La storia del cinema muto raccontata da chi l’ha vissuta. Victor Sjöstrom, seconda parte.

Ma già nella primavera del 1913 Stiller ed io avevamo deciso di far qualcosa che fosse diverso dallo stile banale della Nordisk. La Nordisk Film di Copenaghen era la grande rivale e concorrente, che noi volevamo assolutamente battere: frequentavamo assiduamente le proiezioni cinematografiche ed ogni tanto vedevamo delle cose che ci additavano la strada verso un cinema più artistico. Ammiravamo Maurice Costello in una storia nella quale interpretava tutta una scena con le spalle rivolte al pubblico: era d’un grande effetto. Qualcosa di simile, al cinema, non s’era mai visto prima, perché si doveva sempre vedere la mimica nel più chiaro dei modi possibile.
Assistemmo al film La Dame aux camélias con Sarah Bernhardt e vedemmo come la sua mano, nel momento della morte, scivolava giù dalla spalla lungo il braccio d’Armando: quella mano mi affascinava.
Ultimate le riprese in programma per la prima estate e volendo migliorare la produzione ci decidemmo a chiamare un fotografo ed un regista della Pathé perché insegnasse a Stiller, Julius Jaenzon e me. Si faceva un film nel quale Stiller impersonava il seduttore — un elegante ufficiale — ed io il marito nobile. Il film era colorato a Parigi ed andava molto bene anche all’estero. L’esperienza principale tratta da questo film fu quella del tempo di lavorazione. Fin allora s’era girato, senza difficoltà, un film in sei giorni, i francesi impiegarono un mese e mezzo: Stiller ed io imparammo a non affrettarci senza ragione.
Apprendevamo anche il solo metodo per diventare padreterni nell’uso della macchina da presa. L’apparecchio non si doveva assolutamente toccare durante la ripresa: il più piccolo colpo era un peccato mortale. Le scenografie erano delle cornici di legno che si preparavano precisamente come in teatro, si riempivano con degli schermi con una parete ed una porta. Mettendo gli schermi in posizioni diverse ed in diversi colori si trasformava l’aspetto dell’ambiente. Le medesime attrezzature s’adoperavano per ogni film.
L’apparecchio veniva collocato in luogo adatto davanti alle scene rappresentanti una stanza e il cavalletto veniva fissato al pavimento, in modo da essere sicurissimi che non venisse mosso durante tutta la ripresa (l’apparecchio mobile venne introdotto più tardi verso il 1916). Sul pavimento, davanti alla macchina, si ponevano delle strisce di legno a squadra per delimitare il campo della ripresa: quello spazio limitato costituiva la difficoltà più grande per gli attori teatrali che passavano al cinema. Altrimenti si recitava press’a poco come in teatro.
Perché, nei primi film, si recitava con dei gesti cosi grandi e con delle smorfie così violente? Probabilmente perché gli attori erano cattivi. I buoni attori nei film usavano anche dei mezzi più discreti. Mi ricordo specialmente Maurice Costello.
L’arte del trucco ci veniva insegnata da Artur Donaldsson, che era stato in America, dove, più tardi, ritornò. Donaldsson era iniziato a tutti i misteri del Cinema, sapeva sia recitare che scrivere e non era mai sconfortato. Se mancava il soggetto affermava tranquillamente: « Ne scriverò uno io per domani ».
Dunque, da Donaldsson imparavamo il modo di truccarci per il film secondo le ricette d’allora: bianco su tutta la faccia, e molto nero intorno agli occhi.
Blodets röst (1913, trad. lett. La voce del sangue) era già stato abbastanza impegnativo per noi produttori. Lo interpretavo io insieme a Greta Almroth e alla norvegese Ragna Wettergaen. Avevamo tanti norvegesi nei film svedesi del primo periodo, a causa probabilmente di Lykke-Seest, lo scrittore norvegese di corte della Svenska Bio, che scriveva un sacco di soggetti per film, dei quali una parte era girata, l’altra parte acquistata — per la somma immensa di 600 corone a soggetto — e accantonata. Ma l’autentico sforzo per l’arte e per la serietà del cinema svedese si ebbe però solo con Ingeborg Holm (1913). Accennerò a come è nato:
Fra gli attori notevoli scritturati dalla Svenska Bio, c’era anche Hilda Borgstrom, assunta per 30 giorni di interpretazione, a 5000 corone. Questi giorni potevano essere richiesti per la lavorazione quando a noi fosse accomodato durante gli anni 1912-1913. Nel 1912 la Borgstrom interpretò due film, uno il già citato En sommarsaga nel quale Victor Lundberg mostrava un paio di mutande penzolanti, l’altro una storia di spiriti da lei interpretata insieme a Axel Ringvall, per una durata complessiva di soli 13 giorni di recitazione: restavano 17 giorni, pagati cari.
Perciò quando Hilda Borgstrom mi telefonò, all’inizio del luglio 1913, dicendomi: « Lei sa che il mio contratto scade il 1° agosto? », mi prese un accidente e mi precipitai dal capo con quella rallegrante informazione. « Sapristi! — esclamò Magnusson — ed ora cosa facciamo? ».
Non restava altro che tirar fuori un soggetto a tempo di record. Mi ricordai di una cosa che tenevo chiusa nella scrivania, un soggetto scritto dal membro dell’assistenza sociale ai poveri di Halsingborg, Nils Krok.
Krok, che aveva una scuola di commercio in quella città, aveva una volta scritto un dramma Ingeborg Holm, imperniato su un caso tratto dalla sua esperienza nell’assistere i poveri. Il dramma fu presentato da Hialmar Peters e l’anno seguente io ne curavo la regia per una nuova rappresentazione. Quattro o cinque anni più tardi, una sera, a Halsingborg, mentre mi stavo truccando per una rappresentazione, Krok entrava nel camerino e mi porgeva un soggetto: l’adattamento cinematografico di Ingeborg Holm. « Abbia la cortesia di guardarlo — mi disse — né la Nordisk Film né la Svenska Bio lo vogliono perché l’ambiente è povero ».
Non eravamo ancora arrivati ai film con contadini, e in quel periodo ogni film doveva avere a protagonisti conti o baroni. Però, presi egualmente il soggetto; forse lo lessi e probabilmente lo trovai senza valore, cosicché restò nella scrivania e non so neanche se ne avessi informato Krok.
Ed ecco che nel luglio 1913, Ingeborg Holm diventava l’angelo salvatore. Rilessi il soggetto, trovai che se ne poteva far qualcosa e proposi di girarlo. Allora non si facevano conferenze con direttori, ecc., che decidevano sulla questione se girare o meno mediante votazioni: la decisione spettava solo a Magnusson che disse: « Avanti tutta! ».
Krok ricevette 250 corone e in tre, quattro giorni trasformai un po’ il soggetto. La preparazione alla lavorazione richiese su per giù lo stesso tempo e poi si potè cominciare a girare Ingeborg Holm. Il problema era risolto per le 2800 corone della Svenska Bio, che altrimenti Hilda Borgstrom avrebbe intascate senza far niente.
Ingeborg Holm ebbe un grande successo in tutto il mondo. Una prima testimonianza che i film riescono meglio se basati su un soggetto steso da un vero scrittore. Ma a Stoccolma l’autore fu attaccato da un ispettore di assistenza ai poveri, con un furioso articolo, comparso sul giornale « Stockholms Dagblad », nel quale si affermava che la vicenda era falsa ed assurda.
Io dovetti rispondere e controbattere le accuse e portai l’articolo al « Dagens Nyheter ». Il segretario di redazione, Oscar Hemberg, usci dalla sua stanza con la sigaretta in bocca, null’affatto entusiasta : « Meglio andare dallo stesso giornale che ha pubblicato l’attacco! », mi disse.
Mi sentii molto depresso: come un paria. Il cinema era ancora una cosa spregevole: Stiller ed io eravamo considerati traditori del teatro, dei disertori vili e meschini.
Ma fu appunto questo disprezzo che ci aiutò: ci faceva rabbia. Non sentivamo nessun desiderio di lasciare il cinema: tutt’altro.
Più gli altri arricciavano il naso verso di noi, più il nostro spirito diventava battagliero; stringevamo i denti. Avremmo mostrato — ai calunniatori, ai diffamatori, ai maldicenti — che il cinema era arte: che poteva diventare arte, anche se ci sarebbe voluto del tempo.
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questi articoli sono davvero splendidi!
Sabato dovrei partire, ma al mio ritorno spero di poter leggere i prossimi capitoli!
Grazie e buon viaggio!