Parlando con Vittoria Lepanto

Vittoria Lepanto
Vittoria Lepanto

La penombra di un salottino pieno di piccole cose deliziose: il ritmo lento e sonoro di un grande orologio che sembra contenere nel suo misterioso congegno gli echi nostalgici di cento campanili: un lampeggiare d’occhi e di sorrisi, nel turbinoso avvolgersi di parole schiette e vivaci, lanciate da una bocca che non deve aver mai conosciuto i sottili toni della ipocrisia e le vellutate espressioni della menzogna… Queste cose varie e suggestive mi avevano preso, ed io avevo quasi dimenticato lo scopo della mia visita all’amica gentile.

Il quale scopo… non esisteva che in parte, nella mia fervida immaginazione, perché io sono profondamente convinto della inutilità di tutte le interviste, sia di genere politico che artistico. Il personaggio intervistato non dice mai più di quello che l’intervistatore non sappia già. Molte volte, anzi, è l’intervistatore che suggerisce alla sua vittima il modo di… continuare l’intervista. Ma in questo caso si trattava, semplicemente, di avere qualche impressione cinematografica da una attrice intelligente, da una donna di spirito, arrivata anch’ella alla scena muta per quella forza irresistibile che ormai trascina tutte le intelligenze e tutte le forze vive del nostro mondo artistico e le converge intorno al grande vittorioso, al Cinematografo. Lo scopo, dunque, era di sentir parlare Vittoria di Lepanto: non certo di scoprire qualche nuovo orizzonte per l’arte e per l’industria cinematografica. D’altra parte, il vivace linguaggio della diva, tutta accesa della divina impetuosità meridionale, allontanava singolarmente le mie idee dall’arte del Silenzio.

L’intervista, dunque, si limitava a questo: a lasciare che Vittoria di Lepanto esponesse le sue idee…

E quante idee! un fiume.

Ricordo, tra le cose più notevoli, e cerco di riassumere le frasi che seguono: ma chi mi aiuterà, Dio mio, a render la espressione, la vibrazione, la vivacità estetica della bella attrice infervorata nel suo tema?

— Io preferisco il teatro al cinematografo — affermò ella a un tratto, recisamente — non perché non apprezzi e non intenda tutta la bellezza e il significato di questa novissima arte, ma perché il teatro, oltre a conseguire una immediata rispondenza dell’anima degli artisti nell’anima degli spettatori, richiede una dura disciplina di studio e di meditazione, e una raffinatezza tutta speciale di spirito, e impone ai suoi cultori appassionati quei sacrifici che, generalmente parlando, non impone il cinematografo. Vorrei che questo dovere di studio, di affinamento intellettuale, fosse sentito anche da coloro — i giovani, in ispecie — i quali entrano nella ormai immensa falange degli artisti cinematografici senza la preparazione necessaria…

Io sono convinta che solo gli attori di teatro possano veramente dar vita e anima ai personaggi della scena muta. Voi mi nominerete qualche norma di eccezione: ma generalmente, credetemi, è così.

Quale attrice cinematografica può uguagliarsi a Lyda Borelli? Le sue interpretazioni sono tutte così efficaci, così vive! Come si scorge, in lei, la solida preparazione del palcoscenico! Come appare limpidamente lo studio di ogni personaggio, di ogni particolare psicologico, la cura di ogni minuzia, di ogni sfumatura che, valga a render più evidente e più suggestiva la sua azione mimica! E questo ch’io dico per Lyda Borelli, valga anche per gli attori. Il teatro concede quella disinvoltura, quella distinzione, quella scioltezza di modi che spesso si cercano invano in molti personaggi cinematografici…

— In conclusione, voi vorreste che dinanzi all’obbiettivo posassero esclusivamente artisti di teatro?

— Per carità! — e qui la bella attrice uscì in una risata clamorosa — non mi fate dire cose che possono urtare la suscettibilità dei miei illustri colleghi…! No; io penso, semplicemente, che il teatro di prosa è anche e soprattutto una grande scuola intellettuale ed estetica, e che non dovrebbe essere tenuto in sospetto o dimenticato dagli artisti cinematografici, i quali potrebbero trovare in esso ispirazioni nobili e ammaestramenti preziosi…

— Ma voi siete entrata in cinematografia prima che… nel palcoscenico?

— È verissimo. Fui una delle primissime attrici mute… nel tempo che la cinematografia lasciava il campo delle semplici visioni pittoresche e delle scene dal vero e affrontava risolutamente le difficoltà molteplici del dramma e della commedia. Non eravamo ancora al lungometraggio. Pensate! Io posai per una Carmen di 350 metri… e per un Otello di 400… Roba che oggi farebbe ridere. Andai appositamente a Parigi, dal Pathè, per essere iniziata ai misteri decisivi… del cinematografo. Vidi posare il Le Bargy nel duca di Guisa, e ne riportai una impressione profonda. Impressione che, come vedete, conferma quel che vi dicevo dianzi… Il Le Bargy è un attore… e un grande attore.

— Ma qui, in Italia, si pensa che i grandi attori non abbiano le qualità necessarie a divenire grandi artisti dello schermo bianco…

— E si pensa male. Ricordate Ermete Novelli nel Michele Perrin, lo Zacconi nello Scomparso? Certamente, i grandi attori hanno anche bisogno di grandi direttori tecnici… Se la Duse avesse avuto una più accorta direzione…

Qui la diva si interruppe: e ripigliando il discorso di prima, esclamò:

— Sapete che toccò a me l’onore di fare una Signora dalle Camelie cinematografica, in luogo della illustre Sarah Bernhardt? Non inarcate le ciglia…

— Non inarco nulla, io!…

— La film riuscì assai bene — dati i tempi — ed ebbe fortuna…

— E perché lasciaste improvvisamente il cinematografo? Vittoria di Lepanto si strinse nelle spalle, poi guardò in aria, sospirando.

— Perché?… perché? il perché voi lo sapete bene. Il teatro mi affascina. Ho esaudito i miei desideri. Ma ora son tornata con passione nuova agli antichi amori. Ho eseguito L’avvenire in agguato, l’Ombra… nell’ombra del Niccodemi; ho tentato di rendere una visione di dolorante e tragica umanità. L’autore del dramma ha compreso il mio sforzo e ha avuto per me parole anche troppo gentili.

Ma io non sono mai contenta di me stessa… E studio, e cerco di affissarmi, di penetrare più a fondo nelle anime dei personaggi che rappresento…

— Adesso, ad esempio, che cosa fate?

Come, non lo sapete? Sto posando per Il Piacere: faccio Elena Muti: una figura di donna complessa e difficile, che mi affascina straordinariamente…

— Elena… Muti! per l’arte silenziosa, è il personaggio che ci vuole…

— Il Piacere sarà, credete, una intelligente, artistica ricostruzione del magnifico romanzo dannunziano. Non un particolare estetico è stato trascurato: Roma trionferà nello sfondo della scena, in tutta la sua bellezza meravigliosa…

— Una bellezza per sfondo a un’altra bellezza — ho interrotto con accento da cronista mondano di terza categoria; ma l’accorta amica, ridendo, mi ha minacciato di mettermi alla porta.

Diavolo! avere un dispiacere simile per… il Piacere! Ho preferito chiudermi in un perfetto silenzio… cinematografico.

Yambo, Roma, 6 Maggio 1917
(da Il Gesto)