La Vitagraph Company contro Henry Ford

Settembre 1916. La Vitagraph Company ha citato davanti la Corte suprema di New York, Henry Ford, il famoso milionario, fabbricante di automobili, che fece così grande fiasco col suo viaggio pacifista in Europa.

La Vitagraph richiede al Ford 1.000.000 di dollari di danni e interessi, per aver egli fatto pubblicare su diversi giornali che il film The Battle Cry of Peace è stato ispirato e fabbricato con capitali dei fabbricanti di munizioni a scopo di convincere la nazione a ben provvedersene per ogni evenienza.

L'invasione degli Stati Uniti
Organizzando la difesa degli Stati Uniti, scena del film L’invasione degli Stati Uniti

L’invasione degli Stati Uniti, titolo italiano di The Battle Cry of Peace, distributore  esclusivo per l’Italia Monopolio Lombardo, fu presentato in censura nell’estate 1916 e vietato. Riuscì ad ottenere il nulla osta soltanto nel febbraio 1917, ignoro quali furono le condizioni per l’uscita del film nelle sale italiane. Secondo i documenti d’epoca disponibili  il film ottenne molto successo di pubblico e di critica:

«Pare, a quanto ci si assicura, che questa film sia stata ideata per « commissione » allo scopo di combattere il pacifismo che gli emissari germanici andavano divulgando nell’America del Nord, e che trovava appoggio e forte sostegno in quell’elemento di ben pasciuti jankée foderati di dollari, di null’altro esperti se non dell’arte di accumular capitali; di quella turba di gente che ha dimostrato di saper sacrificare al dollaro tutte le dignità, la vita e gli averi… altrui, disposti fors’anche ad immolare, magari, l’onore, non solo della nazione (che di quella hanno già dimostrato di non averne alcun concetto), ma del proprio; quello della propria famiglia, purché rimanga intatto e nel suo massimo splendore il dio dollaro!

Sotto quest’aspetto, L’invasione — al disopra di ogni altro merito — assume il carattere di opera altamente civile e umanitaria.

Dal lato artistico dirò che i lavori fatti per « commissione » riescono quasi sempre manchevoli. All’ispirazione viene sostituito il calcolo, la genialità dello svolgimento è subordinata alla tesi; il voluto s’impone al casuale; il predisposto limita l’inventivo; ed infine l’arte è circoscritta entro i limiti dello scopo.

Ora nessuna di queste restrizioni o imposizioni — a parer mio — si scorge in questa film. Inclino quindi a credere che essa sia stata ideata 
da un’anima generosa d’artista, che ha sentito tutto lo sdegno per quel miserando spettacolo d’inqualificabile longanimità che dava la sua patria di fronte agli spaventevoli delitti che sistematicamente andava commettendo la Germania contro le innocenti vite e contro gli averi degli Americani.
La semplicità stessa del soggetto mi rafforza nell’idea che la film sia stata proposta e non imposta. Infatti nessuno sforzo scorgesi nella ricerca degli episodi e nel loro accoppiamento. La massima spontaneità regna nell’esposizione chiara degli episodi, il che dimostra come l’autore non abbia fatto né scelta, né ricerca di questi, ma di episodi ne possedesse a dovizia, e che dei loro effetti ne avesse satura la mente e oppresso il cuore, da farlo gemere e dolorare.

Ed infatti questa film è tutta un gemito di dolore che alfine si sprigiona con un urlo di sdegno, con un grido di protesta alto e solenne, contro una barbarie che mai vi fu l’eguale.
E qui l’arte del Cine si eleva a somma potenza umanitaria, a giudice terribile, a documento storico. L’epopea barbarica-germanica ha trovato nel Cine il suo poeta che… ha sciolto un cantico che forse non morrà… Ha trovato il suo pittore, quale non fuvvi mai, per valore di verità. Ha trovato lo scalpello di Fidia che ha scolpito nel porfido la sua infamia, ed ha trovato l’architetto che le ha eretto tale un monumento sulle cui basi non tramonterà mai il sole.

Le forze creatrici di questo lavoro concorrono tutte con mirabile ordinamento verso una finalità nettamente prestabilita e saldamente fissata; sicché diresti essere uno solo chi ideò la favola, chi la svolse e la eseguì. Dal costume ai caratteri; dal concetto alla tecnica, tutto è compatto, tutto è omogeneo.

Vedete, per esempio, quell’invasore modernissimo, pur avendo tutto l’aspetto del barbaro antico? Nulla ha in sé di strano; nulla di speciale, né sulle vesti — che sono quelle comuni oggidì, o quasi, a tutti gli eserciti — né sulle armi, che sono identiche a quelle dei fantaccini di tutte le nazioni. Non ha che il copricapo di forma non comune, e che del resto s’intona magnificamente colla divisa.

Ah! quel copricapo! nella sua speciale semplicità è quanto di più tedesco si poteva ideare! Quella forma, che sta fra l’elmo del guerriero ed il berretto da galeotto, da, alle facce, alle figure di quegli invasori, un aspetto che ricorda gli Unni condotti da Attila, il grand’astro germanico che del Kaiser moderno potrebbe dire col Vangelo: questi è il figliuol mio diletto, nel quale mi sono compiaciuto!

Una serie di mirabili vedute dal vero, collegate giudiziosamente agli elementi idealizzati dal dramma, caratterizzano con somma efficacia i vari momenti dell’azione, dando ad ogni motivo — lieto o triste, patetico o tragico — una impronta potente di verità.
Non vi dirò del merito dell’esecuzione, e dell’interpretazione; non vi dirò della tecnica meravigliosa e dell’arte squisita per cui va ricca questa film, poiché — come ho avvertito — non intendo invadere il campo del mio valoroso collega della critica. Aggiungerò soltanto poche parole di ammirazione per quel tipo magnifico di losco emissario, così perfetto in tutte le sue manifestazioni, e per la squisita arte della prima attrice, la cui forma non potrebbe essere né più vera, né più efficace.

Ed ora permettetemi che prima di chiudere questo mio articolo dica ancora di quale insegnamento può essere a noi questa film.

Si è parlato e si parla continuamente del pericolo americano che va minacciando i nostri interessi industriali nel campo cinematografico. Orbene, questa film insegna qualche cosa anche su tal proposito.

Insegna che se in America ci sono dei milioni, si sanno anche bene spendere, e non si sprecano come spesso avviene da noi.

Insegna che in America si fa della cinematografia con quegli stessi criteri con cui si fa dell’industria di qualsiasi altro genere.

Insegna quello che la nostra Rivista ha detto le mille volte: che a questa industria cinematografica l’America applica degli elementi professionali, e che ognuno di questi elementi svolge la propria attività nella cerchia delle sue speciali attribuzioni, con piena responsabilità del suo operato.

Insegna — in una parola — che in ogni ramo dell’attività cinematografica vi è gente del mestiere e non delle figure decorative.»

Pier Da Castello (La Vita Cinematografica, aprile 1917)