Pordenone’s Chronicle tre

Nathalie Kovanho in una scena di La canzone dell'amore trionfante © Cinémathèque française
Nathalie Kovanko in una scena di Le chant de l'amour trionfant © Cinémathèque française

Due appuntamenti per lunedì 5 ottobre alle 9,00: al Teatro Verdi, Graziella, diretto da Marcel Vandal (al quale ho dedicato il post precedente), e Cesare Gravina, clip presentati da Giuliana Muscio, al ridotto del Verdi. Cesare Gravina, nato a Sorrento nel 1858, si trasferisce negli Stati Uniti nel 1914, e cioè a 56 anni. Non è più l’età ideale per l’emigrante in cerca di fortuna, sicuramente le ragioni di Gravina per un simile passo erano altre. In Italia aveva diretto con successo la compagnia di operette Gravina-Calligaris, proprietà Gravina, Cianchi e Rotti. Altre notizie sul passato di Gravina prima di debuttare nel cinema accanto a Mary Pickford in Madame Butterfly (Sidney Olcott., 1915), non ne ho, per il momento. Secondo Giuliana Muscio nel catalogo delle Giornate, alcune biografie lo definiscono segretario personale di Enrico Caruso. Posso aggiungere che la moglie di Caruso, Dorothy Benjamin, ricorda come nel “piccolo ministero” del Knickerbocker Hotel, residenza abituale di Caruso a New York, non mancava nemmeno un impiegato addetto ai ritagli dei giornali: era Cesare Gravina, un vecchio comico d’operette al quale il tenore schiuse poi le porte del cinema. Porte aperte in grande stile perché Gravina interpretò una sessantina di pellicole nel periodo del muto, lavorando a fianco di personaggi quali Jackie Coogan, Lon Chaney, Pola Negri, Gloria Swanson, Conrad Veidt, Dolores Del Rio, Greta Garbo, Erich von Stroheim, e molti altri. Detto questo, mi dispiace aver rinunciato alla sicuramente interessante presentazione di Giuliana Muscio, che con grande competenza e tenacia (senza dimenticare la giusta dose di affetto) si dedica già da qualche tempo alla ricerca sugli “scambi cinematografici tra Italia e Stati Uniti 1895-1945”, sottotitolo del volume Piccole Italie, grandi schermi (Bulzoni 2004), che ho letto con molto interesse.

Alle 10,30, sezione Il canone rivisitato, inventata e promossa da Paolo Cherchi Usai, The Ten Commandments, imponente colosso del 1923 diretto da Cecil B. De Mille, copia privata appartenuta a Don Cecil. Pienone in sala, solo posti in piedi. Al pianoforte Donald Sosin che meritava, oltre gli applausi, una medaglia per i 159 minuti di accompagnamento musicale senza sosta. Ho lasciato la sala dopo i primi 90 minuti, avevo un posto impossibile (ultime file in platea) buono per il teatro, disastroso per una proiezione sullo schermo. Non è un rimprovero verso l’organizzazione del festival, tutt’altro, è semplicemente la costatazione del successo delle Giornate.

Asta Nielsen in Die Geliebte Roswolsky © Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung, Wiesbaden Le Giornate del Cinema Muto 2009
Asta Nielsen in Die Geliebte Roswolskys © Friedrich-Wilhelm-Murnau-Stiftung, Wiesbaden Le Giornate del Cinema Muto 2009

Dopo il pranzo, alle 14,30, nuovo titolo dell’Albatros: Le chant de l’amour triomphant, diretto da Tourjansky nel 1923, da un racconto di Ivan Tourgniev ambientato nella Ferrara del Rinascimento. Il titolo del film in Italia è La canzone dell’amore trionfante: “Muzio e Fabio sono due amici intimi, che vogliono raggiungere entrambi il cuore di Valeria, ma che entrambi sono disposti a eclissarsi se la partita viene perduta”. Fabio viene scelto e Muzio abbandona l’amore e Ferrara per le terre d’Oriente dove trascorre diversi anni finché un giorno decide di ritornare in compagnia di un servo esperto in scienze occulte. Fabio e Valeria lo accolgono con rinnovata amicizia, lui regala a lei una esotica collana e nel corso di una serata, Muzio esegue La canzone dell’amore trionfante, una melodia imparata nel lontano Oriente. Quella stessa notte, Valeria ha un sogno “misterioso”, dice la brochure dell’epoca, erotico direi io, che la sconvolge: “l’agitazione aumenta nella donna, e il tormento s’accresce nell’uomo – ovvero in Fabio – assistendo al sonnambulismo, e l’agitazione raccoglie il popolo che incalza lo straniero – in realtà Fabio straniero non è, visto che è un ferrarese di ritorno dall’Oriente -, lo stringe nel suo cerchio minaccioso. Ma l’hindou, che da Visnu ha la rivelazione del pericolo del suo padrone, corre a salvarlo e colla sua potenza di volontà ferma la turba forsennata che retrocede inerte. Poi nella notte ancora la canzone si fa sentire e invita la donna al convegno d’amore. Fabio la precede e al luogo designato trova Muzio preda di sonnambulismo. La gelosia lo vince e pazzo incosciente colpisce di pugnale il rivale. Nella casa ospitale stanno un’ammalata e un morto. L’ammalata guarirà, il morto per virtù occulte sarà risuscitato e abbandonerà definitivamente la casa”. Fabio a Valeria ritornano a vivere in pace. La collana malefica finisce inghiottita dai gorghi del lago. Bella copia, fotografia impeccabile, restaurata nel 1986 da Renée Lichting da una copia nitrato d’epoca. La copia presentata alle Giornate è stata realizzata nel 1990. Ambientazione e costumi splendidi, in certe scene veramente spettacolari. Al pianoforte John Sweeney che ha seguito il film con la solita maestria.

Ore 16 e dieci, Asta Nielsen. Qualcuno mi aveva chiesto se ero capace di trovare un indizio sul primo frammento, Asta Nielsen als mannequin, sette minuti dove Asta Nielsen, in quello che sembra l’ambiente di un atelier di moda, ci presenta una collezione di abiti da sera, da passeggio, ecc., che dallo stile (il taglio) sono d’accordo in collocarli intorno al 1914-1915. Tutto qui. Forse si tratta di una prova di costumi, forse un’attualità (cinegiornale). Il secondo frammento erano due minuti del film Steurmann Holk, regia di Ludwig Wolff, interpretato nel 1920 da Asta Nielsen e Paul Wegener. Film perduto, che a giudicare da quello che abbiamo visto è un vero peccato. A seguito, Die Geliebte Roswolskys, regia di Felix Basch 1921. La copia, di origine brasiliano aveva per titolo Quem da mais? Nel cast, ancora Asta Nielsen e Paul Wegener come principali interpreti. La copia presentata a Pordenone è uno dei pochi positivi a colori sopravvissuti della Nielsen, e fu dato al Bundesarchiv-Filmarchiv nel 1989 dalla Cinemateca Brasileira di Sao Paulo. In tempi recenti, il materiale è stato duplicato dalla Haghefilm, usando il metodo Desmet. Il film risulta incompleto, mancano alcune scene, direi fondamentali, per lo sviluppo dell’azione. Dall’argomento traspare una critica molto ironica verso i mezzi con i quali la stampa crea un mito. Al pianoforte Tama Karena. Presentavano i film, introdotte e tradotte da Paolo Cherchi Usai, Heide Schulpmann e Karola Gramann della kinothek asta nielsen Nota: alcune scene di questo film erano ambientati a Capri, Amalfi…

Ho impiegato il resto del giorno nella trama dei miei progetti in corso, riunioni con amici che posso vedere soltanto a Pordenone (per il resto del tempo ci sentiamo soltanto per mail), dove abbiamo ancora discusso (amichevolmente) sul futuro del cinema muto come patrimonio europeo.

Verso le 11,30 siamo ritornati al Verdi per Adults only della Jugoslevenska Kinoteka 60. Come aveva avvertito prima della sessione David Robinson “adults only”. Tre film pornografici (e per la verità molto noiosi) anni 20 a 30 del secolo scorso.