Progetti mancati: Augusto Genina

Augusto Genina a Venezia
Augusto Genina a Venezia

Siamo ormai a metà del 2009 e nemmeno questa volta sono riuscita a mettere in cantiere il progetto Augusto Genina. Si trattava di una collaborazione fra gli archivi spagnoli e italiani, e la “scusa” di partenza era l’anniversario del film L’Assedio dell’Alcazar, girato tra la Spagna e l’Italia nel periodo 1939-1940. C’era di più. Augusto Genina aveva fatto il suo debutto come regista a Barcellona nel 1913 con il film La moglie di sua eccellenza. In entrambi i casi, nuovi materiali e documenti giustificavano il tentativo. Ma niente da fare, ci riproverò nel 2013…

Non voglio rinunciare del tutto ad un piccolo omaggio a Genina. Si tratta di un articolo-saggio sul cinema pubblicato in Francia e Italia nel 1926 (magari anche in Germania), in contemporanea alla presentazione del Cyrano De Bergerac, unico film di Geninadel periodo muto, disponibile in DVD.

Il cinematografo è il regno del sogno. Qualcuno, maligno, potrà osservarmi : « del sonno, non del sogno ».

Proprio ieri un mio amico si lagnava con me di aver speso dieci lire per andare a dormire al cinematografo. Questo non ha importanza: c’è gente che dormirebbe anche in piedi in mezzo all’inferno di un jazz-band americano. E poi è molto snob dire: « Sono stato al cinematografo…, Dio che noia !…»

E’ una questione di eleganza linguistica. La parola « cinematografo » è brutta, disarmonica, lunga, grossolana. Suona male, guasta. è onesto giustificarne l’ impiego con un dispregiativo. Anch’io più volte mi son trovato imbarazzato di fronte ad essa.

— Lei è il signore che fa del cinematografo?

Che barbaro modo di esprimersi! Ma non ce n’è un altro, e allora bisogna subire e rispondere alle mille domande e lasciarsi guardare come fenomeni da baraccone.
— Ma parlano veramente gli attori quando recitano ?

— E che cosa dicono ?

— E si danno i baci sul serio, nelle scene d’amore?

— Quanto mi piacerebbe fare l’attrice! — commenta sospirando una signorina maliziosa, mentre la madre la polverina da lontano, con un’occhiata terribile.

— Chi sa come si divertirà, lei! — dice timido un imberbe giovinetto — Che bel mestiere, voglio farlo anch’io!

— Ci mancherebbe altro ! — prorompe la solita mamma nell’angolo-Povero regno del sogno, come ti riducono a un basso mondo di facili e non edificanti realtà! Mi si consenta dunque di spiegare che cosa esso sia, nella sua vera e onesta espressione.

Il cinematografo è innanzi tutto un mondo di artisti, quindi di sognatori. Ma di artisti che lavorano e di sognatori che sognano ad occhi aperti. Il loro sogno e fantasia, ed essi sanno fissarlo, materializzarlo, quasi direi, in quella precisa realtà che e il film. Chiuso in duemila metri di pellicola impressionata, esso parte così per il mondo, dove nel mistero di mille e mille sale di proiezione rivivrà la sua breve e illusoria vita di due ore di spettacolo.

Ma quante fatiche costa la fabbricazione di questo sogno, a migliaia e migliaia di persone! Quanti cervelli al lavoro! Quante braccia! Quanti interessi! Quanto denaro!…
Il pubblico non saprà mai e non potrà mai sapere, sebbene il visibile progresso dei films, che di anno in anno raggiungono, a vista d’occhio, perfezioni sempre più evidenti e importanti, possano in qualche modo farlo intravedere. L’arte di fare un film, di fissare cioè, nei confini del bianco schermo di una sala di proiezione tutto un mondo di fantasia, dando alle cose e alle persone il palpito della vita, è così complessa e difficile che non si può avere la pretesa di spiegarla in un breve articolo.
Bisognerà quindi contentarsi e seguirmi pazienti in quelle che possono stare in questi limiti. (1, segue)