Augusto Genina: In Italia ogni artista è solo

Lido Manetti, principale interprete del Focolare spento
Lido Manetti, principale interprete del Focolare spento

Roma 1925. Davanti ai pubblici italiani che, pagando denaro italiano, affollano le sale dei cinematografi italiani, non appare più che per rara eccezione produzione italiana. (…) Tuttavia un film italiano appariva l’altro ieri sullo schermo del più grande cinematografo di Roma e vi otteneva un autentico successo: è il Focolare spento, azione cinematografica scritta ed eseguita da Augusto Genina, metteur-en-scène di reputazione non solo italiana, ma mondiale, autentico maestro della cinematografia nazionale, artista da poter sostenere in confronto coi maggiori delle grandi firme straniere.

(…)

— Ho voluto, mi dice Genina, trarre la poesia dei grandi sentimenti eterni ed universali, dalla rappresentazione di persone solite, di casi semplici, di eventi minimi e comuni, di episodi quotidiani. Mi pare che oggi l’arte cinematografica – messo a parte ciò che essa può fare nella riproduzione storica e nel fantastico – mi pare che oggi solo così, cioè cogliendo la vita nelle piccole cose che di continuo passano sotto i nostri occhi, l’arte cinematografica debba trovare la sua universalità. Le passioni eccessive, le situazioni estreme, i personaggi parossistici possono aver caratteri e segni di nazionalità, diversità di razza, contrasti d’espressione differenti, che possono avvicinare all’opera d’arte certi pubblici ed allontanarne certi altri. Ma v’è nei sentimenti umani più elementari e ridotti alla loro più umile e quotidiana verità, quel fondo comune di realtà umana, quel patrimonio universale d’istinto e di sensibilità che è l’uomo e non questo o quell’uomo; l’umanità e non questa o quella nazionalità.

Augusto Genina, non è un artista venuto al cinematografo per un gioco del caso e rimastovi per invito della fortuna. E’ del cinematografo un apostolo. E il suo giovane volto non rimane quello d’un fanciullo, non ostante la trentina ormai superata: tutto gli si illumina quando ne parla, quando ne prevede i destini.

L’arte cinematografica par già vecchia, mi dice. Par già vecchia con la fretta che abbiamo e con la continua ansia di nuovo che ci affatica, e che da tutto, appena attaccati, ci stacca… Io credo invece che essa nasca oggi e che quanto fino a oggi s’è fatto non era che l’elaborazione misteriosa e nel mistero confusa, di un periodo pre-vitale. Abbiamo per lunghi anni creduto che il cinematografo potesse non avere materia e dovesse snaturare il teatro togliendogli la parola e riducendolo a gesti e ad azioni. Io stesso, due o tre anni or sono, ero allora costretto a lavorare alla riduzione del «Cirano»… L’Italia ha avuto il gran torto di perseverare in questo equivoco iniziale, quando invece già l’America e la Germania, per opera di direttori e di autori, cercavano di dare alla visione cinematografica un contenuto suo proprio, inconfondibile, e che solo dalla visione stessa poteva essere comunicato ai pubblici. Così, nell’equivoco, si era cercato di far contenere dallo schermo grandi casi eccezionali che, senza le necessarie spiegazioni, apparivano arbitrari, illogici e — una parola dice tutto — deplorevolmente «cinematografici». Si è iniziato invece, da qualche anno, un movimento per cui si vuole che la visione cinematografica, con umili e umane rappresentazioni, possa significare cose più grandi nell’animo dello spettatore. A questa nuova visione, l’arte cinematografica dovrà la sua universalità, e quindi la sua poesia e, nella sua poesia, la sua incontentabile maestà d’arte. Io non persevererò nell’errore che in Italia fu il mio, come quello di tutti. «Il focolare spento» è per me una data di totale rinnovamento. Se la mia vita di artefice cinematografico risale indietro di dieci anni, la mia vita d’artista che vuole esprimere il suo mondo e comunicarlo attraverso la visione muta, comincia solamente oggi…

Augusto Genina ha ragione. Si ricomincia, da oggi. Io non andavo più al cinematografo da tre anni, poiché io che ne avevo fatto, tentando modestamente di portarvi qualche cosa di nuovo e di «suo», ero giunto all’insopportabile fastidio di quello spettacolo convenzionale che riproduceva con personaggi muti e titoli troppo eloquenti una finzione di vita tra grottesca e stupida, dove donne fatali, uomini avventurosi e miracolosi eventi, svolgevano disgustose favole senza ombre di riferimento con la verità e l’umanità. Ma, ritornatevi dopo tre anni. a vedere il film di Augusto Genina, ho respirato un aria nuova: segno dunque che l’artista atteso era apparso; cioè, l’artista capace d’intendere che il cinematografo non troverà la sua bellezza poetica nel quadro d’una cortigiana che, in un tabarin, si diverta a tirar le perle della sua collana come se fossero coriandoli, ma in quello d’una madre che, partito il figlio un’ora prima, si siede a tavola e, respingendo la minestra, tanto la gola è stretta e la muta commozione la soffoca, guarda lì accanto a lei, silenziosamente, il posto rimasto vuoto per sempre — a quella tavola e nel suo cuore —. Augusto Genina ha uno stupendo passato. Ma, com’egli dice giustamente, di artefice. Egli è tra i pochi che, tecnicamente, con mezzi irrisoriamente inferiori di fronte a quelli di cui dispongono gli artefici stranieri, ha contribuito a tenere alto il prestigio — finché l’industria non ha tutto assassinato — della cinematografia italiana. Ma oggi egli ha trovato la sua parola dì artista. E poiché questo artista ha trenta anni, conviene raccogliersi ad ascoltarlo, poiché avrà, con la sua nuova parola, molte cose da dire.

Senza ostentazioni di messe in scena, senza sperpero di milioni, con umili «dècors», con qualche paesaggio bene scelto, con attori non grandi ma che recitano con intelligenza intelligentemente guidata, con quattro soli personaggi, il film del Genina, autentica opera d Arte e di poesia, domina il pubblico e gli riempie l’anima, per le vie più semplici e con le più umili cose, di commozione e d’affanno. Credo che con «Il focolare spento» cui tutta Roma, ammirando, accorre in questi giorni il cinematografo italiano ritrovi, per opera di Augusto Genina, la via per rimettersi al passo con tutto quello che gli artisti stranieri, negli ultimi tempi, hanno tentato, nel mondo, verso l’arte e la poesia dello schermo.

E sarebbe questo, per il Governo, il momento di ricordarsi finalmente della cinematografia nazionale e di dare opera a ricostruire, con uomini nuovi e nuove idee, la grande industria abbattuta e distrutta. È un dovere del Governo far si che gli italiani ritornino ad esser padroni nei cinematografi di casa loro. E il piccolo capolavoro «umano» di Augusto Genina ben ci prova che essi, aiutati come mentano, sono in gran parte – se non certamente tutti – degni di ritornarvi. Il Governo francese — per non citare che questo fatto esonera da ogni tassa le sale cinematografiche le quali non proiettino che films nazionali. Quando mai sentirà un Governo italiano il dovere di difendere gli artisti nazionali dalla sopraffazione straniera e di fare si che dato con una bell’opera a tutti gli artisti cinematografici del suo paese il bell’esempio di Augusto Genina, apostolo e poeta di un’arte nuova, non vada perduto nella delittuosa e antipatriottica indifferenza artistica degli italiani per tutto ciò che è italiano?

Io non spero nulla per l’industria o per l’arte, dal Governo italiano… Con pena, rischio e sacrificio, io vado avanti da me… mi dice Augusto Genina: poiché purtroppo in Italia ogni artista è solo…

Ecco. In Italia ogni artista è solo. Ma oltre la frontiera ed oltre il mare, ogni artista ha dietro di sé il suo paese.
Lucio D’Ambra (Il Corriere Cinematografico, aprile 1925)
(Cinema muto italiano storia di una crisi 4)