Diana Karenne

La missione del Cinematografo

Contrariamente all’opinione generale la quale sostiene che quella del cinematografo non è un’arte, si può affermare che fra tutte le forme creative essa è la più complicata, la più complessa e la più difficile — in quanto le qualità che si richiedono negli attori non devono accontentarsi di essere istintive ed innate, ma devono essere integrate e perfezionate da una progressiva educazione del gusto e dell’intelletto: a quella stessa maniera che le pietre preziose acquistano maggior valore quando dal loro stato rozzo e naturale sono ridotte, sotto la mano esperta del lavoratore, a gioielli.

E non è vero che la forma esteriore possa scindersi dalla sostanza poiché forma e sostanza sono due elementi che si integrano e si completano a vicenda per raggiungere quella perfezione artistica capace di suscitare una sensazione vibrante di ispirazione e di creazione è possibile di affinare ed educare l’anima ed il sentimento dello spettatore.

Questa arte muta a cui è negata la più grande forza comunicativa umana, quella della parola, (la quale arrivando alle coscienze genera sempre una precisa influenza) richiede e rende necessaria nell’attore una potenza suggestiva, e starei per dire magnetica, tale da potere riprodurre i sentimenti ed i pensieri umani attraverso il silenzio plastico: perfezione, questa, che ben pochi attori sanno raggiungere perché troppi pochi sono quelli che si dedicano allo studio di conseguire questa potenza creativa e comunicativa con coscienza di responsabilità.

Da ciò deriva che la critica mette l’arte del cinematografo sull’ultimo gradino della scala dell’opera creativa.

Il cinematografo avrà certo un grande avvemire, ma ha un mediocre presente: e ciò tanto nel campo artistico quanto in quello industriale. Si può dire che presentemente il cinematografo si dibatte fra il brutto ed il mediocre; ma si deve affermare che quando l’attore e l’industriale avranno trovato la vera via — quella dell’arte — allora anche l’industria trionferà perché rappresenterà la lotta fra il bello ed il perfetto.

Sarebbe forse, a questo proposito, conveniente di dividere la produzione cinematografica in due grandi categorie:

— quella dei film sensazionali, il successo dei quali è basato tutto sulla varietà dell’intreccio e sulla suggestività dell’azione esteriore;

— quella dei film educativi, in cui l’attore trasmette al pubblico tutta la divina sofferenza della subispirazione e la gioia tormentosa della sua creazione.

Si deve riconoscere con franchezza che noi attori cinematografici non abbiamo finora dato nulla di notevole, in senso intellettuale, e ciò dipende dal fatto che fino ad oggi non ci siamo preoccupati di sentire tutta la profonda importanza artistica del cinematografo. Noi ci avviciniamo all’obbiettivo, che rappresenta per noi l’occhio dello spettatore, con una inconscia prepotenza che è male sopportata dal pubblico, il quale con la sua critica indulgente e superficiale impoverisce l’importanza del problema ed aumenta così la difficoltà della soluzione. Invece manifestando la perfezione, dobbiamo incatenare a noi stessi il pubblico e farne il nostro migliore collaboratore: solamente così riusciremo ad ottenere una critica dignitosa e seria.

Tutti uniti nello stesso impeto, animati dalla stessa idealità, pervasi dallo stesso desiderio di raggiungere il meglio — dobbiamo cercare di superarci l’un l’altro in questa nobile gara che ci porterà verso la perfezione che sugli scudi delle nostre nuove battaglie dovrà avere un blasone simbolico: quello dell’Arte.

Diana Karènne
Roma, febbraio 1918

Il cinematografo nel dopoguerra

In Penombra Roma Dicembre 1918

Novembre 1918

Scrivo mentre si riaprono i cinematografi, i quali, come sapete, furono chiusi per l’affare della febbre spagnola. In proposito facevo ieri l’altro la seguente riflessione: « Tutti i malanni ormai si devono attribuire al cinematografo. L’arte, dicono, va degenerando col cinematografo. E la morale poi? Oh! la morale non è stata mai così offesa come dal cinematografo, poveretta! Meno male che la censura — Dio la benedica! — ha tratto fuori la sua durlindana, se no come andava a finire? All’inferno, s’andava a finire. Ed ora che c’è l’epidemia, di chi è la colpa? Ma del cinematografo, naturalmente. E voi vedrete che quando si farà la storia della guerra si accerterà che fu proprio il cinematografo a dar l’incentivo! ». Ma l’epidemia è stata quasi del tutto debellata, e la guerra è stata gloriosamente ed eroicamente vinta.
Ma che farà il cinematografo nel dopoguerra?
Come è noto, dalle molteplici e pletoriche commissioni del dopoguerra il cinematografo è stato escluso totalmente. Il governo continua a fare il cieco in fatto di cinematografo, e ciò comincia ad essere veramente grave. E poi avviene che quando un parlamentare vuole interessarsi di cinematografia nazionale, ecco che salta il Bellotti, nostra croce ormai e nostra delizia.
Ma che farà il cinematografo pel dopoguerra? Industriali, attenti!
Taccuino di Hec

Dicembre 1918

Il fenomeno dell’accanimento col quale la stampa quotidiana, i legislatori pubblici e i Sacerdoti della Bellezza Pura — con tre maiuscole come era di moda ai bei tempi del simbolismo trionfante — combattono il cinematografo, non è nuovo nella cronaca dei nostri tempi. Le stesse lamentazioni si ebbero per l’operetta che doveva uccidere l’opera lirica; per il caffè concerto che doveva uccidere il teatro, per il romanzo che doveva uccidere la letteratura, per il giornalismo che doveva uccidere il libro. Tutte le volte che una nuova forma d’arte — e dico “forma d’arte” intenzionalmente — incontrava il favore del pubblico, i guardiani della morale e del buon gusto scendevano in campo con tutte le loro forze mobilizzate.
È noto, infatti, come l’industria cinematografica sia una delle grandi industrie del mondo. La terza, mi dicono, che viene subito dopo il commercio del carbon fossile e del grano. Ora, in questo prodigioso sviluppo, l’Italia, per una quantità di circostanze fortunate, è la seconda nazione produttrice di films e si trova classificata a pena dietro l’America. Ebbene, tutte le polemiche, tutti i decreti restrittivi, tutte le interpellanze, tutti i progetti di legge concorrono oramai a questo unico scopo: uccidere questa industria e favorire l’importazione delle films straniere. Gli sforzi che fa l’America per batterci su questo terreno commerciale sono inauditi. Aspettando che la fine della guerra le permetta di stabilire da noi qualche grande succursale delle sue case più famose, tende con tenace abilità a conquistare il mercato. E per lei non è difficile, se si pensi che la sola vendita di una film negli Stati Uniti, paga interamente le spese di produzione, in modo che può guadagnarci ancora molto cedendola a prezzi irrisori alle altre nazioni; ed è quello che fa. Di più, in certi paesi ha esercitato una specie di boicottaggio a suo favore: rifiutandosi, cioè, di vendere pellicole proprie a tutti quei cinematografi che non mettano in proiezione esclusivamente films americane, e chiudendo così automaticamente il mercato alle case rivali. (…)
Diego Angeli 

Lettera aperta a S. E. Berenini Ministro della Pubblica Istruzione. Eccellenza, vorrei trovarmi uno di questi giorni a quattro occhi con Lei per dirLe in un orecchio che — a guerra vittoriosamente conclusa — è lecito a un Ministro italiano rendersi direttamente conto delle cose del cinematografo, e come arte e come industria nazionale. (…)
Ora Le so dire che la produzione cinematografica italiana è ottima merce, e fino a ieri ottimamente proficua. Fino a ieri! Perché ormai la concorrenza americana va a poco a poco soppiantandola nei mercati esteri ove dominava egemonica. Fra non molto, se non si muta rotta, sarà un’altra industria italiana di grande esportazione che si ridurrà a cosa sfinita. E sa Ella come? Per gli inciampi che lo Stato italiano va creando a ogni levata di sole, con una così gioiosa fantasia inventiva che se le fosse volta a favore, Dio solo sa a quale grandezza e potenza smisurate potrebbe farla salire. Gli inciampi sono di varia natura: alcuni inerenti al farraginoso meccanismo dello Stato, come le lentezze burocratiche che, durante la guerra, sono riuscite a tanto da impedire materialmente l’esportazione delle pellicole. Ma altri guai si sono aggiunti; e precisamente i pregiudizi moralistici che il deputato Belotti ha elevato con prosopopea maccheronica a vere e proprie inibizioni e, — giunta alla derrata — i pruriti intellettualistici del senatore Molmenti che, avido com’è di nomea, non lascia intentato alcun passo per farsi avanti, pestando i calli e rompendo le scatole alla gente che lavora sul serio. Metta in pratica, Eccellenza, le proposte dei due poveruomini, e mi dica in qual modo l’industria cinematografica potrà vivere e riprendere la via dei grandi commerci se, per ogni pellicola, l’industriale dovrà sottostare a una lunga serie di controlli e di collaudi, passando dalla commissione dei padri di famiglia alla commissione dei dotti, discutendo commissario per commissario e quadro per quadro prima lo scenario scritto, poi la prova proiettata sullo schermo, infine il film compiuto. (…)
Tutta la questione è qui. Il deputato Belotti va giurando e spergiurando che la nostra produzione cinematografica è merce da bordello la quale appesta la nazione, e il senatore Molmenti non gli par vero di tenergli bordone tempestando che, se non è proprio peste, è per lo meno volgare contraffazione di armoniosa bellezza. (…)
Tomaso Monicelli 

(tratto da in penombra, Roma, dicembre 1918)

Morte che assolve – Raggio Film 1918

Morte che assolve Raggio Film Milano 1918
Brochure originale del film

Commento

È legge di natura non sfuggire agli affetti umani, e, spesso, chi non li apprezza a tempo, li invoca quando l’Inevitabile Dolore piega l’orgoglio alla sua scuola purificatrice.

Nel trionfo dell’amore, l’egoista brutale può diventare generoso fino al sacrificio della sua stessa vita, e il mondo che continua, si inchina riverente dinanzi alla

Morte che redime

… La scorciatoia porta alla cascata presso al Gran Burrone.

Il cammino è deserto. La madre stringe penosamente a sé la piccina, mentre la tosse insistente pare la spezzi il cuore.

Il fragore dell’acqua che precipita, la scuote con brividi di freddo e di paura.

Un passo affrettato si avvicina al cespuglio che la ripara, e Maddalena rivede il marito brutale, che insegue un’ombra lontana.

Inseguitore e inseguito formano tosto un corpo solo…

Il fragore della cascata à soffocato un urlo!

“Dio perdonami se l’ho maledetto!„

e nell’ultimo fremito, l’infelice copre convulsamente gli occhi della piccina, perché l’innocenza non veda l’orrore…

La cascata continua il suo ritmo egoista contro ogni voce, ma pure giunge sulla strada maestra il gemito affievolito dell’orfanella; ed un’anima pietosa lo sente, lo segue…

Così il destino prepara le sue fila per la redenzione di un ribelle alle leggi del cuore.

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Morte che assolve
Cinedramma di Francesco Serravalli
Interpreti  Comm. Ermete Novelli – Emilio Piamonti – Ettore Piergiovani
Elettra Raggio – Giulia Frampolesi – Accoretti
Direzione artistica dell’Avv. C. A. Lolli
Fotografia di Mario Bacino
Produzione Raggio Film – Milano 1918
(dalla brochure originale del film – archivio in penombra)

Recensione
Scenario originale, interessante e chiarissimo, fotografia quasi sempre ottima, personale di primo ordine.
Tali sono, secondo me, i principali pregi di questo eccellente lavoro della casa milanese.
Ma ciò che in esso maggiormente risalta anche all’occhio del profano è un perfetto equilibrio tra l’azione e l’ambiente.
È chiaro che qui si è in presenza di una mente direttrice non comune, di un inscenatore, che sa quel che sia l’arte cinematografica.
Mi dispiace di scrivere certe cose, ma è un fatto che da qualche tempo i nostri direttori artistici sembrano aver perduta ogni più elementare nozione cinematografica, violazioni continue della prospettiva, assenza di buon gusto nel taglio dei quadri, disprezzo del colore, nessuna cura nella scelta di ciò che deve incorniciare i quadri sia interni che esterni, disordinatezza nell’azione mimica dei singoli interpreti e delle masse, abuso di primi piani inutili e didascalie incomprensibili. La Raggio Film, con questa sua nuova opera, ha dimostrato, invece, di possedere un direttore cosciente delle vere mansioni dell’arte muta, e infatti egli ha saputo scegliere, muovere e colorire i suoi quadri come pochi altri, curandone con discernimento ogni particolare, e non lasciando agli interpreti nessuna iniziativa estranea od esorbitante della più rigorosa figurazione del dramma. Egli ha dimostrato inoltre come, anche svolgendo l’intero scenario a Villa Borghese, a Tivoli e nella Villa d’Este, si possano presentare degli ambienti ricchi di bellezze naturali, senza che traspaia il luogo comune.
Forse il personale femminile, in Morte che assolve, poteva essere migliore: c’è però Elettra Raggio, e se anche ella non è una bella donna, ha nondimeno una figura così intelligente ed espressiva, che vale più di tante dive bellissime, ed agisce con tale naturalezza ed abilità, che in certi momenti è perfino adorabile.
Viceversa il personale mascolino non poteva essere scelto con più fortuna. Ermete Novelli è sommo come fu sempre, è forse l’unico degli attori, venuti dal teatro di prosa, che abbia portata nella cinematografia una impronta di originalità e di perfetta conoscenza dell’arte.
Il pubblico dei cinematografi deve essere grato alla Raggio Film di aver raccolto in questa pellicola gli ultimi lampi del genio drammatico del grande scomparso.

Tito Alacevich
(Film, Napoli, 23 febbraio 1919)