Nelly Carrère

"È passata una nuvola" (Flegrea Film 1918) soggetto di Nelly Carrère
“È passata una nuvola” (Flegrea Film 1918) soggetto di Nelly Carrère

Paris, Jeudi 13 Août 1925. J’ai reçu hier le douloureux télégramme suivant:

Frascati, 8 h. 10. Pauvre femme morte subitement. Profondément atteint. Affections. — Jean Carrère.

Le deuil qui frappe l’un des plus brillants collaborateurs de Comœdia, mon vieil ami Jean Carrère, et qui s’abat comme la foudre sur sa maturité rendue fragile par une récente et grave maladie emplira d’affliction, à Paris comme à Rome, de nombreux et fidèles esprits.

Nelly Carrère était une personne des plus distinguées et des plus agréables de ce qui fut la belle société d’avant-guerre. Eprise d’art, de belles-lettres, autant que de diplomatie et de politique, elle était restée en relations avec tout ce qui fréquentait le Quirinal et le Vatican, le palais Farnese et la villa Medicis, Florence et Naples, Milan et Venise, les journaux et les éditeurs italiens, amis ou adversaires de la France.

Chez les premiers, elle entretenait avec foi ardente et une persuasive habilité l’attachement à une cause parfois difficile à défendre; chez les seconds, elle dissipait avec clarté les amertumes, dissolvait avec rondeur les méfiances et changeait, pour le moins, en indifférence calmée ce qui la veille était une irritation en armes. En Nelly Carrère, la France eut en terre italienne, pendant plus d’un quart de siècle, le plus perspicace, le plus actif et le plus séduisant de ses missionnaires. Auparavant, son salon de Paris avait été le rendez-vous le plus élégant et le plus disert de la meilleure société artistique et politique. A Rome, ce fut mieux. Elle présidait avec goût au cercle diplomatique et littéraire qui, pardessus les Alpes — comme s’il n’y eût pas de frontières — réunissait via Boncompagni les natures les plus curieuses et les talents les plus vigoureux: Verga et D’Annunzio, la Duse et Zacconi, Boito et Puccini, Perosi et Leoncavallo, Mussolini et Rampolla, Boni, le regretté directeur des fouilles di Forum, et Tittoni, Maurice Barrès et Pierre Loti, Burnetière et Jaurès, Frédéric Mistral et de Mon, Coppée et Adrien Hébrard, Carolus Duran et Albert Bernard, etc., tous le noms et les plus pures gloires, dans que cependant des esprits moins doués fussent accueillis avec une grâce inégale. Pas un Français, en effet, ami ou simplement curieux de l’Italie, pas un italien, épris ou non de la France, ne s’adressait vainement, pour le plus petit renseignement ou pour la moindre clarté, à Mme Jean Carrère. Tantôt c’était un auteur français qu’elle traduisait pour le plaisir, dans un but de propagande patriotique, et tantôt un auteur italien dont elle voulait faire apprécier en France le suc savoureux. Comœdia, il y a huit jours, publiait la dernière traduction faite par Mme Carrère: une étude de Carlo Ratti sur le Pape et les belles-lettres. Brillante et informée, elle avait de nobles amitiés auxquelles le malheur la vit toujours fidèle. A travers une activité qui ne se démentait pas et qui allait jusqu’à une fébrilité inquietante, elle gardait l’équilibre d’une raison et d’un jugement que parait toujours une sensibilité charmante. Les grâces de la femme ne souffraient point chez elle des qualités sérieuses qu’elle possédait et qui, nourries par un travail quotidien acharné, finissaient par être la justesse et la convenance mêmes.

Atteinte d’une maladie de cœur qu’elle savait implacable, Mme Jean Carrère avait coutume de passer l’hiver à Rome et l’été à Frascati. C’est là qu’elle est morte, succombant sans doute è une de ses crises violentes et douloureuses dont je fus le témoin sous les pins parasols majestueux du Pincio. Il faisait un soleil splendide: c’était l’heure de midi. Rome baignait dans cette lumière qui n’est qu’à elle. Du landau grand ouvert où elle s’abritait, enveloppée dans de longs voiles et dans d’élégantes fourrures, Mme Jean Carrère fixa l’horizon du côté du Nord: « Vous allez partir, mon cher ami, vous allez regagner la France, notre beau, notre unique Paris… Je voudrais tant ne pas mourir sans les revoir. »

Dans l’émotion du souvenir, une crise se déclara. Il fallut la ramener chez elle avec tant de précautions qu’un moment celles-ci nous parurent inutiles.

Son vœu le plus cher n’aura pas été exaucé… Si les meilleurs enfants de France meurent ainsi sur la terre étrangère c’est, sans doute, qu’un destin mystérieux a fixé, hors de la patrie qui fut leur culte, le tarme de leur doux et lumineux apostolat.

Gabriel Alphaud
(Comœdia)

***

Roma, Agosto 1918. Nelly Jean Carrère, autrice di pregevoli opere letterarie che hanno conferito non a lei, ma al suo nome di battaglia, una solida fama, si è rivelata da qualche tempo — pur non mancando di dedicare tutte le sue energie di collaboratrice ad una delle più forti rappresentanze giornalistiche della Francia nostra sorella — una, diremo così, soggettista cinematografica di primissimo ordine; qui, la parola soggettista non va intesa nel deplorato senso oggi comune a tanti disgraziati mortali che fra una pausa e l’altra delle quotidiane abitudini hanno presa quella non mai abbastanza vituperata di servire per la scena muta sicuri di offrire all’industria cinematografica l’omaggio di rari gioielli, sì bene nel senso di una vera ed originale animatrice di quel genere d’arte, al quale non manca che… la parola per essere celebrato in quella forma più nobile che è il teatro drammatico. Così ella, dopo aver ricondotto nel mondo delle ombre le immortali figure di Paolo e Virginia e di Mignon, le quali appariranno più in là dinnanzi ai nostri occhi soffuse di tutta quella poesia onde si sono venute attraverso la leggenda, poiché sembrano creature impalpabili, nate dal sogno, ha dato allo schermo questo ultimo lavoro: È passata una nuvola, il quale ha pregi di originalità non comuni e certo costituisce per suo contenuto un passo sicuro verso quel nuovo indirizzo al quale ci sforziamo di far pervenire la produzione cinematografica italiana.

È passata una nuvola è un soggetto senza amore e senza morte, così, l’autrice afferma, ma l’amore c’è pur senza apparire, c’è nella vita e nel destino dei due personaggi principali — Dorina e Roberto — c’è nel precedersi logico di tutte quelle azioni che culminano nella felicità di due esseri fatti per intendersi, per accumularsi nella lotta contro quelle barriere che ci nascondono, che ci privano di orizzonti tante volte sognati e che mai raggiungeremo se la nostra volontà non saprà vincere.

Dirà il pubblico dell’esecuzione di questo lavoro. Tuttavia la Xeo cui è affidato il personaggio centrale del dramma è una sufficiente garanzia del successo. Ella è un’attrice che disdegna i lenocini della posa per conferire alla recitazione quella semplicità e quella verità alle quali sogliono improntarsi le azione reali della vita.

Più che arte la sua è manifestazione fedele di quei diversi stati, stati attraverso i quali passa l’umana coscienza. Sorprendere con un mezzo meccanico la nostra anima, non diversamente del come riusciamo a sorprendere i vari giuochi di luce nel mondo esteriore, equivale a riprodurre esattamente la verità. Tutto il resto non può sembrarci  che convenzionalismo, che imitazione. Ecco il credo di colei cui Nelly Jean Carrère ha affidato con fiducia grande il proprio lavoro. Il quale ha per altri non meno efficaci interpreti: il valoroso Dillo Lombardi, Amo Riccioni, un primo attore di qualità e la Elsa Villanis, nuova recluta dell’arte cinematografica.

E se a questi nomi aggiungiamo anche quello di Enzo Riccioni per quanto riguarda la parte fotografica, ben possiamo trarne speranze ed auguri per la Flegrea Film, la nota Casa romana, che affermatasi sulla via del successo con veri capolavori come Graziella di Lamartine e Manon Lescaut, si colloca fra le prime.
(In Penombra)

 

Il focolare spento – Film Genina 1925

Il focolare spento Film Genina 1925
Lido Manetti e Rina De Liguoro nel Focolare spento (1925)

Al Supercinema di Roma, marzo 1925. Il sublime amore materno che tutto dà e nulla chiede, alla cui felicità basta il sapere felice il figlio; l’eterno distacco dei figli dal focolare, al cui calore son diventati grandi e forti, per correre le strade del mondo e della vita, e ritornare, infine, stanchi e delusi, a riaccendere la buona fama familiare, a continuare la necessaria vita, a risoffrire il dramma dei genitori: ecco il tema che il Genina svolge in questo suo film Il focolare spento, che egli ha dedicato a sua Madre.

Tema certamente non nuovo, come non sono nuove le eterne passioni degli uomini; ed il cui contenuto, essenzialmente psicologico, offriva delle grandi difficoltà ad uno svolgimento cinematografico; difficoltà che il Genina ha superato con grande senso di arte e un’estrema sobrietà di mezzi.

Non si può raccontare brevemente la tenue trama del film, senza sciuparla, senza disperdere il valore di commozione ch’è dato dai significativi episodi e dall’intelligente taglio dei quadri: basti l’accenno fatto nella enunciazione del tema.

Una lode incondizionata va data agli interpreti: Jeanne Brindeau, che ha espresso il commovente amore materno; Rina de Liguoro, un’ammaliante sirena del palcoscenico; Ketty Boni, la custode del fuoco domestico, che domum manti, lana fecit; il Tedeschi, che ha creato un perfetto tipo di affettuoso vecchio amico di famiglia; il Cocchi, molto a posto ne “il padrone”. Lido Manetti, “il figlio”, avrebbe dovuto accentuare il distacco del suo spirito dall’affettuoso richiamo familiare; ma il Genina, pago forse di sviluppare il suo personaggio di “primi piano”: la Madre, non ha altrettanto curata la parte assegnata al figlio, la cui azione appare discontinua e non chiarissima.

Un commosso palpito di poesia pervade tutta la vicenda umana realizzata dal nostro valoroso Genina, che rivela, in questo film, la sua qualità di sicuro e profondo conoscitore dei cuori umani.

Mario Magic
(Il Corriere Cinematografico)

René Guissart opérateur français aux Etats-Unis

René Guissart, à droite de Ramon Novarro, pendant une prise de vues de Ben-Hur (1925)
René Guissart, à droite de Ramon Novarro, pendant une prise de vues de Ben-Hur (1925)

Dans notre continuel souci de nous déprécier nous-mêmes è nos propres yeux et à ceux de l’étranger, il y a une chose que nous oublions trop souvent et qui est cependant assez connue dans la corporation. Nos opérateurs sont, aux États-Unis, les plus recherches. Tous ceux qui ont été travailler là-bas (ils sont assez nombreux, beaucoup plus que nos compatriotes artistes) ont, sauf rares exceptions, conquis des places de tout premier ordre dans l’armée du film américain.

Parmi ceux-ci il en est un qui, parti là-bas depuis près de quinze ans, a été un des premiers opérateurs arrivés en Californie et fut vite le plus réputé cameraman des États-Unis. Qu’on ne croie pas que j’exagère; la preuve en est que lorsqu’il  s’est agi de tourner ce fameux Ben-Hur qui a fait couler tant d’encre et qui a fait dépenser un nombre considérable de millions (c’est, dit-on, le film le plus  important et le plus coûteux qui ait jamais été tourné) c’est à lui qu’on a songé pour prendre la grosse responsabilité de la photo d’un film de cette importance, et pour diriger les quatorze autres opérateurs, tant américains qu’italiens, qui enregistrèrent ce film (!). Il est réconfortant de penser que les Américains, si infatués qu’ils soient d’eux-mêmes, n’avaient pas hésité à confier cette tâche énorme à un Français au lieu d’en charger un de leurs compatriotes.

Une courte biographie de René Guissart montrera d’ailleurs qu’il était digne de la confiance qu’on lui a témoigné.

Il débuta en France, à l’Eclair, en 1910, sous la direction de MM. Vandal et Jourjon, et il travailla avec plusieurs metteurs en scène de la maison, notamment avec  M. Jasset, qui réalisa beaucoup des grandes films de l’époque.

Puis, l’Eclair l’envoya en Amérique, ou il tourna pendant un an; il alla ensuite dans l’Ouest Américain construire, toujours pour l’Eclair, un petit studio qu’il aménagea d’une façon moderne… pour l’époque! La Metro l’engagea à son tour pour construire, ou plutôt pour faire construire et équiper le bâtiment qui fût le premier studio et le berceau de la firme.

Revenu en France, il n’y resta pas longtemps: l’Eclair l’envoya à Londres, à Berlin, dans toute l’Europe prendre des films qui firent sensation.

Mais il avait la nostalgie de l’Amérique: il repartit; c’était en 1913.

David W. Griffith l’engagea: il tourna sous sa direction La Naissance d’une Nation, Intolérance; puis, sous la direction d’Allan Dwan et la supervision de Griffith, et aussi le tout premier film que réalisa Douglas Fairbanks.

Ensuite, Maurice Tourneur le prit comme chef opérateur et aussi, à l’occasion, comme metteur en scène; ils travaillèrent ensemble trois ans. Puis René Guissart reprit sa liberté. Il tourna alors avec quelques-uns des plus grands réalisateurs  américains; il eut l’occasion notamment de photographier des films tournés par Jack Holt, Anita Stewart, Pauline Frederick, Douglas Fairbanks, John Gilbert, Monte Blue, auquel entre parenthèses, il ressemble beaucoup, à la taille près, etc.

Puis ce fut Ben-Hur, dont la photo que nous n’avons pas encore pu juger en France, mais qui est paraît-il remarquable, lui valut des propositions royales de la part de plusieurs grandes maisons des États-Unis.

René Guissart, en se trouvant, au bout de si longues années d’absence, tout près de son pays (on sait que Ben-Hur fut tourné en Italie) éprouva l’irrésistible désir de revoir la France. Il revint à Paris, où, tout de suite, il rencontra M. Edward José, qui l’avait connu et fait travailler en Amérique, et qui, réalisant Les Puits de Jacob, venait de perdre subitement son opérateur Jacques Bizeul, Guissart le remplaça. Maintenant, il ne veut plus repartir; la valeur artistique de plus en plus grande de nos films l’encourage à rester. Il faut s’en féliciter car, naturellement, René Guissart possède à merveille cette fameuse technique américaine tant vantée que connaissent mal beaucoup de nos réalisateurs ce qui les empêche de créer des œuvres qui trouvent preneur aux États-Unis.

René Guissart tourne actuellement d’après un procédé nouveau, breveté, et dont l’emploi  généralisé pourrait bien révolutionner l’industrie cinématographique, une serie de films documentaires montrant nos paysages, nos monuments les plus connus et les plus caractéristiques; ces films seront envoyés en Amérique et, là-bas, les artistes américains, tournant des œuvres dont l’action se déroulera en France, joueront dans ces paysages, devant ces monuments. Jadis, on utilisait le truc classique d’intercaler dans l’action des bouts de documentaires montrant la ville où était  censée se passer cette action. Aujourd’hui grâce à un truquage ingénieux et que les auteurs ne veulent naturellement pas dévoiler, les artistes évolueront dans le cadre choisi. Voilà un grand progrès qui fera réaliser une notable économie aux éditeurs! Il est vrai que cette invention risque de ne pas rencontrer l’approbation des artistes et de metteurs en scène qui seront privés de voyager, ce qui est certainement un des plus grands charmes de leur métier.

Édouard Roches, Paris novembre 1925
(mon-ciné)