Erich von Stroheim

Erich von Stroheim

« Erich von Stroheim ci lascia un’opera che appartiene soltanto a lui. Un quarto di secolo non ha potuto alterare la sua insolita originalità. Un quarto di secolo! Tanti anni sono passati da quando l’implacabile macchina di Hollywood ha eliminato l’autore che è senza dubbio, dopo Chaplin, il più grande tra tutti quanti lasciano sullo schermo l’impronta di un proprio stile. Un quarto di secolo prima di morire, Stroheim era già stato ucciso dalla sciocchezza degli uomini.
Un autore di genio è colui che crea senza imitare e trae dal proprio intimo il meglio di se stesso. Nel nostro mestiere, in cui regnano in modo endemico l’equivoco e la confusione dei valori, quanto sono quelli che corrispondono a tale definizione? Non importa quanti, ma Erich von Stroheim è il primo di tutti. Non deve nulla a nessuno e noi tutti, a quest’uomo che è morto povero, siamo debitori di qualcosa ».
René Clair 1957

Credo che l’ottanta per cento del pubblico cinematografico di oggi, composto in gran parte di giovanissimi e di iloti ormai ubriachi di immagini e del tutto immemori di quanto hanno visto durante la loro carriera di spettatori, non abbia mai visto, e non ricordi, Erich von Stroheim sullo schermo. Quanto a coloro che conoscono i film da lui diretti sono (oltre al provvidenziale Peter Noble, che li ha visti tutti ed è il principale responsabile del rifiorire di studi sul regista austriaco 1) pochissimi. A voler essere ancora più sottili si può addirittura affermare che nessuno ha mai visto un film di Stroheim

« Io ritengo di aver fatto soltanto un film, ma un grande film, in tutta la mia vita, e nessuno l’ha visto. Gli avanzi del film, tagliuzzati, passano sotto il nome di Greed ».
Erich von Stroheim

L’unico film, pertanto, di cui Stroheim riconosca del tutto la paternità (a parte quelli che ha pubblicamente sconfessati) è questo misterioso Greed, e Stroheim stesso afferma che il « suo » film nessuno lo ha visto. È questo, pertanto, uno degli aspetti, forse il più singolare della sua personalità: quello di essere stato celebrato, osannato, vilipeso e — dopo il suo decesso — pianto come uno dei più grandi registi della storia del cinema, benché la sua opera si conosca a pezzi e male e pochissimo. Simile in questo ad alcuni grandi classici della poesia greca o cinese, Stroheim se ne distacca per l’assoluta precarietà che circonda la sua produzione: è lecito infatti chiedersi se le sue opere resteranno nella storia dell’arte. La risposta è problematica: che cosa — infatti — di tutto il cinema resterà? Non lo sappiamo, ma se resterà almeno la storia del cinema resterà Stroheim.

« Regolarmente, ogni mattina alle otto, Erich von Stroheim si presentava nell’anticamera dell’ufficio di D. W. Griffith. Gli faceva recapitare un biglietto la cui formula era sempre la stessa: “Erich von Stroheim attore, scenografo ed esperto militare, porge i suoi saluti devoti e gradirebbe sapere se il signor Griffith ha un incarico di riguardo da affidargli nel suo prossimo film”. Lo consegnava all’usciere, e aspettava tutta la mattinata. Poi se ne andava, lasciando un altro biglietto: “Se il signor Griffith ha bisogno di me, può cercarmi nel mio ufficio” ».
Peter Noble

Cominciò così all’insegna della più solenne dignità, eppure negli studios di Hollywood lo presero dapprima come comparsa, poi vennero le prime parigine, per l’ufficiale austriaco che aveva rotto con la patria. Lo aiutò la guerra, il suo viso in vicende di propaganda anti austro-ungarica funzionò alla perfezione. Carl Laemmle, l’inventore del divismo, era lì, come un cane da tartufi, ad attendere il tipo “buono” da lanciare. Era un “cattivo”, questo Stroheim; venne lo “slogan” che tutti sappiamo a memoria: « l’uomo che vorreste odiare ». Ed il pubblico, per contraddizione, lo amò subito.
Tempi favolosi per l’ex-assistente di Griffith che in breve tempo si conquista tutti col suo fascino. Dirige due film in uno dei quali si permette perfino il lusso di non apparire. Ma The Devil’s Passkey deve averlo fatto riflettere profondamente, e d’altra parte tutti lo reclamano. Eccolo scriversi addosso la più straordinaria apologia.

« La rappresentazione esatta della vita, ecco quanto cerco di realizzare. Il più grave handicap del cinema americano è una specie di ristrettezza morale… il grosso pubblico non è quel povero di spirito che immaginano i produttori. È stanco di paste al cioccolato e di scatole di confetti: reclama cibi più sostanziosi. Vuole che gli si mostri una vita vera, aspra, cruda, disperata, fatale. I miei film futuri poggeranno sempre più sui conflitti umani: non realizzerò più opere con la perfezione di una macchina. La macchina vi obbliga a fabbricare salsicce ».
Erich von Stroheim alla vigilia della prima di Foolish Wives.

« Fu una grande fortuna quella che mi condusse, nel 1924, in una sala nella quale si proiettava un film di Erich von Stroheim. Quel film, Femmine folli, mi stupì. Fui costretto a rivederlo almeno dieci volte ».
Jean Renoir (Souvenirs)

« Femmine folli è un insulto per ogni americano… Stroheim ha diretto un film che non è fatto per essere visto dalle famiglie, che è offensivo per gli ideali americani e per tutte le donne… »
Photoplay, marzo 1922

« … lascia ancora intravvedere tutto l’odio che lo Stroheim più segreto e profondo nutre contro il mondo che dipinge, e la curiosa soddisfazione che gli deriva dalla nausea di esso. Che se assai sovente anche qui il pamphletista prende la mano al narratore per trasformarlo nel biblico fustigatore delle tare sociali, ormai il suo atteggiamento diviene sempre meno impassibile per aprire molto spesso quello profondamente dolorante di un uomo il quale, come meglio vedremo in seguito, forse conserva in vetta alle sue aspirazioni il sogno di un’umanità migliore e per lo meno assai più scevra dai pregiudizi che la soffocano ».
Roberto Paolella (Storia del cinema muto)

1. Peter Noble ‘Hollywood Scapegoat’ 1950, in italiano ‘Fuggiasco da Hollywood’ Il Saggiatore, Milano 1964. 

(segue)