Pionieri del cinematografo romano

Il teatro Alberini & Santoni in costruzione
Il teatro di posa Alberini & Santoni in costruzione

Quando le prime proiezioni “mobili” apparvero sullo schermo collocato nell’angusta sala del fotografo Le Lieure in via del Mortaro vi fu subito chi pensò a promuovere la fabbricazione delle pellicole e l’incoraggiamento all’audacia venne dal fatto che il cinematografo, allora all’inizio, doveva esclusivamente dipendere dalla produzione francese.

Secondo il fotografo Francesco Felicetti che aveva allora uno studio in Piazza di Spagna, il giovane romano Filippo Schlosser, simpaticamente noto negli ambienti teatrali, giornalistici e mondani della capitale, si provvide di un apparecchio che a quei tempi sembrò tanto strano da richiamare, quando entrava in funzione, la curiosità dei passanti, i quali molte volte formavano una ressa così pesante da impedire al “manovratore” l’esercizio delle proprie… gravi funzioni. Su un enorme treppiede l’operatore poneva un voluminoso cubo di legno munito di obiettivo e dotato d’un meccanismo interno che col movimento di una manovella laterale faceva agire, tra la lente e la pellicola, una specie di elica in modo che dal breve spiraglio aperto fra una paletta e l’altra potesse penetrare ritmicamente la luce sul nastro di celluloide, il quale, regolato da un paio di griffe, svolgendosi s’impressionava.

Il minimo intoppo, che era piuttosto frequente, mandava in rovina tutto, e allora il “manovratore” era costretto ad abbandonare il pulpito su cui era salito per riprendere la scena, costituito da un tavolo e una sedia, e ritirarsi in buon ordine per provvedere in laboratorio alla riparazione della macchina, non molto complicata e tuttavia composta da fragili congegni rudimentali passibili di fratture e di guasti imprevedibili.

I primi saggi di questa produzione cinematografica romana li avemmo dagli stessi Felicetti e Schlosser subito dopo il successo delle proiezioni dello studio Le Lieure. Essi aprirono un locale al Corso Umberto ove ora sorge la sede del Banco di Napoli, e in quei tempi c’erano il Gambrinus e il negozio della Casa Ricordi.

Prima di entrare nella sala di proiezione il pubblico poteva constatare di persona le più recenti scoperte ponendosi agli orecchi due piccoli microfoni che a mezzo di un tubo di gomma si collegavano ad un apparecchio marca Edison in cui girava, azionato da accumulatori, un cilindro di cera da cui si sprigionavano i suoni che per lo più comprendevano pezzi d’opera non altrimenti percettibili, oppure godendosi un panorama stereoscopico girevole in cui erano riprodotte vedute d’ogni parte del mondo, ed ancor meglio usando, mercé l’introduzione d’una moneta di pochi centesimi, di un piccolo apparecchio per i raggi X da cui era possibile, passando una mano sotto il fluoroscopio individuare rapidamente le proprie ossa.

L’ambiente adibito agli spettacoli cinematografici era capace di circa settanta posti a sedere, e pagando cinquanta centesimi si poteva assistere alla proiezione di una dozzina di pellicole della misura di dieci dodici metri ciascuna riproducenti gli avvenimenti della stagione, cioè la rivista al Macao con relativa sfilata delle truppe in piazza dell’Indipendenza cui assisteva a cavallo re Umberto con il suo seguito, le corse alle Capannelle, che allora si concludevano in tre o quattro giornate, dopo la Pasqua, i convegni di caccia alla volpe, eccetera, “girati” tempo permettendolo poiché, se per disgrazia vagava nel cielo una nube, occorreva rinunciare alla “presa” perché guai se il sole non avesse avuto la possibilità di inondare completamente ed interamente con la sua luce la scena.

Lo stesso apparecchio da presa serviva da proiettore, ed infatti era sempre la cassetta già descritta nel suo meccanismo che doveva essere fissata nella parte anteriore su un cavalletto di legno ad unico piano. Nella parte posteriore veniva collocata una lampada ad arco espressamente fabbricata dalla Casa Boulade & Pascal la quale aveva per lente-condensatore una bottiglia sferica piena d’acqua che compiva la sua funzione ottimamente perché producendo e concentrando il fascio luminoso, contemporaneamente lo raffreddava.

Nella parte inferiore del cavalletto si raccoglieva il nastro della pellicola svolta durante la proiezione, così che alla fine l’operatore la riavvolgeva in una bobina per evitare che si sciupasse.

Alle produzioni “dal vero” succedettero poi le scene girate con attori appositamente scritturati ed allora venne usato il primo teatro di posa che fu stabilito in una villa in prossimità dei Parioli. In un piccolo palcoscenico corredato da scene dipinte alla meglio e arredato come fosse un qualsiasi teatro comune, per la prima volta in Italia, cominciarono a muoversi, nelle giornate di sole, a scopo cinematografico, Eduardo e Vincenzo Scarpetta, Eugenia Fougère ed altri della ben nota compagnia napoletana, e naturalmente il genere comico con scenette mute esilaranti ebbe la prevalenza. I films proiettati poi insieme alle attualità del giorno come gli assalti alla sciabola e al fioretto del maestro Ageslao Greco e la visita del re Umberto alla R. nave Lepanto, la passeggiata al Pincio, ecc… formavano un programma completo ed oltremodo attraente nonostante avesse la durata  di poco più di una mezz’oretta in tutto. È da avvertire che lo spettacolo s’iniziava soltanto quando i posti nella sala erano occupati almeno per la metà del disponibile.

Il cinematografo, così debolmente sfruttato, non poté durare a lungo e pareva che non se ne dovesse parlar più per un pezzo quando invece, appena inaugurato il Cinema Moderno sotto i portici di piazza dell’Esedra, la direzione del locale pensò di far funzionare un proprio teatro di posa e all’uopo lo fece costruire in un terreno fuori porta San Giovanni, nei pressi dell’allora famosa osteria Faccia fresca, con annesso laboratorio per lo sviluppo e la stampa delle pellicole.

Si trattava d’una gran gabbia di ferro coperta da ogni lato con vetri, e per regolare le luci si dovette applicare dei vasti tendoni che si aprivano e si chiudevano a mezzo di tiranti a seconda delle necessità del momento, di luce artificiale non se ne provò affatto. Nei giorni piovosi ogni lavorazione doveva essere sospesa e per riprenderla, a causa dell’acqua piovana che penetrava dalle malfatte congiunture dei ferri o dai buchi lasciati dai vetri che il vento e alcuni ragazzi muniti da fionde frantumavano, occorreva fosse compiuta l’operazione di prosciugamento. Così attori e comparse gravavano sulle spese perché bisognava pagarli anche quando, per l’improvviso cangiar del tempo, non potevano entrare in funzione.

Eppure, dopo le primissime pellicole girate per ritrarre l’azione coreografica: La malia dell’oro e la fantasia tratta dai racconti di Giulio Verne che s’intitolava Nei paese dei sogni, su quelle scene rudimentali passarono davanti l’obiettivo mal controllato nelle sue possibilità luminose parecchi personaggi che trovarono il loro periodo — sia pure breve — di notorietà, e fra questi vanno ricordati Egidio Rossi, Amleto Novelli, Mario Caserini, Fernanda Negri Pouguet, e Tilde Genovesi.

Ma purtroppo il prodotto non poteva, per ragioni tecniche non assecondate nel loro sviluppo dagli apparecchi che si usavano perché ancora primitivi, compensare le fatiche di questi coraggiosi pionieri tanto più che la Casa Pathé, ormai ben attrezzata, dominava il mercato con buone pellicole le quali ogni volta che si proiettavano presentavano interessantissime novità specialmente nei riguardi dei trucchi.

Finalmente, l’ingegnere Adolfo Pouchain, venuto a conoscenza delle difficoltà ch’erano costretti a superare i componenti della piccola società volle venire in loro aiuto, e fornendo soci e capitali fondò l’anonima Cines per l’esercizio della produzione dei films con due teatri di posa ed annessi reparti di scenografia, di sviluppo e stampa delle pellicole che tentò di fabbricare da sé.

Intanto Filippo Schlosser, che aveva vissuto tutto il movimento iniziale cinematografico di Roma, provvide ad impiantare sui grandi transatlantici italiani le sale da cinematografo in cui si proiettavano films di “esclusiva produzione italiana”…

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