Cinema e cinematografi in Italia luglio 1918

in penombra luglio 1918
In Penombra, rivista d’arte cinematografica, Roma, luglio 1918, copertina di Bompard (Archivio In Penombra)

Il cardinal Pompili, vicario generale del Papa, ha emanato un decreto nel quale, rilevando come non sempre né da tutti gli ecclesiastici siano osservate le disposizioni che in materia di pubblici spettacoli furono date dal Vicariato, ricorda e rinnova, per ordine del Papa, la proibizione assoluta al clero, così regolare come secolare, di assistere alle produzioni che si svolgono nei pubblici cinematografi di Roma, anche se fossero di oggetto sacro, senza alcuna eccezione. Il cardinale minaccia poi di procedere contro i trasgressori con le pene canoniche, compresa la sospensione a divinis.

È noto come negli ambienti vaticani il cinematografo sia tenuto nella considerazione di un formidabile mezzo di propaganda religiosa e come il Vaticano stesso, fedele a questo criterio, abbia direttamente o indirettamente appoggiati e finanziati, acquisiti e lanciati alcuni films di carattere mistico come Christus, Fabiola, Frate Sole, ecc. Ora, da una cospicua personalità del mondo cattolico apprendiamo una notizia di cui, anche per altre fonti, ci viene confermata la veridicità. S. S. Benedetto XV che ha assistito con grande interesse alla proiezione di tutte le films religiose finora comparse, ha personalmente concepito una grandiosa iconografia cinematografica intorno ad uno dei più fulgidi periodi del cristianesimo ed ha affidato ad un colto prelato il compito di svolgere, sviluppare e concretizzare la sua idea. Si dice anche che, per tramite di una persona che ha già diretto imprese cinematografiche, si sia stipulato un accordo con una delle maggiori case italiane per l’edizione della vasta e complessa iconografia.

Manca la pellicola vergine: negativa positiva. Le consuete spedizioni di Kodak dall’America hanno subìto un ristagno. Pathé, da qualche tempo, non ne manda più. Le scorte, specialmente di negativo, sono state incettate da alcuni bagarini che ne tirano fuori qualche centinaio di metri quando sanno che qualche casa si trova nell’impossibilità di continuare la lavorazione. Allora, questi signori, assumono un atteggiamento di salvatori della patria ed offrono disinteressatamente quel negativo che loro hanno pagato una lira e quindici al metro al modesto prezzo di quattro lire. Intanto molte case, con gravissimo loro danno, sono state costrette ad interrompere i lavori in corso ed altre, specialmente a Torino, a sospendere senz’altro la lavorazione.

Una nuova circolare del Sottosegretario agli Interni richiama i censori di prima e seconda istanza ad una più severa applicazione delle imposizioni di legge per la revisione delle pellicole cinematografiche circa i soggetti e le scene riproducenti comunque ambienti, azione, tipi, gergo, consuetudini e costumi e quant’altro concerne sotto ogni aspetto la malavita, la teppa, la camorra, la baratteria, la mafia, la mano nera, gli apaches, ecc. E ciò anche quando non si raggiunga l’estremo del ripugnante, del truce, e non vi sia diretta ed immediata scuola del delitto. Non dovrà insomma in nessuna forma e per qualsiasi ragione esser consentito che i tristi eroi della malavita siano portati all’onore dello schermo.

Per opportuna norma dei Signori Revisori di primo e secondo grado si avverte che le scene riproducenti manifestazioni di orgia, sotto qualsiasi aspetto, quali, a mo’ di esempio, sono quelle che comunemente vengono riprodotte nei cosiddetti bal tabarin, in gabinetti particolari di ristoranti, in fumerie d’oppio, in case equivoche, in locali di giuoco e, in genere, in tutti gli ambienti di vita traviata e di disordine, per lo più accompagnate da danze lascive, da eccessive libazioni e da altre simili forme di dissolutezza, sono da ritenere contrarie alle disposizioni dell’art. 1 lettera a-d del vigente regolamento. Pertanto la proiezione di dette scene e delle didascalie che vi facciano riferimento dev’essere senz’altro vietata.

Un decreto del Ministro degli Interni fa obbligo agli esercenti di cinematografi di includere nel programma i cosiddetti giornali cinematografici della lunghezza massima di 250 metri, editi e distribuiti dal Comando Supremo del R. Esercito, dai Ministeri Militari, dal Commissariato Generale per l’assistenza civile e propaganda interna, nonché da quelle altre autorità o uffici che ne fossero successivamente autorizzati con decreto del Ministerio degli Interni. E fatto altresì l’obbligo agli esercenti di esporre all’esterno dei locali dei cinematografi le fotografie dei giornali suddetti, che fossero loro esibiti. La proiezione dei giornali avrà luogo almeno per tre giorni consecutivi, di ciascuna settimana, eccetto per i cinematografi che restano aperti solo per tre giorni, o meno, nel qual caso la proiezione deve aver luogo un giorno ogni settimana. È in facoltà delle autorità locali di P. S. di estendere l’obbligo della proiezione oltre i limiti su indicati anche in altri giorni della settimana, in cui i cinematografi sono aperti al pubblico. I giornali debbono essere ripetuti in tutte le rappresentazioni di ciascun giorno.

Mostra su Arrigo Frusta, pioniere della sceneggiatura italiana

Arrigo Frusta gioca con due cuccioli di leone del serraglio del domatore Schneider (foto Silvio Alovisio)
Torino, primi del ‘900. Arrigo Frusta gioca con due cuccioli di leone del serraglio del domatore Alfred Schneider (foto archivio Silvio Alovisio).

Al tempo mio, la cinematografia era appena una privata industria, dove il danaro si trattava con gran riguardo. Né correvano sfilate di cambiali, rinnovate all’infinito. Il cineasta ancora non esisteva; ancora non troneggiavano sovrani i critici. Poveri diavoli d’autori, d’attori, di metteurs-en-scène, nutriti solo di pochades e di operette, vivevano in loggione, insieme — lo sapete bene — con le « fatalissime » “fiancute, poppute, colli pesanti, spalle a declivio” (1)… Così eravamo, per sentenza sfoderata dai sommi storiografi del Muto, nella sempliciotta epoca umbertina; contenti, nonostante, e allegri. E come si lavorava d’impegno, e con passione, con vero entusiasmo! Ma, poveri noi! non si riusciva a produrre — aggiungono i criticoni — se non “goffe improvvisazioni e cascami di romanzi dannunziani” (2). E — che sfacciati! — ci si divertiva pure. E — che ladri! — si guadagnava bene.

Io non conosco gli studi d’oggigiorno. Da gran tempo non frequento più i teatri di posa. Ma ho sentito cose magnifiche, di macchine colossali, di fantastici ordigni e di luci intensissime. Una vita poi di caserma, una disciplina ferrea: — Guai qui, guai là! Non muovere, non parlare, non ridere. Non tirare il fiato. E costì non s’entra. E là non si passa. E chi non è di scena fili via!… Basta il ronzio di una mosca perché tutto vada all’aria. E vivere al chiuso, nel buio pesto: d’un tratto sotto rovesci di fiamme. Cose magnifiche, certo. A me pare una vita scellerata. Allora codesto inferno dei teatri di cemento e della luce artificiale nessuno ancora lo aveva creato. Per lavorare ci occorreva il sole: e il sole era il nostro iddio. Ciò significava correre al mare, ai boschi, sulle montagne, vivere all’aperto, tra l’azzurro e il verde, godere dei meriggi e dei tramonti, far merenda sull’erba, sotto il palco di una grande quercia, in un cerchio di gente allegra, di donne belle. E andare per il mondo, passare di paese in paese, da Champoluc e Casteldisangro, da San Gimignano a Col di Rodi, dai ghiacciai del Rosa alle cascate del Toce. A volte si partiva la mattina, che non era neanche bruzzico, in automobile: quattro, cinque automobili in fila. Davanti a tutti la De Dion-Bouton dello Stato Maggiore: la chiamavamo l’aeroplano, perché a partire pigliava l’abbrivo che sembrava un volo. Poi venivano i due omnibus Rapid con i cuscini di velluto rosso e lo sportello dietro. Appena premevi l’acceleratore, fischiavano come locomotive. Ultimo, sferragliando, il carrozzone degli attrezzi. E la gente accorreva a vedere “quelli del Cine”.
Arrigo Frusta
(Bianco e Nero, 5 giugno 1960)
1 e 2. Mario Gromo, Cinema Italiano, 1903-1953, Mondadori Editore.  

Arrigo Frusta (1875-1965) è stato uno dei grandi protagonisti della cultura piemontese e del cinema italiano della prima metà Novecento. Giornalista, poeta, scrittore in lingua piemontese, drammaturgo, alpinista, Frusta è ricordato nella storia del cinema per essere stato uno dei primi e più importanti sceneggiatori del cinema muto italiano.

A cinquant’anni dalla sua morte, il Museo Nazionale del Cinema e il Centro Studi Piemontesi – Ca dë Studi Piemontèis depositari di due importanti fondi di documenti appartenuti a Frusta, ne omaggiano la memoria con un’esposizione realizzata su iniziativa della Biblioteca del Consiglio Regionale del Piemonte.

Attraverso decine di manoscritti, documenti, libri, fotografie, la mostra intende ripercorrere — seguendo il filo dei ricordi dello stesso Frusta — il vivace e multiforme percorso intellettuale e artistico di una personalità feconda e straordinariamente eclettica, intimamente legata alla storia culturale di Torino, dagli anni beati della bohème di fine Ottocento alla stagione d’oro della Hollywood sul Po.

Durante il periodo della mostra saranno organizzate, presso la sede espositiva della Biblioteca del Consiglio Regionale e la Bibliomediateca “Mario Gromo” del Museo Nazionale del Cinema, tre conferenze con letture e proiezioni, dedicate alle diverse attività creative di Frusta.

Tempi beati. Arrigo Frusta (1875-1965). Dagli anni della bohème di fine Ottocento e della stagione d’oro della Hollywood sul Po ai “Brandé”. Dal 14 ottobre al 22 novembre 2015 – Biblioteca della Regione Piemonte, Via Confienza 14, Torino.