
Aprile 1915. Questo magnifico lavoro, spoglio del grande ausilio della parola, in alcuni punti riuscirebbe piuttosto prolisso e forse noioso, senza la forte interpretazione che ne danno gli artisti; primissima la Bertini; non secondo il Serena. Il pubblico l’accoglie con grande simpatia, malgrado la lunghezza e l’uniformità delle situazioni, appunto per l’eccezionale interpretazione. Le scene di gelosia si seguono da capo a fondo del dramma, e spesso si assomigliano, ma sono rese interessanti dallo spiegamento completo di tutte le risorse di cui dispongono gli attori tutti.
Il sistema invalso delle nostre Case — e premo sulla parola « nostre », perché il sistema dei « frammenti » di quadri non è seguito affatto da quelle straniere — fa sì che si abbozzano appena le scene, impedendo agli attori qualsiasi manifestazione artistica. Abbiamo chiesto tante volte se per avventura i nostri artisti fossero così cani da dover chiedere tutto alla situazione, al fatto, e nulla alla peculiare loro virtuosità; e noi che per dovere professionale dobbiamo frequentare tutti i santi giorni i cinematografi, possiamo dire che il pubblico apprezza e gusta non solo il fatto, ma anche l’arte dell’interpretazione, quante volte può leggere nella sua azione sincera lo stato del suo animo.
È falso che la simpatia del pubblico sia data soltanto dalla silhouette dell’artista poiché allora la Bertini, l’Hesperia, la Carmi non potrebbero vantare quel primato che in cinematografia godono. Infatti esse non sono grandi artiste per la loro bellezza, ma per la loro virtuosità. Ora com’è possibile spiegare della virtuosità in quadri appena delineati, di dieci o dodici metri?
La penultima scena che precede l’uccisione del Cancelliere in questa film non è occupata che da due ottimi artisti: la Bertini ed il Serena; e d’interessante non v’è che il valore della loro interpretazione. Tolto questo, infatti che resterebbe?: la situazione. Il ritorno inaspettato di Michele, mentre Assunta Spina attende il nuovo amante; attesa ch’è rivelata dalla tavola apparecchiata. Due situazioni che coi nuovi sistemi si risolverebbero in una ventina di metri al massimo; spazio sufficiente perché gli attori vi potessero eseguire quattro mosse combinate, automatiche, a tempo fisso.
Per il critico, invece, non ostante la sua lunghezza, questa scena è una delle più belle del dramma; se pur non è assolutamente la migliore.
Devo nominare ancora un altro magnifico artista, ed encomiare una speciale « mise en scène », L’artista è l’usciere del Tribunale; la scena è quella dell’ambulatorio. In questa scena la maggioranza dei metteurs en scène si sarebbe limitato a fare dei passaggi; la Caesar Film ne ha fatto un quadro magnifico, divertente, movimentato; nel quale quattro protagonisti del dramma non diventano che accessori; il protagonista vero, reale e magnifico, è l’Usciere. Quanta sincerità! La sala è piena di gente di ogni classe; v’è persino un prete; e voi quasi comprendete che nel mentre quell’usciere è intento a scrivere forse delle citazioni, ad un Tizio indica un ufficio; ad un altro l’ora di udienza; ad un terzo dà schiarimenti su una causa o spiega una procedura; ed all’ultimo ripete per l’ennesima volta i deliberati di una sentenza o le disposizioni di qualche articolo di codice. E tutta la sua azione ha atteggiamenti diversi a seconda degli individui, del genere delle richieste, dell’importanza delle medesime. E seguita a fare il suo lavoro, a cercare carte per il tale avvocato e riceverne da un collega; insomma un usciere nel pieno esercizio delle sue funzioni. Magnifico poi nella chiusa finale quando il cancelliere lo saluta ammiccando perché ha ottenuto quanto desiderava da Assunta Spina. Il pubblico che l’ha seguito fino allora, segnando con leggeri mormorii d’approvazione le varie manifestazioni della sua arte sincera, prorompe in una risata.
La mise en scène, è precisamente quella di quest’ambiente di tribunale: e non solo degna d’encomio, ma da citare a modello. In questo quadro, che si ripete due o tre volte, se togli i protagonisti e l’attrice madre, che vi fanno delle vere apparizioni, non vi è un personaggio che interessi al dramma. Non vi si svolgono che due azioni o tre per quadro: il rimprovero della madre di Michele ad Assunta, e la scena della seduzione di Assunta, col cancelliere, fatta in due riprese. Il resto — come ho detto — non sono che passeggi; ma quanto lavorio di sfondo! forse un po’ troppo, non come verità, ma come arte. Ora in questo sfondo si svolge tutta una vita reale in una serie svariatissima di particolari puramente decorativi. L’importante è questo: che tutto ciò è formato da artisti, non da comparse; oppure convien dire che la Caesar ha delle comparse che valgono degli artisti.
Pier Da Castello (Pietro Berton)
(La vita cinematografica, Torino 19 maggio 1915)