Torino, giugno 1915. L’arte cinematografica si trova, come l’industria, in un periodo di crisi, non per le stesse cause, indubbiamente, ma perché i gusti del pubblico, anzi dei nostri pubblici, che si evolvono, si elevano e si orientano verso rappresentazioni più logiche, più reali, più artistiche di quelle che ebbero maggior successo negli ultimi tempi.
Io credo che le avventure, i drammi polizieschi e soggetti simili, abbiano fatto il loro tempo e che tornino in onore dei drammi sentimentali e passionali, ma non nella forma primitiva di prima, bensì inquadrati in scene decorose ed in armonia col soggetto. Nel passato la sceneggiatura ricorreva a trucchi ingenui che urtavano il buon gusto, oggi invece occorrono ambienti veri e reali in tutti i minimi particolari e la sceneggiatura di un film può oggi contribuire notevolmente tanto al successo quanto al viceversa. Essa deve integrare l’azione degli attori, ma non deve soverchiarla con gli sfarzi eccessivi.
Perché l’interpretazione del dramma passionale risulti efficace, è necessario non solo lo studio psicologico del personaggio che l’attore deve rappresentare, ma altresì quello degli altri personaggi, onde mettersi in perfetta armonia con essi; ed è perciò che nei miei film io cerco che anche gli altri attori interpretino le loro parti come io le sento. Solo da questo intimo affiatamento si può ottenere il massimo dei risultati e cioè la fedele e reale esteriorizzazione dei diversi sentimenti.
Con questi intendimenti e con questi mezzi, è possibile non solo comporre lavori passionali e sentimentali, ma si può anche, e con speranza di successo, affrontare la grave prova del dramma psicologico. Questa è la forma di arte che più mi attira, perché è la più elevata e perché in essa io vedo le maggiori difficoltà da superare e da esse io mi sento irresistibilmente attratto. Io sento che potrei dare una perfetta interpretazione artistica a riduzioni cinematografiche di lavori di carattere psicologico e confido di potere in un avvenire non lontano, dedicare tutta la mia attività artistica a simili lavori e realizzare così un mio sogno ed un miglioramento della nostra arte. La letteratura, come il teatro drammatico offrono a noi una ricchissima fonte di soggetti irti di difficoltà di interpretazione, è vero, ma che avvieranno la Cinematografia verso un sicuro indirizzo artistico, che contribuirà a raffinare il sentimento delle nostre folle e renderà possibile ad esse la conoscenza di tante opere d’arte, che ora le sono ignote, perché il teatro è ancora chiuso per esse. La Cinematografia non potrà sostituirsi al teatro, ma potrà essere invece la volgarizzatrice delle forme più elevate del teatro stesso.
Allora sì che noi potremo dare tutti noi stessi all’interpretazione delle nostri parti, mentre oggi dobbiamo, per necessità industriali, assoggettarci a degli acrobatismi che non hanno che una troppo lontana parentela con l’arte: il pubblico nord-americano desidera i film d’avventure? Ebbene in questo principio d’anno ho dovuto per ben tre volte, col vento e con la neve, fare dei salti nelle poco tiepide acque del Po, scendere e salire dai treni in corsa…
Comprendo che l’America è un ottimo mercato per i nostri film e che dobbiamo soddisfare i gusti di quel pubblico per non perderlo, ma come conciliare tutti questi diversi desideri?
Il pubblico russo ama una certa libertà di costumi, morali e materiali, altri preferisce e si commuove al delitto e all’adulterio, mentre la censura italiana, e con ragione, vieta l’uno e l’altro. Due miei film, La valanga di fuoco e la Mano di fiamma, che hanno ottenuto all’estero il più lusinghiero dei successi, sono stati vietati in Italia, perché in uno vi era l’uccisione volontaria di un fratello e nell’altra io rappresentavo un apache, ha giudicato la Censura, con tanta fedeltà di espressione, da rendere troppo simpatica e quasi seducente la figura di questo malvivente.
È possibile continuare in questa incertezza?
In attesa di tempi migliori, io credo intanto che la produzione di film italiana, visto la quasi impossibilità di trovare soggetti che contentino tutti, dovrà scegliere, fra i diversi pubblici quello che più risponde al temperamento dei propri artisti e comporre film di unico stile: così gli attori specializzandosi ciascuno nel proprio stile, riusciranno più facilmente a migliorarsi e la produzione acquisterà indubbiamente un maggiore valore.
Intanto però noi dobbiamo e possiamo farlo, mirare a elevare il gusto del nostro pubblico ed a lato del dramma sensazionale che alimenta la sua curiosità morbosa, dobbiamo dargli rappresentazioni più civili, e meno brutali, che tocchino il sentimento e non agitino le sue passioni.
A questa missione sociale molto possiamo contribuire noi artisti che godiamo le simpatie delle folle, noi possiamo per la fiducia che esse hanno in noi, per la stima di cui ci circondano, per il fascino e la suggestione che esercitiamo su di esse, attirarle quasi insensibilmente e loro malgrado, su un’altra via e orientare il loro gusto verso rappresentazioni più elevate e più morali.
La Casa Ambrosio già da tempo ha fatto di questi tentativi, che hanno avuto un lusinghiero successo ed io mi auguro che tutta l’industria italiana ci segua; così essa potrà avere il primato non solo per le sue qualità artistiche, ma anche per la missione sociale che potrà compiere.
Alberto Capozzi
(La Tribuna, giugno 1915)