Progetti mancati: Augusto Genina (2)

Interno Teatro di Posa 1926
Interno Teatro di Posa 1926

Come si fa un film? Prima di tutto si pensa, cioè si immagina la storia che poi si tradurrà sullo schermo.

Non tutte le storie sono adatte; bisogna quindi scegliere fra i tanti intrecci che si presentano alla fantasia, quelli che più basano il loro effetto sull’azione o che, in ogni modo, hanno caratteri tali di movimento, di sfondo e di emotività da assicurare ogni risultato pratico di realizzazione, senza ricorrere al faticoso aiuto delle didascalie.

Trovato l’intreccio, si sceneggia. Questo è il lavoro più importante di quanti poi seguiranno. Quasi direi che è il film. Per fare un paragone, la sceneggiatura sta al copione cinematografico come il dialogo sta alla commedia. Spesso essa costa molta più fatica e più tempo che lo scrivere una commedia. Con la sceneggiatura è terminato il lavoro di tavolino e si passa in «cantiere», vale a dire nei teatri di posa.

I teatri di posa sono oggi, secondo la tecnica moderna, degli immensi spazi coperti, dove si crea tutto: dalla luce del sole, che viene sostituita con quella di mille potentissime lampade elettriche, alle onde del mare, fabbricate da colossali apposite macchine, capaci di spostare, in ondate formidabili, qualunque quantità d’ acqua raccolta in giganteschi bacini. E’ qui che maggiormente sembra di essere in un mondo fantastico sorgente dal sogno.

Nel buio di questi teatri, attraverso a mille fasci di luce abbagliante, passano le visioni più inaspettate e sorprendenti che si possano immaginare.

Lo spettacolo di mille vite, mischiate a quello dell’unica brulicante vita che le genera, da una tale impressione di miracoloso che spesso anche i più abituati a questa specie di Babele di tutte le epoche, di tutti i costumi, di tutti i drammi, finiscono per subire il fascino di quell’immenso e stranissimo caleidoscopio dove l’umanità, nella sua l’orma di ieri, di oggi, e di domani, passa attraverso alle sue più pittoresche e fantastiche combinazioni.

Questo meraviglioso spettacolo di lavoro, che si rinnova senza tregua ogni giorno, è frutto di ben dure fatiche.

L’arte di mille artisti concorre a formare questo regno del sogno e a far in modo che esso non muoia, ma possa rivivere nel miracolo della proiezione.

E’ un miracolo, questo, ben difficile a compiersi. La proiezione è sempre nemica: distrugge tutto. Basta una lampada mal collocata, il gesto troppo vivace o troppo lento di un attore, l’abito male scelto di un’ attrice, il lucido di un mobile fuori posto, la coda di un cane fuori campo, perché si debba ripetere ogni cosa da capo.

Spesso, per raggiungere un dato effetto di fotografia, di recitazione, di decorazione, si è costretti a fare e disfare venti volte, ciò che si era già fatto e disfatto trenta. E allora in proiezione si passano delle ore a scegliere, su mille metri di pellicola impressionata, i venti metri utili per il «montaggio».

Il film è tutto in questo lavoro di pazienza che gli occhi dominano. Pezzo per pezzo, immagine per immagine, centimetro per centimetro, il film viene montato, esaminato, discusso, riveduto, corretto, con una esattezza, una cura, un amore che possono solo trovarsi nella fabbricazione degli apparecchi di precisione.

Bisogna riuscire a far parlare le immagini. L’arte del cinematografo è tutta qui, e consiste nella grande misura di ogni effetto e nel preciso calcolo delle scene. Bisogna saper stabilire con esattezza anche i secondi della permanenza dei quadri nella luce dello schermo.

L’apparizione di un viso, un paesaggio, un cielo, la visione lussuosa di un ballo, differentemente intrecciate, allungate, accorciate, possono avere sul pubblico risultati assolutamente opposti.

Più che le ricostruzioni grandiose, le magnifiche riproduzioni fotografiche, i trucchi sorprendenti, decide perciò del successo di un film il «montaggio» del film stesso, l’arte cioè di ben dosare sullo schermo.

Questa è la sola, la vera arte creativa del cinematografo, arte capace di chiudere, nel breve spazio del nastro di una pellicola cinematografica, la passione dell’artista che l’ha creato. (2, segue)