
Roma, agosto 1916. Di fuori, l’afa del pomeriggio è rotta da qualche fremito di brezza. Ma nell’interno del teatro il caldo è insopportabile. Nemmeno l’ombra delle tende, nemmeno gli ampi spiragli aperti qua e là nelle pareti di vetro, valgono ad attenuare la snervante intensità del calore. E, quel che è peggio, non è nemmeno possibile di mandare una imprecazione a Febo. Egli è il vero Dio del cinematografo, e come tale deve essere rispettato. Gli attori, infatti, almeno qualche volta, lo rispettano. I cachets, le umili e modeste comparse, lo venerano, lo adorano, lo invocano addirittura. È il loro tormento e la loro speranza. Conviene dunque sopportarlo… D’altra parte, il quadro che vi si presenta dinanzi agli occhi vi fa presto dimenticare l’afa opprimente.
Si gira Malombra. Osservate. Una camera di dolce stile arcaico. Non c’è alcun dubbio. Quella in fondo è Lyda Borelli. Una divinità. Le spalle statuarie, il volto bianchissimo, la lunga chioma disciolta che ha riflessi dorati, contrastano mirabilmente con le stupende forme del corpo modellate da una vestaglia nera, triste, solenne. Le sta accanto Amleto Novelli. Sul letto, sotto una coltre di damasco rosso, dorme Augusto Mastripietri. Più avanti, quasi in primo piano, siede Giulia Cassini-Rizzotto, l’attrice modesta e valorosa che ha dato al suo volto la maggiore austerità d’una parte vetusta sacrificandolo in una nobile e dignitosa parrucca grigia. Più avanti ancora si muove l’accurata eleganza di Francesco Cacace.
Carmine Gallone, il valoroso ed instancabile direttore artistico, segue, con occhio vigile e pronto, la mimica degli attori. Tutta la scena si svolge in silenzio. Solo l’operatore (Giovanni Grimaldi) si diletta ad alta voce di una sua speciale esercitazione aritmetica contando a più riprese i giri di manovella.
Il quadro è finito. Posso scambiare qualche parola con Lyda Borelli: ma per pochi istanti poiché l’affascinante attrice deve correre in camerino a prepararsi per una nuova scena. Posso anche stringere la mano all’amico Gallone che parla, discute, passeggia, ma non perde d’occhio il lavoro, non si distacca per un istante dall’opera ardua e magnifica che lo ha violentemente e completamente avvinto con tutti i suoi eccezionali requisiti per un tentativo cinematografico rinnovatore.
Gallone non è davvero un mestierante del cinematografo. In ogni suo lavoro apparisce una lucida impronta di dignità e di bellezza. C’è in lui una continua inquietudine di superamento, un ansia costante e febbrile di percorrere vie inesplorate, d’elevarsi verso più ardite forme d’originalità e di perfezione. Malombra è una creatura del suo sangue, dei suoi muscoli, del suo cervello. Egli solo poteva avere la forza a l’audacia di trasportare in cinematografia il romanzo di Fogazzaro, un romanzo così complesso, così vasto, così profondo, in cui l’elemento psicologico è fuso con l’elemento fantastico e tutti e due sono integrati da un soffio di vivo e possente lirismo.
Torna Lyda Borelli abbigliata per i nuovi quadri. La veste nera è ora sostituita da una veste bianca. Ma l’infinita bellezza del volto nulla ha perduto nel risalto nuovo. Quella di Lyda Borelli è sempre una figura stupenda, sia che l’adorni una toilette fastosa, sia che nella vita fittizia della scena, la ricopra un’umile e semplice veste. Solo così si spiega il grande fascino ch’ella ha saputo suscitare anche nell’amorfo e primitivo pubblico dei cinematografi.
Gallone mi lascia perché deve ancora girare una scena senza la Borelli. Ne approfitto per scambiare qualche parola con la valorosa e gentile amica. Ho anche la fortuna di trovare un angolo in cui s’apre un’ampia finestra tutta coperta d’edera: il lieve sospiro del vento attenua assai l’insopportabile calore interno. L’angolo è delizioso per una conversazione sentimentale. Ma, ahimè!, non si parla che di cinematografo. Sarebbe assurdo parlare d’altro quando, a pochi passi da noi, l’operatore continua il monotono conteggio dei giri della manovella…
L’argomento, forse, non è il più simpatico, ma la conversazione di Lyda Borelli è sempre piacevolissima. In quello che dice c’è una grande semplicità ed una grande sincerità. E tanto più la semplicità e la sincerità appariscono evidenti in quanto il cinematografo è un po’ il mondo dell’esagerazione. Se parlate con una delle più o meno celeberrime dive dell’arte — fortunatamente! — muta, non tardate a formarvi, se siete ingenuo, il convincimento che il cinematografo sia la più difficile, la più astrusa, la più complessa di tutte le forme di finzione scenica. Non troverete una « diva » che non vi sostenga, con la candida disinvoltura della mediocrità, di non avere trascorso lunghe notti insonni per prepararsi ad un’interpretazione, di non aver sudato quattro camicie nell’arduo e faticoso studio d’una figura da impersonare, di non aver sofferto e gioito dinanzi all’obiettivo cinematografico. Ah, le scimmie!…
Niente di tutto questo in Lyda Borelli. Ma Lyda Borelli è sopratutto una donna di una rara e squisita intellettualità. Il cinematografo? È quello che è; non è ancora quello che potrebbe essere. Una cosa come un’altra che ha il suo lato buono ed il suo lato cattivo, il suo lato facile ed il suo lato difficile, il suo lato trascurabile ed il suo lato interessante. Tutto dipende dal punto di vista.
Quanta modestia nelle parole dell’affascinante attrice. E quanta bontà! Voi potete, per inveterata abitudine del vostro spirito, compiacervi di qualche piccola perfidia, di quella sottile ed inoffensiva malignità intorno a questo mondo di « bluff » e d’esagerazione, ma Lyda Borelli non vi risponde se non con una parola d’indulgenza. Per questo nel regno dell’arte, ella gode del meritato privilegio d’una simpatia generale. Tutti le vogliono bene, tutti, amici e amiche, compagni e — caso più unico che raro — compagne, dai primi ruoli alle ultime comparse, ne parlano un senso d’infinita devozione, di gratitudine, di entusiasmo, d’affetto.
Le chiedo, naturalmente, la sua impressione su Malombra.
— Ne sono entusiasta, mi risponde. Il romanzo del Fogazzaro racchiude elementi cinematografici di una grande originalità. Basta con le solite vicende d’amore e d’adulterio! Occorre che il cinematografo si rinnovi e Malombra rappresenta davvero un magnifico tentativo di rinnovamento.
— Credete dunque che questo film susciterà molto interesse?
— Non ne dubito. La sua vicenda è così vasta ed intensa che dovrà necessariamente vincere tutte le esigenze del pubblico. E poi la Cines nulla risparmia perché anche questo film riesca un autentico capolavoro.
— Dopo Malombra di quali altri lavori cinematografici sarete interprete?
— Non so. Ma di cinematografo torneremo a parlare nella quaresima dell’anno venturo. Col 15 settembre ritornerò al teatro, al mio teatro, da cui mi sono allontanata per un breve periodo di necessario riposo.
Cerco ancora di raccogliere qualche indiscrezione, ma i direttori di scena non sempre sono gli alleati dei giornalisti. Una voce grida: « Signorina, tocca a lei! ». Così alla mia ultima domanda, Lyda Borelli, fuggendo, non può rispondere, che con un sorriso ed un gesto di desolazione.
Il sole comincia ad illanguidirsi. Siamo agli ultimi quadri della giornata. Una forte scena fra Mastripietri e la Borelli ed una con la Borelli sola. Per quest’ultima è necessario l’intervento delle lampade Jupiter.

L’intensa luce irradia di violaceo la figura ieratica dell’attrice che, in primo piano, nello sfondo quasi mistico d’un piccolo « interno » atteggia il volto ad una magnifica espressione.
Finalmente, posso ipotecare Gallone per avere da lui qualche notizia più dettagliata intorno a questo eccezionale lavoro. Il giovane e valoroso direttore, gentilissimo, comincia col farmi passare nel secondo teatro del grande stabilimento al fine di mostrarmi alcune scene costruite espressamente per Malombra. Sono « interni » del castello antico, l’ambiente in cui l’azione si snoda e si sviluppa, sale vetuste e solenni riprodotte con uno squisito senso d’arte e con una mirabile fedeltà.
— È dunque vostra l’idea di trasformare in film questo strano e suggestivo romanzo del compianto scrittore?
— Sì, da molto tempo ne vagheggiavo l’idea; la Cines ha subito compresa tutta l’importanza di un’opera di questa mole e nulla ha trascurato per assecondare il mio proponimento…
— Eppure non tutti sono dell’opinione che Malombra contenga eccezionali requisiti di risalto cinematografico.
— Se vogliamo ostinarci a chiamare risalto cinematografico la solita avventura di passione e di morte, hanno ragione quelli che non vedono il film in questo romanzo del Fogazzaro. Ma se vogliamo considerare come risalto cinematografico l’originalità assoluta dello spunto e la novità della vicenda, la consistenza cinematografica di Malombra non può essere messa in dubbio. D’altra parte, opere così vaste e complesse debbono suscitare necessariamente un grande fervore di discussione. È tempo ormai che il cinematografo segua una via nuova. Oggi si sforza troppo per apparire teatro…
— Mentre il teatro è una cosa così diversa…
— Precisamente. Il cinematografo dovrebbe limitarsi a rendere quello che non è possibile rendere al teatro. Per questo mi sono appassionato a Malombra. La vicenda di questo romanzo è tale che solo le risorse della tecnica cinematografica possono rappresentarlo. Malombra contiene elementi di grande fascino per chi, come me, ha la convinzione che il cinematografo debba rinnovarsi. È un’opera che, per la sua fusione di fantastico e si psicologico, può stare fra la Falena e Avatar.
— Credo che la riduzione cinematografica di un lavoro come questo debba presentare grandi difficoltà.
— Non è certamente un compito facile. Ma io l’ho assunto con entusiasmo e con fede. La maggiore difficoltà consisteva nella sceneggiatura: m’è costata venti giorni d’intenso, febbrile, gravoso lavoro ma l’ho superata felicemente. Ne sono soddisfatto.
— Fra quanti giorni il film sarà pronto?
— Occorreranno ancora due mesi. Dobbiamo metterci in giro per l’Italia per riprendere gli esterni più suggestivi e pittoreschi dei nostri laghi. Anche per la messa in scena Malombra costituirà un lavoro d’eccezione. Sarà certamente uno degli avvenimenti memorabili del prossimo autunno, che pure si ripromette così denso di grandi premières.
La Cines, con la tradizionale signorilità, non mi ha limitato i mezzi, poiché vuole che il film sia in tutto e per tutto degno dei precedenti. Per mia parte ne sono troppo entusiasta, sono troppo preso della grande bellezza di un’operazione così originale e suggestiva, per non esserne convinto del successo. Anche l’interpretazione sarà degna del lavoro. La Borelli ha completamente e perfettamente assimilato lo spirito della strana e complessa figura che deve rappresentare. Ci darà una nuova interpretazione in cui l’efficacia psicologica sarà superbamente integrata da mirabili espressioni estetiche. Come nei precedenti lavori ammireranno in lei l’acuto e sottile senso di assimilazione e la plastica meravigliosa. Anche questa volta, insomma, ho trovato nella Borelli un consenso spirituale che, per me, è la più bella e la più gradita forma di collaborazione. Gli altri interpreti ne faranno degna corona: sono tutti nomi notissimi nell’arte nostra: la Cassini, il Cacace, il Novelli, il Mastripietri, ecc.
L’ora è tarda. Carmine Gallone che deve dividere la sua attività fra i teatri della Cines ed il servizio militare, mi tende la mano per correre frettolosamente al Ministero della Guerra ove l’attendono alcune ore serali di lavoro burocratico. Come riposo, dopo le aspre fatiche del giorno, non c’è male!…
Ugo Ugoletti
(Il Tirso)
Bellissimo, grazie per condiverlo.
Magnifico post, complimenti. Domanda per la Cineteca di Bologna (che ha restaurato il film, tanti anni fa…): possiamo aspettare in un DVD per il Cinema Ritrovato 2017?
Grazie. Le cronache sul set dei film italiani del periodo muto sono abbastanza rare, le interviste sul set ancora di più.