
Per tutta la famiglia del teatro Ruggero Ruggeri diventò matto sul finire del 1908 quando, unitesi, per il capocomicato, in società con Paradossi, udendo recitare una giovane attrice che egli aveva conosciuto bambina pensò improvvisamente di farne la sua «prima donna».
Quell’attrice era allora «amorosa» con Talli.
— Matto! Matto! Matto! — dissero allora i suoi colleghi e i suoi amici.
Quell’attrice era Lyda Borelli.
La Quaresima che iniziò il nuovo triennio se fu proficua di soddisfazioni, fu eccessivamente laboriosa, snervante.
Ad eccezione del Ferrero che era già stato brillante con lui, il triennio precedente. Ruggeri si trovò ad avvere a che fare con elementi completamente nuovi : Bonafini, Calò, Campa, la Cartoni-Talli, e, più specialmente la Borelli.
Il repertorio, nuovo per tutti, era in parte nuovo anche per lui, cosi che ogni mattina la prova cominciava alle otto e mezzo per finire senza interruzione, fra le cinque e le sei; poi la; recita e poi… non raramente qualche prova generale dopo lo spettacolo.
Quegli attori secondari a otto o nove lire al giorno, quei generici a sei e sette, quelle attrici con dodici o quindici al massimo — credo che la Borelli stessa guadagnasse poco più di trenta lire al giorno — erano meravigliosi per disciplina, per buona volontà e per senso d’arte.
E la Compagnia Ruggeri era quella che in rapporto alle altre offriva più lauti stipendi.
Anche il capocomico s’alzava presto la mattina. E non era lieve sacrificio. Arrivava sul palcoscenico un po’ nervoso, un po’ accigliato. Si metteva presso la buca del suggeritore dietro un paravento e, giù, al lavoro.
La Borelli, fasciata da un lungo golf di lana bianca, con il volto esile affondato nell’oro abbondante della sua capellatura e illuminato dalla luce intelligente degli occhioni, pareva ancora più giovane di quello che era; non aveva dormito. Aveva studiato tutta la notte ed era lì gaia, fresca, piena di ardore e di sicurezza: memoria prodigiosa al servizio di una volontà di ferro.
Ruggeri era direttore assai severo e molto esigente: mentre si dedicava con una pazienza di cui sembrava incapace a coloro che mostravano buona volontà e facilità di comprendonio, era addirittura un medico crudelmente sincero per quelli che giudicava privi di ingegno o comunque fannulloni: e li scartava od aveva per essi così taglienti ironie ch’erano più amare d’una sfuriata.
In quella Quaresima lo si vide alle prove fare le parti di tutti. uomini e donne, dando un colore ad ogni personaggio, una: personalità un carattere ad ogni interpretazione. È il suo metodo di direzione. Generalmente i suoi insegnamenti stringono l’attore nei confini di sue regole personali, informate però sempre a estetica e a buon gusto. Egli non soffoca l’altrui genialità, ma conferisce all’esecuzione generate un’armonia nella quale è impossibile non udire e non vedere lui.
Allora, oggi e sempre, la Compagnia di Ruggeri ha avuto ed avrà una caratteristica propria: l’eleganza nel tono e nello stile. Il pubblico decretò che Ruggeri era rinsavito quando, in quella stessa laboriosa Quaresima del 1909, al Teatro Valle di Roma, la sera di un suo compleanno, Lyda Borelli si avventurò trionfalmente nel grande cimento di Salomè.
Quella rivelazione fu anche il doppio trionfo di Ruggeri: triondo profeta e di direttore.
Egli era stato un profeta che aveva voluto ad ogni costo avverare la sua profezia e nelle lunghe e numerose prove del singolare lavoro di Oscar Wilde, l’ultima delle quali durò fino alle sei del mattino, Ruggeri fu, quale direttore di Lyda Borelli, artefice di un’arte irraggiungibile. Plasmò, scolpì, creò. La creta era ancora informe e da quella egli trasse tutte le virtù che fecero poi della bellissima attrice la più acclamata delle nostre artiste.
Ognuno di noi sa quale carriera luminosa ella abbia poi fatto, troncata soltanto per sua volontà.
Amerigo Manzini (Ruggero Ruggeri, Modernissima 1920)