La figlia del Vesuvio Dora Film 1912

Pubblicità della Film Dora (La Vita Cinematografica, 30 agosto 1912 © Museo Nazionale del Cinema)

Dramma in 32 quadri, con scene importantissime ed emozionanti, svoltesi con pericolo immenso attraverso le contrade più terribili e affascinanti, nel tempo stesso del grande e maestoso Vesuvio.

Sotto la scorta di abili, vecchie guide, e con l’alta cooperazione del chiarissimo Direttore dell’Osservatorio Vesuviano, prof. Mercalli, e del valoroso ingegnere cav. Emilio Colonna, direttore della rinomatissima ferrovia e funicolare Vesuviana dell’Agenzia Internazionale di viaggi Cook.

Lo svolgimento dell’interessantissimo dramma che veramente appalesa la fantasia tradotta in atto, dà — per la prima volta — alla Cinematografia, la riproduzione viva e reale del Gran Mostro fumante, in tutti i suoi più minuti e meravigliosi dettagli, dalla sua base alla sommità (1170 metri sul livello del mare) ove il cratere vomitando fumo denso e minaccioso, vi riceve, in un accesso di sfrenata disperazione, la protagonista del dramma.

Il Vesuvio, superbo dominatore dei Vulcani, era avvolto nelle tenebre e pareva un gigante addormentato in attesa dell’alba che doveva coi suoi rosei bagliori mostrargli la sua figlia prediletta: Dora la Mulattiera. E ci venne Dora, la fanciulla bella! e fu quel giorno guida del Club degli escursionisti Napoletani, di cui un socio conte di Torralta, fu colui che la tolse al suo caro monte per avvincerla alla realtà delle sue brutture; e una notte, rigido ed imponente il Vesuvio fu testimone della seduzione del vile, che glie ne rapiva la figlia. Dora, potè nella bella Napoli in poco tempo, con l’anima dominata dal dolore, analizzare la sua vita spoglia di tutte le illusioni di una volta, ma ricca di amarezze e di disinganni e non ebbe la forza di ribellarsi a quella tortura che l’opprimeva, non si sentiva forte di sorgere contro l’uomo che amava e che ora la circondava col suo abbandono, Un giorno Guido di Torralta fu scosso dall’armonioso suono d’un’arpa che gli ricordò una sua vigliaccata antica; dal cancello della sua villa delle rose vide che colei che modulava la nenia conosciuta era Maria Veber che un tempo aveva abbandonata col cinismo sulle labbra, proprio quando la misera, scacciata dal padre, aveva bisogno della sua protezione, e tocco del pentimento e dall’antica passione corse a lei non per darle l’obolo della carità ma per riceverne il perdono dalla vittima. E Dora assistè, Dora soffrì delle sofferenze dell’altra; che dopo aver maledetto e respinto il seduttore, cadde singhiozzando sull’arpa al suolo, infranta; furono quelli attimi eterni che ebbero per Dora una immobilità infinita; rimirò la povera Maria, rimirò il vigliacco, poi fuggi, fuggi distruggendo nella corsa pazza le rose e i ramoscelli, i ramoscelli e le rose, dei cui petali un giorno egli glie ne aveva fatto ammanto; rifuggi dall’uomo vile che qual larva splendida aveva lampeggiato nella sua vita sfolgoreggiante come un iride, e che aveva fatto di lei il trastullo dei suoi sogni.

Un anno dopo Dora, la bella mulattiera d’una volta, chiedeva al vecchio padre suo la protezione pel figlio della sua colpa, lasciandoglielo avvolto in pochi cenci sulla soglia della casa paterna, e il Vesuvio, ricevè la sua Figlia nel suo pinnacolo nell’amplesso della morte ; mentre pareva che le gemme lucenti che scintillavano nella volta azzurra del cielo, fossero lagrime d’angeli figli anch’essi del dolore in quel solenne silenzio della notte.

Il figlio delle Selve S. A. Ambrosio 1909

Il figlio delle Selve

In quel tempo i Focesi, venuti dall’Asia Minore, fondarono Marsiglia, e le tribù del Celti, primi abitatori della Costa, dovettero ritirarsi a vivere di ruberie e di rapine nelle antichissime Selve dell’interno.

Ora avviene che un ricco negoziante d’armi, il quale per certi suoi affari si recava col suo somarello al villaggio vicino, fu fatto prigioniero e condotto nei boschi. I predatori, guidati da Vam-hir, giovane fortissimo capo di tribù, pretesero tale somma per riscatto del prigioniero, che né la moglie né la figlia dell’armaiolo mai avrebbero potuto pagare.

Glauca «la figlia» invano implorò l’aiuto dei concittadini, invano cercò col suo cervello un mezzo per venire in aiuto al padre. Questo solo le occorse: d’offrirsi lei stessa come ostaggio. Così fa. Corre al campo dei predoni e dice la sua proposta. I predoni accettano. L’armaiolo è posto in libertà e Glauca rimane schiava di quei selvaggi. Ma Glauca è tanto bella! In pochi giorni Vam-hir ne impazza. Il giovane ma feroce condottiero, astuto come una volpe e forte come un leone, ora sospira davanti le luci del tramonto e intreccia ghirlande di fiori: e la bella greca, che sa la forza della sua bellezza, ride trillando con le note più argentine della sua bella voce.

Vam-hir compirà il sacrificio: tradirà il suo popolo, la sua tribù, i suoi compagni e accompagnerà la bellissima fin sotto le mura di Marsiglia. Questo è l’ardente desiderio della divina Glauca e per Vam-hir i desideri della donna amata sono ordini. Che mai sarà di lui dopo, ora non pensa. E a che pensarci? La perdita di Glauca non è forse la fine della vita? Ma gli dei non vogliono il sacrificio dell’uomo prode. Vam-hir è sorpreso un giorno da un drappello di Greci ed è per soccombere quando sopravviene Glauca. La presenza della donna arresta i combattenti e le sue spiegazioni ammansano i Greci a favore dell’uomo delle Selve. Vam-hir potrà entrare in Marsiglia. E Glauca con uno dei suoi migliori sorrisi dice piano al selvaggio: «Ma non lo sai che anch’io ti voglio bene?».
(dalla brochure del film)

«A son of the Wilderness» Ambrosio. A story of Marseilles when the city was a Greek colony. It is a narrative of brigandage and has for its basis the capture of a village worker. His place is taken by his daughter, with whom the chief falls in love and frees her. Then comes a chase by villagers, with a capture and all the picturesque and thrilling features which go to make up a story of this sort. Photographically the film is an improvement over some previously released by this firm, and while the acting is largely of the swashbuckler type, it is alive and keeps the audience interested.
(Moving Picture World, January 29, 1910)

Maria Bistoni de Celestini una italiana en America

Pepita Gonzalez y Sandro Celestini en una escena del film

Buenos Aires, 7 junio 1920

Mi derecho. Drama en 6 actos de la señora Maria B. de Celestini. Por primera vez en la cinematografía local, escribe y dirige su argumento una mujer (1).

En nuestro país, donde se están dando los primeros pasos en materia de industria cinematográfica, es raro anotar que una mujer haya pensado escribir para la pantalla, no ya exhibirse porque en cada mujer hay una artista de cine por exhibicionismo — y más aún, lograr felizmente la realización escénica de sus ideas, en un teatro donde han fracasado muchos asuntos de novelas y obras teatrales, muy difundidos. Si a esto se agrega lo “difícil” del asunto para el teatro silencioso, tendremos que el triunfo se ha duplicado.

La señora de Celestini con un poco de audacia, otro poco de amor maternal, una buena dosis de literatura, dos porciones de psicología femenil, un código debajo de los pies, el corazón en la mano y cubriendo con el manto de la indiferencia el prejuicio social ante el amor de madre, ha hecho con su primera película una obra sumamente interesante, ni aunque en el fondo el asunto carezca en absoluto de novedad y sea un tema ya tratado y sumamente debatido.

Una joven tiene un hijo fuera de la ley que han hecho los hombres y el padre de ella para no dar un escándalo social, secuestra al recién nacido y lo envía a criar lejos de la madre. Esta no puede olvidarlo y mientras su padre no deja de buscar quién repare la falta de la hija y lo encubra todo con él casamiento, la madre infeliz sufre porque no puede prodigarle sus caricias al hijito.

Los deseos del padre se cumplen y ella se casa, pero en su imaginación no vivía más que su hijo a
quién tanto su marido como su padre habían dado por muerto.

Un día extenuado por el frío y el hambre, cae desmayado en los salones de su propia madre el niño, harapiento. Tenía ya 12 años. En ese momento se daba una gran fiesta a beneficio de la Sociedad de niños que no conocen sus padres. Corre la dueña de casa en auxilio de la criatura y ve en una marca que lleva en pecho que es su proprio hijo. Sin reparar en nada y movida por ese momento explosivo en que el dolor y la alegría saben hermanar, grita “¡hijo mío! La nota de escándalo corre por los salones, las murmuraciones se acrecientan, la catástrofe se avecina y trata de explicar su actitud, de explicar su conducta, pero estas cosas no puede comprenderlas la gente que la circunda, el prejuicio social es implacable. No perdona.

En el paroxismo de su fiebre mezcla de alegría y de dolor e importándole ya nada de lo que implica la ficticia amistad de los que la rodean, echa a sus invitados a la calle y cae la tela cuando abrazada. al cuello de su hijo, vuelve a gritarle: ¡Yo soy tu madre! ¡Hijo mío! ¡Hijo mío!

Como se vé, el tema desarrollado en este film no es tan fácil de realizar en la literatura en combinación con la fotografía animada, si bien sería más fácil en el libro o en la escena hablada, donde los argumentos de defensas pueden ser más elocuentes que en la expresión fisonómica o en cualquier gesto adecuado.

Con todo, la señora de Celestini ha salvado todos los escollos, y su audacia simpática ha hecho triunfar haciendo un intenso drama social que ha provocado en su exhibición privada numerosos aplausos.

De desarrollo rápido, técnica moderna, fotografía: excelente, misce en escena lujosa y adecuada, interpretación correcta, “Mi derecho” es una obra que ha de imponerse, no solo porque es hecha por una mujer y escrita para los dos sexos, sino también porque no tiene nada que envidiar a muchas producciones extranjeras y con esto habremos dicho que es un film que hace honor a la industria nacional.

En la dirección, que se ha reservado la autora, ha colaborado eficazmente el señor Bissolati, un operador inteligente y estudioso, que tiene deparado un excelente porvenir en la cinematografía, nacional.

En cuanto a la interpretación hay dos elementos que se destacan ya en nuestros adolescentes artistas de la pantalla, Pepita González, la protagonista y Boyano, que ha vuelto a dar una nota de su eficacia en los roles de traidor y tipos “poco simpáticos”.

El poco espacio de que disponemos no nos permite ocuparnos sobra este particular, dejándolo para mañana.
(Critica)

He recuperado un album con 36 fotografías del film, un dossier de prensa y otros documentos, estoy intentando localizar, en Italia, la familia de Maria Bistoni de Celestini.

  1. La bibliografia sobre el tema generalmente menciona La niña del bosque de Emilia Saleny (1917) como la primera película argentina dirigida por una mujer (Entre preceptos y derechos. Directoras y guionistas en el cine mudo argentino 1915-1933, Lucio Mafud 2021) Disponible en PDF en el sito de Imagofagia: http://www.asaeca.org/imagofagia/index.php/imagofagia/article/view/885