Fantasma di Murnau 1922

Phantom
Phantom

Recensione da Il Corriere Cinematografico, Torino 26 agosto 1925

“Fantasma” al Corso Cinema di Roma, dal romanzo di Gherardo Hauptmann. Riduzione di Thea Harbau (sic. Harbou) – Direzione: Murnau – Protagonista: Abel. Edizione UFA – Berlino

Il film come l’ho visto:

Lorenzo Lubota, come dire il signor Uno Qualunque, non è che un impiegatuccio, uno scrivanello del Comune.

È un debole e un sensitivo: un abulico, direbbero i medici, i quali se non sanno che cosa siano le malattie, in compenso hanno trovato per ciascuna un’elegante parola greca.

Prima di lottare, egli è già un vinto. Appartiene a quell’umanità grigia, che pare non serva ad altro che a far numero, non debba conoscere della vita altro che il dolore.

Non è tutto. Lorenzo Lubota è un sognatore.

Malato di un vano disperato desiderio di felicità, affranto dal contrasto fra la sua vita ideale e quella reale, oppressa dalla miseria; egli si rifugia nel sogno, questa divina malattia dei geni, ch’è anche la ricchezza dei poveri, ai quali schiude con chiave d’oro gli illusori Paradisi dell’immaginazione.
Siamo tutti, più o meno, dei sognatori perché sognare in fondo, non è che desiderare: l’ha già notato Dostojewski, e prima, di lui Calderon ha detto: la vida es sueño.

Tuttavia la vita punisce crudelmente i sognatori che non sappiano o non possano realizzare il proprio sogno, come dimostra la storia di questa creatura di Gherardo Hauptmann.

Lorenzo Lubota è, naturalmente, anche poeta.

— Ma questi versi son l’opera di un genio! — così dice un vecchio legatore di libri, al quale Lorenzo ha dato a leggere le sue poesie « scritte nei momenti di riposo ». E sogna anche lui, il vecchio rilegatore. Egli farà leggere i versi ad un celebre quanto occhialuto professore di letteratura. Costui riconoscerà il genio del poeta e ne sarà il mecenate. E poiché Maria la figlia del rilegatore, ama Lorenzo, essi si sposeranno e saranno felici.

Ora eccolo, Lorenzo, mentre si reca all’ufficio, assorto, come sempre, nelle sue fantasticherie.

— Ma bada, dunque, sognatore! – verrebbe voglia di dirgli. — È sempre pericoloso sognare, ma, per istrada, ne va dell’incolumità personale!

Ecco, infatti, un cocchio elegante l’investe, ed egli ruzzola per terra.

Il cocchio si ferma, un’incantevole figura bionda e bianca ne discende, aiuta il malcapitato a rialzarsi, poi, rassicurata, risale sul cocchio, che riparte veloce.

Ma il sognatore è rimasto abbagliato.

Chi era quella figurina bionda e bianca, che per un momento, l’ha accarezzato?

Ma era il suo sogno stesso, fatto persona! Era la Bellezza, l’Amore, la gioia di vivere, la ricchezza, tutto ciò che fa splendere la vita, tutti i beni che gli erano stati negati : era la Felicità.

E, incalzato dall’ansia, Lorenzo Lubota l’insegue, la Felicità, che è già lontana, ormai.

Egli corre, corre. Ed ecco, il cocchio sparisce in un portone; la figura bianca s’invola per le scale. Sta per raggiungerla, Lorenzo; ma qualcuno lo ferma: uno stalliere.

— Che volete voi, qui?

Che vuole Lorenzo Lubota? Egli insegue un sogno: la Felicità. Ma può capir questo uno stalliere?

— E perché inseguivate la mia padroncina?

Ma che domande fa questo stalliere!

Vuol sapere perchè s’insegue la Felicità! Diteglielo voi, se lo sapete!

— Andate via, di qua! — comanda lo stalliere, minaccioso e sospettoso, e viene fin sulla soglia del portone, e dietro Lorenzo, che avrebbe fatto con un cane, schiocca una sua maledettissima frusta.

E in quello schiocco è la beffarda risposta della Vita all’inseguitore di chimere.

Ora eccolo, questo povero Lorenzo Lubota, posseduto dal suo inaccessibile sogno. Ha perduto la testa in verità. Perchè non consola l’angoscia della vecchia mamma? Non sa dunque che sua sorella Melania, ha abbandonata la triste, la povera casa, per diventare la mantenuta di Lubinski, un losco figuro?

Questo Lubinski è socio di una zia di Lorenzo, che è ricca, perchè esercita il pulito mestiere dell’usuraia.

Da questa zia si reca Lorenzo.

— Il professore X — le dice — ha letto i miei versi. Dice che sono un capolavoro. Vuoi aiutarmi, zia? Mi vergogno di presentarmi dall’editore, così logoro.

— Sta e vedere che mi diventi celebre sorride lusingata la zia, e gli da del danaro; perché – ella pensa – gli uomini sono canaglie, come Lubinski, il suo socio, per esempio — eh, a quello lì, nemmeno un centesimo darei! — ma Lorenzo, oh no! Lorenzo, il male, non è capace nemmeno di pensarlo.

Ma è dunque un grande poeta, questo scrivanello ? Ecco: il professore ha letto i versi: — qualcuno, sì, non c’è male, ma in complesso… non è roba che si possa stampare!

Ancora un’illusione svanita, povero Lubota!

Comunque, l’abito nuovo, che gli sceglie Lubinski, il quale poi lo conduce a far baldoria — bisogna festeggiare con un bicchiere i vostri successi, poeta! e se anche spendiamo tutto in una sera, la vecchia ce n’ha, nello scrigno! — l’abito nuovo è necessario. Egli sa ormai il nome del suo sogno: Lucy: è la figlia dei vecchi signori Harlan.

Ma è proprio impazzito questo povero Lubota!

Eccolo dai signori Harlan.

— Mi scusi, e perdoni il mio ardire! — egli dice alla signora Harlan, che lo guarda trasecolata. Mi dica, la prego, se sua figlia Lucy è fidanzata. (Come ? vuoi sapere se Lucy è fidanzata? Ma è pazzo questo signore? E perché mai? Come dice? Che non può vivere senza la speranza di poterla, un giorno, sposare?).

— Mio marito, ecco — risponde la signora — le dirà…

— Ne riparleremo, signor Lubota… fra qualche tempo… diciamo pure: fra un anno.

E dopo che Lorenzo è uscito, scuote la testa il signor Harlan.

È buono, il signor Harlan: lo compatisce, questo povero pazzo!

Lucy Harlan è la Felicità, e Lorenzo Lubota, la Felicità, non può che sognarla. Per lui, se vuole, c’è un… surrogato: una donnina elegante, che somiglia straordinariamente a Lucy. Egli l’ha incontrata in un ristorante di lusso, dove si è recato appena uscito dagli Harlan chissà mai perché, per stordirsi, per perdersi…, e l’ha seguita fino a casa, come un allucinato.

— Chi sei tu? — gli domanda la donnina.

— Uno scrivanello senza lavoro — (Lo hanno anche licenziato dall’impiego, questo scrivanello, che trascura le importantissime pratiche da emarginare, per gironzolare intorno alla casa di Lucy e frequentare i ristoranti di lusso).

Ma la donnina ride, ride! piace scherzare, a questo signore! è tanto strano!

Io sono un poeta… un uomo senza fortuna… che insegue una chimera, un Fantasma…

Ora sì, Lorenzo Lubota: questo che dici è molto vero.

E questa donnina, se tu vuoi, ecco, è tua. Non è Lucy, ma le somiglia tanto! È quasi come lei. Non è la felicità, ma è un surrogato. Non sei tu solo al mondo, mio povero Lubota, che debba accontentarsi ci un surrogato della felicità.

Questa, puoi averla. In cambio, vedi, non vuole che del danaro, poiché ella ti crede ricco.

Ma Lorenzo non ne ha. Chi gliene potrà dare?

— Tua zia — dice Lubinski, la vecchia volpe, che già conta di servirsi di questo ingenuo sognatore, per smungere la avara cassa della socia. – In cambio, tu le prometterai la cessione dei tuoi diritti d’autore, per esempio.

Non c’è male, come trovata: i diritti d’autore! Non si direbbe… a vederlo, che Lubinski sappia fare anche dell’ironia!

E, dalla zia, è Lubinski che fa tutto, che ha una volontà per lui. E la zia dà… una grossa somma!

Lorenzo Lubota ha compiuto un’azione disonesta. Ha mentito. Ha rubato.

Ma la vecchia zia usuraia ha scoperto ben presto la bugia di Lorenzo.

Voglio il mio danaro — gli dice — Se fra tre giorni non me l’hai restituito, ti consegno alla Polizia.

Tre giorni. Il primo: il giorno della vertigine. Stordirsi, dimenticare, nel piacere, nella vertigine. E’ bella come Lucy, è quasi come lei! E il secondo: il giorno della passione. La mamma è malata, la vecchia mamma è affranta dal dolore e dalla miseria: non può dirle, Lorenzo, la sua angoscia.

E allora, chi l’aiuterà, questo povero uomo che il vortice della perdizione sta per ingoiare? L’amante?

— Aiutami tu — supplica Lorenzo.

Io sento il tuo dolore… ma non lo comprendo. Ti amo per questo… e non posso che amarti.

Non’ può che amare, una donna. E se ama, non si può chiederle altro.

Lubinski, il complice?

Oh, egli conosce la vecchia Schwabb. Se ella vede in pericolo il suo danaro, non conosce pietà. Bisogna rassicurarla, oppure… — e completa la frase con un gesto tragico. — Ucciderla, vuol dire. Inorridisce Lorenzo. E fa l’ultimo tentativo.

— Devo parlarti, zia… — e, scongiurandola di aver pietà, finisce per confessar tutto, perché egli non sa nemmeno mentire.

— Avresti- fatto meglio a continuare la menzogna — gli risponde con fredda collera la zia. — Ti avrei concessa una dilazione. Ma ora, a che pro?

È la fine. Tutto crolla su questo disgraziato, ch’è stato travolto da un fantasma.

E, incapace di compierlo, come incapace d’impedirlo, Lorenzo Lubota, schiacciato dall’orrore, assiste al delitto di Lubinski, che, nella notte, uccide la zia!

Sono colti in flagrante, arrestati.

Ma i giudici sono stati indulgenti con Lorenzo Lubota. Gli hanno certo accordata l’attenuante del totale vizio di mente. Un sognatore! Ma non è nemmeno degno di una pena!

Fratello spirituale di Don Chisciotte, come lui, Lorenzo Lubota non vive nella realtà; e come quegli, lo zimbello, egli è la vittima del sogno inseguito.

Sulla tragedia eroica dell’ingenioso hidalgo, si spande il sorriso mediterraneo del Cervantes; su quella borghese di Lorenzo Lubota, pesa la tristezza dell’Hauptmann, grigia come le brume del nord; e se talvolta sorride, è un sorriso più triste del pianto.

Il pubblico, mi dispiace dirlo, non ha mostrato di capire, e perciò di ammirare questo vero capolavoro dello schermo.

Esso ha tenuto verso la storia di Lorenzo Lubota il contegno d’incomprensione e di stolta irrisione dello stalliere, di cui abbiamo parlato.

I sognatori, si vede, non hanno fortuna nemmeno sullo schermo!…

Mario Magic

Recensione da La rivista cinematografica, 10 gennaio 1924

Milano, Cinema Palace. “Fantasma” di G. Hauptmann.

Il soggetto non era facile da svolgere in una adattazione alla tela, però essa è fatta egregiamente. E per quanto la base fondamentale del dramma sia uno svolgimento psicologico, d’intorno vi è stata creata tanta azione che il film non risulta né pesante né lento. Bisogna dire che una parte grandissima nella riuscita del film va attribuita a Alfred Abel con la sua ottima recitazione. Questo artista è veramente grande benchè trovi che non sia questa la sua migliore interpretazione, mi piace di più in Fiamma ad esempio, devo però dire che anche qui recita molto bene sostenendo una parte difficilissima che poteva diventare ridicola, se non interpretata bene. Buona anche la recitazione degli altri, specie dell’artista che impersona la vecchia madre e che, se non erro, è la Wagner. Buona la messa in scena e la fotografia. Non è però un film che piace al gran pubblico.

Carlo Sircana

Nella pagina dedicata al film nel sito Flicker Alley, una galleria fotografica, frammenti del film, articoli, e molto altro.

Roberto Basilici un italiano nell’ombra

Roberto Basilici, figurino per il Faust di Murnau, 1926
Roberto Basilici, figurino per il Faust di Murnau, 1926

Questo post era programmato da qualche tempo, Roberto Basilici è uno dei personaggi della serie “senza fissa dimora”, ma non ero sicura se dovevo pubblicare qualche indizio sulla ricerca, prima di riuscire a pubblicare il libro. Ho cambiato idea.

L’opera di questo italiano nel cinema muto europeo è (quasi) completamente sconosciuta, ignorata e dispersa, ed è un vero peccato. L’unica informazione affidabile è questo pdf nel sito internet Casa dei Basilici. Complimenti per la ricerca al curatore Paolo Basilici.

Ecco un primo assaggio della mia ricerca sul lavoro di Basilici nel cinema:

Nella penombra il direttore di scena e l’operatore; nell’ombra completa l’architetto, il bozzettista, lo scenografo.

Basilici, è uno di questi uomini modesti che vivono nell’ombra cinematografica. Eppure è infinitamente più meritevole di luce di tanti altri, appunto perché artista in sua manifestazione.

Chissà quanti avranno detto, ammirando il Faust realizzato dal celebre inscenatore di Aurora, Murnau : — Che film magnifico! Che costruzioni meravigliose, e che splendidi costumi! Non c’è che dire, questi tedeschi sono veramente insuperabili…! Nessuno avrà pensato che in un film di pretta concezione tedesca, interpretato da un grande artista tedesco come Jannings, impostato con criteri dell’ultra-teutonica UFA, un italiano fosse stato chiamato a collaborare con la sua genialità creatrice alla realizzazione di un cosi grande capolavoro. Eppure Murnau sapeva il fatto suo, più di tanti direttoroni di marca nostrana che imperano ormai a Berlino.

Basilici non è solamente un pittore scenografico, non è solo il bozzettista filmico o il figurinista di tale o tal altra epoca. Egli è sopra tutto un formidabile ispiratore per chi deve realizzare il film, è un aiuto preziosissimo per la sua vasta cultura artistica, per la profonda conoscenza storica delle epoche e degli ambienti in cui qualunque azione si svolge.

Ha collaborato in un numero stragrande di film, lavorando a Hollywood, a New-Jersey, a Parigi, a Roma, a Vienna, a Berlino; ha inscenato un numero infinito di opere nel Nord e nel Sud-America, in Italia e in Francia; i migliori teatri di Spagna e d’Inghilterra se lo disputarono per parecchi anni e nell’immediato anteguerra fece più di una stagione all’Imperiale di Pietroburgo.

Ma la passione lo riportò suo malgrado verso lo schermo, verso la film che diventa arte appunto perché tutte le arti vi sono fuse con armonia et sans emportement, come argutamente fa osservare Dekobra. Ed eccolo inscenare per conto di una grande Casa berlinese Due uomini, in una mirabile scena del quale film seppe riprodurre con una sbalorditiva realtà di particolari la Cappella Sistina, dipingendo falsi arazzi, riproducendo quadri e decorazioni, mobili e addobbi ; « piazzando » personaggi e dignitari con occhio esperto, da artista sempre. Recentemente in Nozze di Rivoluzione, il magnifico film della « Terra », interpretato da Diomira Jacobini, non fu solamente il bozzettista coscienzioso, ma fu sopratutto il prezioso consigliere dell’inscenatore. E si deve appunto a questa sua partecipazioni se questo film, fatto completamente in Germania, si presenta invece in una ambientazione caratteristicamente francese.

In ogni film dove il Basilici è stato chiamato si nota la personalità spiccatissima di questo artefice modesto. I suoi scenari sono improntati di buon gusto e di genialità, i personaggi da lui descritti con vigorosi tratti, presentano attraverso i costumi da lui creati, il carattere drammatico che l’azione richiede; in una piega di panneggio, in un finto « gobelin », in un oggetto qualunque posato su di un mobile, s’intuisce l’appassionata e continua assistenza dell’artista.

E bene che in questo momento di preparazione e di organizzazione per la rinascita del film italiano, sia ricordalo questo valoroso rappresentante della nostra terra, perché si possa contare sul suo nome nel fecondo domani.

L’autore dell’articolo è un certo Fabian, cinque mesi dopo, come ho appreso dal sito Casa Basilici, Roberto moriva a Berlino vittima di un cancro alla gola, era nato a Roma nel 1882.