L’atleta fantasma, Raimondo Scotti 1919

Torino, novembre 1919

Protagonista de L’atleta fantasma è Mario Guaita-Ausonia, l’atleta classico e perfetto, l’interprete famoso di Salambò e Spartaco. Questo fatto caratterizza il film e precisa il genere a cui esso appartiene. Film d’avventure sensazionali e di audaci exploits. E questi films si accettano così come sono. Essi non hanno pretese d’arte e il loro scopo è quello di divertire. Si divertono, sono buoni e belli; sono cattivi e brutti, se annoiano.

L’atleta fantasma diverte e interessa dal primo quadro all’ultimo. Gli avvenimenti si avvicendano e s’intrecciano senza tregua; l’azione si svolge rapida e leggera, di sorpresa in sorpresa, mantenendo desta l’attenzione dello spettatore sino alla fine. Una graziosa vicenda d’amore accresce l’interesse dell’avventura e si conclude lietamente. L’atleta fantasma è dunque un lavoro riuscito che torna di lode alla Casa Editrice A. De Giglio.

A questi pregi, unisce quello d’una signorile e polita messa in scena, merito e fatica speciale di Raimondo Scotti, e d’un ottima fotografia. Mario Guaita Ausonia, oltre che atleta perfetto, si mostra attore corretto ed elegante. La sua forza obbedisce a una legge d’armonia che la domina e la plasma nei suoi movimenti e nelle sue manifestazioni, sicché procura un vero godimento estetico e la trasforma in arte.

Gli altri interpreti discreti.

Bertoldo
(La Vita Cinematografica)

Giuliano l’Apostata – Bernini Film 1919

Giuliano l'Apostata - Bernini Film, Roma 1919
Giuliano l’Apostata – Bernini Film, Roma 1919

L’Autore, rievocando la complicata figura di Giuliano l’Apostata, non ha voluto trar partito dalle opere poetiche illustri preesistenti: nel ricomporre l’immagine del folle eroe, del mistico a rovescio, così come balza dalla pagine che ci restano di lui, sottraendola ai troppi fulgori degli apologisti e ai spessi veli densi di ombre dei diminutori, egli ha piuttosto seguito l’ammaestramento di Gaetano Negri che sul Giuliano ci ha lasciato una delle opere più insigni che onorino gli studi storici italiani.

Attraverso una indagine logica e non partigiana, la nuova iconografia ci offre, perciò, un protagonista vivo e palpitante che per portare nell’anima, sin dal suo primo apparire, i germi dissolvitori di un dissidio etico ed estetico, ha tutti i segni peculiari dell’eroe tragico per eccellenza. Proteso con la fantasia verso il passato, ben entro il suo secolo per temperamento, pagano nel sogno e galileo inconsapevole nella realtà, inutile restitutore di vita a cose inclite ma morte e negatore di vita a cose nuove e vive, romano per aspirazione e bizantino per consuetudini, innamorato della bellezza e dalla bellezza spesso lontano per deformazioni filosofiche, poeta sempre anche nell’azione, e, in conseguenza, dell’azione non moderatore ma schiavo: ecco il Giuliano che Ugo Falena ha ritratto.

Ma se vivo è l’eroe tragico che ci offre la nuova visione, vive sono la tragedia storica e la tragedia umana nelle quali l’inutile eroe si dibatte. Da un lato, l’ultimo cozzo di due civiltà, l’una in trionfale ascesa. Dall’altro, accanto alle passioni sorelle, l’amore che urla le sue angosce e tende agguati fatali.

Due nomi di donna ricorrono frequenti vicino al nome di Giuliano: Eusebia, Elena. Due nomi e due lacune della storia. E, su quelle lacune, cumuli di dubbi, di ipotesi, di leggende, di accuse, di difese. Naturale che il drammaturgo prendesse la mano allo studioso. Che il poeta liberamente interpretasse i silenzi e colmasse le lacune della storia e che rivendicasse alla fantasia il diritto d’integrare — più vicino al vero di quel che si creda — le figure enigmatiche delle due donne imperiali. Che, cioè, le due incorporee eroine si tramutassero in due figure consistenti — persone eminentemente tragiche — e in stimoli potentissimi di poesia. Poiché se la vicenda passionale s’intreccia attorno ad esse, il dissidio spirituale che macera Giuliano bene in esse trova virtù di simboli. Non è pagana per istinto e per educazione la greca e raffinata Eusebia? Non è cristiana la pia e modesta Elena?

Dinnanzi a uno scenario che s’impernia sopra una figura storica universalmente nota e pur poco conosciuta negli avvenimenti della vita; che ha per sfondo quella Bisanzio costantiniana così fastosamente pittoresca e foscamente tragica; e che si snoda senza frammentarietà di movimenti, unito e serrato, tra le spire di un’azione quanto mai ricca di passione e d’interesse (caso quasi eccezionale nelle visioni storiche), la Bernini Film non ha badato a sacrifici. Essa ha tradotto in forme tangibili la magnifica figurazione, preoccupandosi, anzitutto, del criterio che un’industria artistica ha diritto, oltre che a vivere, ad imporsi, soltanto quando è essenzialmente arte. Ecco perché vicino al nome di Ugo Falena, ha voluto quelli di Luigi Mancinelli e di Duilio Cambellotti.

Luigi Mancinelli, l’insigne sinfonista nostro, che componendo pel Giuliano un poema vocale e strumentale per piccola orchestra (per piccola orchestra: cioè eseguibile in qualsiasi sala di proiezione) non soltanto ha arricchito il patrimonio musicale patrio di nuove pagine ispiratissime, ma ha consentito che l’arte cinematografica, indipendentemente della sua autonomia, ripetesse, e con maggior adesione tecnica tra schermo e orchestra, il nobile esperimento del poema sinfonico illustrato. Duilio Cambellotti, che con l’erudizione e la genialità del suo temperamento d’artista, ha permesso alla finzione di vivere in un’atmosfera di impressionante realtà storica.

La Poesia, la Musica, la Pittura, così, ancora una volta, si sono trovate unite con armonia squisita per il trionfo di un’opera d’arte.

La Bernini Film

Napoli, marzo 1921. Giuliano l’Apostata è una di quelle riproduzioni storiche che si riannodano alle più gloriose tradizioni dell’arte cinematografica italiana. Ricchezza di messa in scena, mirabile affiatamento di esecuzione, dovizia di particolari artistici, ampiezza di respiro nella trama come nella concezione del soggetto, novità di esecuzione, cura minuziosa dei dettagli ed efficacia pittorica nella parte tecnica fanno di questa film un modello artistico che merita di essere tenuto in altissima considerazione dagli studiosi dello sviluppo artistico della cinematografia.

La figura amletiana di Giuliano ci appare poderosamente sagomata nel contorno caratteristico e policromo di quel periodo storico in cui due civiltà si sovrappongono stridendo nel cozzo immane con bagliori di fiamma.

Se si dovesse fare una profonda dissertazione sulla figura filosofica di Giuliano, così come l’ha concepita Ugo Falena, si andrebbe a cozzar Dio sa contro quali paradossi estetici. Ma l’opera dello scrittore moderno vuol essere di poesia e dobbiamo accettarla semplicemente come tale. Evidentemente il poema muto è quanto mai suggestivo e non avrebbe potuto essere trattato con maggiore perizia.

In sostanza l’evocazione estetico-storica di Ugo Falena mostra le sue origini prettamente artistiche e riesce ad incatenare l’interesse del pubblico, anche quello di più modeste cognizioni, dalla prima all’ultima scena.

Il dissidio spirituale e sentimentale di Elena ed Eusebia dà, magari a scapito del significato storico, il tono drammatico alla vicenda. L’amore ingenera come sempre le più ardenti dispute passionali ed appassiona gli spettatori sino all’epilogo drammaticissimo. Tutto ciò, pur non alterando la linea sobriamente artistica del dramma, lo arricchisce di quell’interesse teatrale che è il segreto del successo per simili composizioni.

Duilio Cambellotti nei suoi figurini e nei suoi disegni si è mostrato artista impareggiabile. Non crediamo di scoprire all’ultim’ora questo esteta di buona fama: accettiamo semplicemente questa sua nuova fatica e l’apprezziamo sinceramente. Molto c’è di fantasia nelle sue figurazioni, ma sfidiamo il più dotto dei ricostruttori tedeschi a non dover ricorrere alla fantasia trattando un’epoca che ha lasciato delle traccie così confuse ed incerte. Ricordiamo infatti che Giuliano l’Apostata ha vissuto in un periodo turbinoso, rivoluzionario e, dal punto di vista delle arti, sufficientemente confusionario.

Il Graziosi nella parte di Giuliano si mostra attore efficace, sobrio e di buon temperamento. La Leonidoff nella parte di Eusebia ha trovato una simpaticissima linea estetica e vi si mantiene dal principio alla fine. La Malinverni è un’Elena fine, elegante, corretta, affascinante nel suo ruolo graziosissimo. Il Mascalchi, Marion May e Rina Calabria sono tutti a posto.

Le masse sono addestrate con notevole perizia e seguono il capriccio dell’inscenatore con prontezza. L’esecuzione tecnica è ottima.
(La Cine-Fono)

I Cancelli della Morte – Victoria Film 1919

Una scena del film I Cancelli della Morte (Victoria Film, Roma 1919)
Una scena del film I Cancelli della Morte (Victoria Film, Roma 1919)

Dal romanzo di Rafael Sabatini (The Gates of Doom, 1914) – Riduzione cinematografica in 2 serie. Produzione Pietro Pesci Feltri – Victoria Film, Roma 1919.

Argomento

Prima Serie

Nel regno di Vestilia da quattro anni i partiti reazionari, preso il sopravvento, hanno scacciato la Regina e l’infante dell’antica stirpe legittima per sostituirli sul trono con un Re straniero ed autocrate. A Roma vive la spodestata. Un suo fedele, il Capitano Tceski, fuggito dalla patria per una forte taglia gravante la sua testa di cospiratore, si offre di rimpatriare, correndo un grave rischio pur di riporre sul trono i sovrani legittimi, cospirando con gli amici fedeli al vecchio Regno. Sotto il nome di Gaynor rientra in Vestilia. Si vale di commendatizie fornitegli dal Ministero Plenipotenziario in Roma, che è in segreto un fervente partigiano della Regina esule.

In casa del conte Orlin si riuniscono, col pretesto del gioco, spesso a complotto, gli stasiani (così sono chiamati i partigiani della Regina Stasia). Gaynor vi capita sapendo di trovarsi fra i correligionari e poiché il conte Orlin ha perduto nell’ultima partita tutte le sue risorse, gioca con lui la somma guadagnata in quella sera, esigendo dal Conte, come posta sua personale, la cessione del diritto di corteggiare la sua fidanzata. Questa è una ricca ereditiera che Gaynor vorrebbe sposare per consacrare la fortuna agl’interessi della sua Regina. Orlin vince la partita, e con essa quanto gli abbisogna per far fronte alle difficoltà del momento, in attesa delle sue nozze con Damaris Barnumm. Gaynor è ospitato al Castello del Barone di Grignan, vecchio amico di suo padre, che è lo zio tutore della ricca ereditiera. Per una presentazione sbadata della Baronessa egli scambia Elena, la figlia del Barone, per la nipote Damaris e viceversa. Le ragazze per divertimento lasciano che Gaynor resti nell’inganno e questi, che non crede venir meno all’impegno assunto colla perdita della strana partita, corteggia Damaris credendola Elena.

Frattanto si stanno ordendo complotti per riporre sul trono la Regina Stasia. Lo stesso Barone di Grignan è in sospetto del governo perché fu dignitario della vecchia Corte.

Una sequela di circostanze e di fatti per i quali il fidanzamento di Damaris con Orlin viene rotto, spingono il Conte per gelosia e completa rovina finanziaria, a rivelare al primo Ministro che Gaynor non è altri che il Capitano ricercato Tceski. I lauti compensi del suo spionaggio lo salveranno forse dalla rovina e lo vendicheranno dell’abbandono di Damaris, innamorata di Gaynor.

E Gaynor viene arrestato, e secondo le leggi di Vestilia, condannato al capestro.

Seconda Serie

Gaynor è pianto morto al Castello di Grignan e Orlin si crede sbarazzato di lui.

Dopo l’impiccagione, il corpo di Gaynor fu affidato agli aiutanti del giustiziere per il seppellimento: ma i manigoldi pensarono di ritrarre un utile da quel frutto dell’albero senza foglie: vendettero ad un celebre anatomista il cadavere, che alla prima azione del ferro anatomico rivela sintomi di vita non ancora spenta. Lo scienziato con salassi e processi speciali rianima il giustiziato (Il caso non è fuori del possibile, perché un impiccato non lasciato a lungo sotto l’azione del capestro, può essere salvato, se cure speciali e pronte vengono prodigate al corpo pur reso inerme).

Orlin incalzato e minacciato d’arresto dal suo grande creditore, intende ad ogni costo riallacciare il fidanzamento con Damaris e per costringerla alle nozze, denuncia come cospiratore lo zio, Barone di Grignan che viene arrestato; poi promette alla fanciulla la salvezza e la liberazione di lui, se acconsente a sposarlo. Damaris, a questa sola condizione, si vota al sacrificio della sua esistenza ormai spezzata dalla fine tragica del suo Gaynor. Ma questi tornato alla vita con la identità assicurata di capitano Gaynor, poiché il capitano Tceski era sparito dal mondo sulla forca di Kosmor, giunge in tempo per salvare Damaris che è sul punto di celebrare le tristi nozze con il conte Orlin. Il disgraziato, visto che ogni scampo alla sua salvezza è chiuso, tronca la sua esistenza.

L’usurpatore e i suoi Ministri sono scacciati, e sul trono di Vestilia tornano i sovrani legittimi.

Gaynor, a cui un giorno il destino chiuse i cancelli della morte, si appresta ad aprire quelli della vita alla figliolanza che vedrà la luce nel suo matrimonio con Damaris.
(dalla brochure del film) 

Secondo diverse fonti (Il cinema muto italiano 1919 – il film del dopoguerra, Vittorio Martinelli p. 44; Le imprese di produzione del cinema muto italiano, Aldo Bernardini p. 692), la casa di produzione del film sarebbe la Victoria Film di Milano, mentre dalla brochure risulta che la produzione è della Victoria Film di Roma, direttore generale Pietro Pesci Feltri. Copertina della brochure su Instragram: @inpenombra