
Roma , aprile 1918. L’autore e l’inscenatore di questo Dramma di una notte hanno voluto trasportare nel cinematografo le tre famose unità aristoteliche intorno alle quali deve essere ancora conclusa l’alquanto vecchia polemica dei critici e degli scrittori di teatro. Infatti la breve azione — se tale può chiamarsi la vicenda in parola — si svolge rapida e serrata nel breve giro di una notte, in un sontuoso albergo della capitale. Ciò che può sembrare anche una sfida a coloro che negano la… fraternità del teatro e del cinematografo e vorrebbero che questo fosse una cosa assolutamente diversa da quello.
La controversia è vecchia per quanto insoluta, e non è questa la sede per tentare di risolverla. E del resto i lettori che seguono queste mie note conoscono il mio pensiero sul proposito.
Certo è che questo dramma di una notte, che si sta proiettando con tanto successo alle Quattro Fontane, è un interessantissimo esperimento, che merita di essere segnalato.
Non è senza dubbio un capolavoro nell’abusato senso del barnumianismo cinematografico, ma è una pellicola che con una grande semplicità di mezzi, senza trucchi, senza masse, senza colpi di scena, riesce a tener continuamente desta l’ansiosa attenzione dello spettatore, a interessarlo e a commuoverlo sino alla fine. E, quel che è più, il soggetto è di una logica e di una verosimiglianza cui il cinematografo non ci ha davvero troppo abituati.
L’unico appunto che al soggetto si può fare è forse questo: che il carattere della protagonista non è ben delineato, epperò non è chiaro se ella agisca per amore o per calcolo, ma non è improbabile che ciò si debba… all’intervento della censura. Così, come faccio tutte le mie riserve sula umanità e su la efficacia della scena culminante della terza parte in cui mentre i due fratelli parlano pacatamente, come se discutessero di cose che non li riguardi, l’avventuriera innamorata ha tutto il tempo di raccogliere — inosservata! — il braccialetto, di aprirlo, iniettarsi il curaro e allontanarsi.
Qui la scena avrebbe dovuto essere più concitata, ma soprattutto più rapida. Menda non lieve, è vero, ma che è ampiamente riscattata dalla linea artistica del lavoro, dalla sobria eleganza degli interni e dalla bellezza degli esterni, ma soprattutto dalla interpretazione della protagonista, che è Lyda Borelli.
Forse, senza l’arte sovrana di questa mirabile artista dalle plastiche armonie, il tentativo del soggettista e dell’inscenatore di introdurre cioè nel cinematografo un po’ di semplicità in tanto imperversare di farraginose complicazioni teatrali, non sarebbe riuscito. Ma lo schermo è dominato, riempito, illuminato da Lyda Borelli, ed il pubblico rimane così preso dalla sua bellezza, dalla sua arte, dalla sua espressività, che non ha tempo né modo di analizzare l’azione.
La quale del resto, non perde mai d’interesse, se pure sin dai primi quadri lasci intravvedere la tragica conclusione che la epiloga.
Questo Dramma di una notte poi ha anche un valore documentario, perché è l’ultima fatica cinematografica della Lydissima, che abbandona il teatro e il cinematografo per le più calme e profonde gioie di un sogno d’amore che si compirà nel prossimo giugno. E forse il pubblico che affolla quotidianamente l’aristocratico teatro di via delle Quattro Fontane è un po’ attratto anche dal affettuosa curiosità di cui ha sempre circondato la bellissima artista.
La quale, con questa interpretazione che rimane fra le sue migliori, ha impresso un degno sigillo di bellezza e di nobiltà definitive su la sua gloriosa carriera.
Gli altri interpreti del Dramma di una notte, meritano lode. Una specialissima menzione va fatta della giovanissima attrice che interpreta la parte di Daisy, che ha mostrato delle ottime attitudini. Ecco una debuttante che farà strada!
Nitida, luminosa e bene inquadrata la fotografia, salvo i trucchi del temporale.
In compenso, un’ottima pellicola, degna del successo che le ha arriso.
(Dal Giornale d’Italia)