muore.

Questo è un buon film, per i seguenti motivi:

  1. C’è un soggetto che è buono, sebbene ricco d’inverosimiglianze.
  2. Il soggetto è benissimo sceneggiato.
  3. La messa in scena è buona: salvo qualche punto, come il salone della contessa, il quale non diciamo sia un orrore, ma non s’è incontrato col nostro gusto.
  4. C’è un complesso di attori, oltre la Menichelli, che — specie il Pavanelli — hanno recitato benissimo.
  5. C’è una buona fotografia, ed anche una buona stampa.

Il film ha secondo noi pochi difetti secondari ed un terribile difetto principale: L’interpretazione di Pina Menichelli.

La diva è molto migliorata in quanto a divismo: certo è meno insopportabile di quanto è in quel Padrone che è stato detto La padrona delle Ferriere. Ha due o tre momenti in cui sembra davvero una donna e non una artista cinematografica. Tutto il resto è una serie di contorcimenti colvulsionari per non venire di profilo sullo schermo.

La bruttezza del profilo è una fissazione che afflige la signorina Menichelli. Noi saremmo felici di spere chi le ha detto che di profilo è tanto brutta. Certo la signorina Menichelli non può essere paragonata precisamente alla Venere di Milo o di Capua, ma non è certo una donna tale da essere obbligata a ricorrere a tanti artifici per recitare… Tanto più che la recitazione è un’arte che raggiunge la perfezione appunto quando ha raggiunta la naturalezza.

La signorina Menichelli può esser detta invece la più artificiosa attrice italiana di cinematografo.

Siccome il teatro non può esser visto che di fronte, e siccome per teatro non s’intende certo la visione di un solo personaggio, ma lo svolgersi di un’azione, è evidente, che quando due personaggi sono in scena debbono esser collocati in modo che il pubblico possa vederli entrambi e quindi il più delle volte gli attori risultano di profilo. La signorina Menichelli ci fa invece esistere a dei colloqui in cui essa volge costantemente la schiena al suo interlocutore, che non può starle davanti che altrimenti il pubblico non vedrebbe niente, e non può starle di fianco perché altrimenti la Menichellissima dovrebbe, per rispondergli, apparire di profilo.

Quando poi non può fare a meno di voltarsi, Pina Menichelli si volta con tale una furia e così completamente che il pubblico, che è stato fino a un secondo prima ossessionato dalla perenne luna piena del volto Menichelliano passa immediatamente in luna nuova senza la logica successione dell’ultimo quarto… Ciò che stanca gli occhi e dà l’idea di trovarsi di fronte a una donna serpe, affetta da istero-epilessia.

Menichelli a parte La Storia di una donna è una bella pellicola, e con La contessa Sara forma la coppia dei migliori lavori dell’U.C.I.

(immagine e testo archivio in penombra)