La Nave – Società Anonima Ambrosio 1912

La Nave, 1912
scena di La Nave, 1912

Mentre Narsete si preparava a discendere in Italia, subbentrando al comando di Belisario, propositi di resistenza e di lotta premono tra il popolo che si ribella ad Orso Faledro di Aquileia, ed elegge  tribuno in vece sua Marco Gratico.

La Nave 1912
scena di La Nave 1912

Ma Basiliola, figlia d’Orso Faledro, per vendicare il padre ed i quattro fratelli accecati (secondo l’uso di Bisanzio) e che vanno randagi, senza meta per la città, si scopre al tribuno e con le sue bellezze gli accende nell’animo una passione funesta.

La Nave 1912
La Nave 1912

Ciò ottenuto, Basiliola, con fine arte trascina ad odi interni la casa Gratica e mette l’uno contro l’altro armati i due fratelli, cioè, il vescovo Sergio Senzapollice ed il tribuno Marco Gratico; questo avviene nel cospetto del popolo convenuto al sacro banchetto dell’Agape.

La Nave 1912
scena di La Nave 1912

Presso il cadavere ancora caldo di Sergio, Simon d’Armario annunzia a Marco Gratico che Giovanni Faledro entra nel canale Fannio. Il popolo corre alla grande Nave, pronta a scendere nell’Adriatico, ma alla Nave, dice Marco Gratico, manca la figura di prua, ed egli che ha scoperto tutte le vendette macchinate da Basiliola, ordina di inchiodarvi la ragazza. Ma Basiliola getta al tribuno un’ultima sfida: è capace di darsi la morte quale ella vuole, e si precipita sull’ara immergendo il viso nelle fiamme.

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Il Cinematografo al Vittorio Emanuele e la Nave della Soc. Anonima Ambrosio.

Torino, 15 luglio 1912. Il vastissimo teatro di via Rossini, il classico teatro delle grandi stagioni di opera popolare, ha spalancati i suoi battenti al cinematografo.

Si sono inaugurati gli spettacoli, il 4 corrente, colla Nave la grandiosa tragedia D’Annunziana, ridotta a scene cinematografiche dalla Casa Ambrosio, ma francamente dobbiamo lamentare l’impreparazione della impresa esercente il teatro, che non seppe o non volle presentare un impianto che permetta una chiara e nitida proiezione: il quadro è perfettamente al buio ed il pubblico non mancò di protestare e palesare il suo malcontento.

Così il bellissimo lavoro della Casa Ambrosio non ha potuto essere apprezzato convenientemente, e su di esso nessun giudizio spassionato si può dare fino a che non venga proiettato in altro locale, dove non sfuggiranno, e la grandiosità della messa in scena, l’ottima interpretazione artistica ed il movimento delle masse.

Qui nulla di tutto ciò abbiamo potuto vedere: il quadro, ripetiamo, è una nebulosa, tutto è avvolto in un denso strato di caligine… che fra le altre cose è molesto alla vista.

Siamo spiacenti di dover constatare questa imperdonabile deficienza, che si risolve in una danno per la stessa impresa; il pubblico pagante va al cinematografo non per soffocare di caldo in questa afosa stagione, ma per godere uno spettacolo. E siccome in Torino non difettano locali dove le films si proiettano a modo, è in questi altri che si riversano i frequentatori del teatro silenzioso.

Veritas (La vita cinematografica, 15 luglio 1912) 

Santarellina, Società Anonima Ambrosio 1912

Santarellina, Società Anonima Ambrosio 1912
Santarellina, Società Anonima Ambrosio 1912

Tenere il pubblico per circa un’ora attento, farlo divertire, provocare un’ilarità schietta, sana, con mezzi di una semplicità veramente unica, ecco il miracolo che Casa Ambrosio ha saputo compiere!

La scelta della produzione, non poteva essere migliore: il brio indiavolato, tutto francese, anzi parigino che sprizza dalla graziosa eroina, educanda, cantante, amante, sposa; tutto quel che si vuole nel limite dell’onestà, più meno convenzionale, una commedia insomma -che non è ancora una pochade, ma la rasenta con garbo; che ad ogni modo è una trovata giustificante appieno il mondiale successo con cui continua a percorrere i teatri, – e ora i cinematografi – dei due emisferi – tale produzione, diciamo, non poteva avere rivali come première d’inaugurazione, per la sua trama festosa che fa buon sangue e aggiunge coi suoi sani sorrisi, un filo per quanto tenue, al tessuto sottilissimo della vita.

Santarellina, dunque, è un capolavoro, e quello che più conta, un capolavoro di comicità, e tutti sanno che far ridere senza parole e senza pagliacciate, è l’arte più difficile che ci sia.

Gli ambienti di Santarellina, sono ambienti veri, autentici, quadri di una chiarezza e di una luminosità indovinata.

Dalla fotografia non ne parliamo: è fotografia di Casa Ambrosio. E gli artisti? Gigetta Morano, nella parte della protagonista, fu un’interprete perfetta, di una grazia e di una furberia da far venire la voglia matta di baciare… il quadro che la riproduceva. Ercole Vaser, nella non facile parte del maestro Celestino, fu di una naturale ed eccellente comicità. Ah! Come si ride di gusto a vedere il disgraziato Floridoro nelle diverse sue critiche situazioni! Tutte le volte che Vaser si muove scoppia nel pubblico una risata fragorosa. Questo attore in un attimo si è rivelato un prezioso elemento e non sappiamo perchè la Casa Ambrosio abbia aspettato fin’oggi a farlo conoscere ai pubblici di Europa; da parte mia, su queste colonne gli invio un elogio spassionato, come critico e come amico. Il Bonnard, veramente corretto e bello – oh! Si, bello! E glielo possiamo dire noi che siamo uomini, e quindi al sicuro dalle sue languide occhiate e dai suoi sorrisi irresistibili.

E formidabile il Maggiore di Chateau-Gibus, lo Zocchi ch’è di una severità e di un temperamento così collerico da far… schiattare dalle risa?

Aggiungiamo a costoro la signora Gobbi, molto bene nella parte di Madre Abadesa, la signora Brioschi (Corinna) e tutti gli altri che nella film presero parte lavorando, con impegno ed abilità senza pari.

Ci permetta l’egregio Caserini di stringergli fortemente la mano: sapevamo già quanti meriti egli abbia ma Santarellina ci ha entusiasmati ed è lui che con pazienza e vero sentimento artistico l’ha saputa dirigere e condurre al trionfo.

La messa in scena è accuratissima; gli sfondi, i contorni, sia dei quadri esterni che degli interni fanno denotare il gusto squisito del buonissimo operatore Scalenghe, al quale rivolgiamo anche la sua parte di lode augurandoci che la valorosa Casa Torinese ci dia presto un altro di questi lavori, che riempe oggi di ammirazione i pubblici d’Italia e dell’estero.

Ego.

Santarellina Ambrosio 1912

L’azione è desunta dalla celebre operetta, ma l’intreccio è in questa cinematografia mirabilmente complicato e migliorato attraverso una ad una fuga di quadri logica e serrata che non stanca ma trascina il pubblico. L’azione consta di tre parti: nella prima Denix parla attraverso il pudibondo paravento conventuale con Fernando l’ignoto fidanzato; è affidata all’ipocrita maestro di musica Celestino che la deve condurre a casa. Nella seconda sostituisce l’attrice scioperante, debutta e trionfa nell’operetta di Celestino Floridor; va in caserma, si traveste da ussaro, balia con Fernando, prende la lezione di equitazione; nella terza infine ritornata educanda, parla con Fernando, e questa volta senza paravento… Essi s’intendono al volo e Fernando presenta in un magnifico quadro finale al pubblico la sua fidanzata educanda, attrice, cavallerizza ad un tempo.

Santarellina è una Mascotte: porta fortuna a tutte le persone che hanno l’astuzia o il buon senso di ingraziarsela. Nata a Parigi, nella città diabolica per eccellenza, diede lustro e fortuna a qualche dottrina di maestri Floridoro e di educante Nitouche; trasmigrata in Italia, toscaneggiata in Santarellina e napolitanezzata in Santarèlla, offrì cartelle di rendite a Novelli e una villa a Scarpetta; tradotta dalla ribalta al panno bianco del cinematografo riconferma e sanziona definitivamente la gloria e là fortuna della casa Ambrosio. Inutile discutere e sofisticare: qui ci troviamo di fronte all’opera imposta; e sarebbe ridicolaggine e stoltezza voler fare la critica al capolavoro. E badate, lettori: io non ho perduto il senno al punto di dichiarar capolavoro quella commedia stranissima e spesso inconcludente che ha suoi protagonisti un’ educanda troppo astuta e un organista troppo scemo, e le cui vicende si svolgono e si concludono solo o in forza della volontà o del capriccio di due autori capiscarichi, ostinati a mettere assieme un sacco e una sporta di allegre diavolerie per cavarsi il gusto di esilarare il prossimo e di far soldi a palate. In Santarellina, l’arte non entra, né per diritto ne di traverso: è una pochade: cioè una cosa lontana dalla logica e del senso comune : uno scherzo composto per far quattro risate e per assestare ancora un calcio alla verità e cacciarla dietro le quinte. Nulla di più stolto e irragionevole dell’avventura di quell’organista e di quella educanda : unico pregio di Santarellina — se di pregi si possa parlare — è quello di aver visto, pur se con lenti d’ingrandimento, il tipo di quella monacella indiavolata che sa cosi stupendamente menar pel naso il piccolo mondo che le si muove attorno. Ed è appunto in questa scoperta di un carattere umano devastato e deformato della caricatura la ragione della smisurata fortuna che ha arriso e tuttavia arride a Sàntarellina. Mettiamo quindi, da canto 1’opera considerata in se stessa e nelle sue relazioni con 1’arte; e occupiamoci qui della riproduzione cinematografica, che a parer mio, costituisce la massima fortunata audacia della ditta Ambrosio.

Audacia notevole, specie in questi tempi in cui l’arte del cinematografo è oppressa e corrotta dal malanno del dramma a fortissime tinte e di interminabile metraggio. Ci vuole una buona dose di coraggio; e una grande fiducia nella bontà di un programma che ha scarsi seguaci per lanciare sul mercato cinematografico, tutto invaso dagli applauditi e proficui orrori di drammacci interminabili complicati e sanguinolenti, una commedia allegra, e per giunta in tre atti, e per giunta ancora tenue e parca nei suoi partiti comici. Al cinematografo si tollera il film comico, pur che sia breve e saturo delle più inverosimili buffonate del sig. Cretinetti e del sig. Tontolini; non si resiste a lungo, se non a patto di mantener desto e vigile lo spirito dello spettatore mediante un intreccio complicato, tenebroso, commovente, e che si risolva tragicamente. Vincere di questi tempi con i tre atti di Santarellina, nei quali non c’ è ombra di interesse e anche il comico o è stupido o a fior di pelle, significa trionfare per ragioni estranee al contenuto della pièce : non per le virtù sostanziali, ma per quelle ulteriori della cosa rappresentata. E’ l’ultimo felicissimo successo della Ambrosio è appunto dovuto alle qualità formali del film di Santarellina : un vero innegabile e indiscutibile prodigio di riproduzione fotografica e d’ interpretazione. Gli ambienti a traverso i quali l’azione si svolge sono scelti e arredati con aristocratico buon gusto specie la scena del giardino dell’educandato e l’altra del teatro in funzione costituiscono due manifestazioni sorprendenti di verità. Fotografie irreprensibili, curate con vero cuore di artista fino nei più remoti e trascurabili particolari. Non risparmiarne la lode alla ditta Ambrosio, la quale ci aveva del resto , abituati a simili spettacoli di precisa e luminosa bellezza. L’interpretazione è, come ho detto più innanzi, perfetta : di una sobrietà, di una sicurezza, di una fusione esemplari : specie i tipi di Santarellina e di Floridoro sono incarnati e mossi in modo mirabile.

Santarellina merita il lieto gran successo riportato. Essa è sopra tutto e innanzi tutto, una bella e coraggiosa eccezione di semplicità nella regola ingombrante e asfissiante di una cinematografia nutrita di tutti i veleni e di tutti gli orrori della più detestabile cronaca nera.

La torre dei vampiri, Ambrosio 1913

Il carnefice (Oreste Grandi) e la Fornarina (Lia Negro)
Il carnefice (Oreste Grandi) e la Fornarina (Lia Negro)

In occasione del centenario della morte di Bram Stoker (Clontarf, 8 novembre 1847 – Londra, 20 aprile 1912), ecco a voi la storia della Torre dei vampiri, film muto italiano prodotto dalla Società Anonima Ambrosio nel 1913, probabilmente scomparso…

Una ferale leggenda è attribuita alla lugubre torre che pare domini sulla ridente cittadina Vandeana. Quando il sole si nasconde nel mare, uno stormo di vampiri svolazza intorno alla torre. Si dice che quelle orribili bestiacce siano le anime errabonde dei dannati… Una figura nera si aggira sulla torre… Ognuno passa lontano dalla torre e mormora una prece per scongiurare il maleficio…

Quel fantasma non è altro che l’ex carnefice di Parigi, scacciato, come tutti i funzionari dei Borboni caduti, dalla Rivoluzione. Quell’essere sinistro si è ritirato in quella torre, lieto che una paurosa leggenda tenga lontano da lui ogni essere umano.

Ma un dì noi vediamo lo spettro della torre gettare il nero mantello e cercare di rendere meno sinistro il suo aspetto. Egli ha visto una giovane donna, la Fornarina, per lui è un raggio di sole. Grazie alle ricchezze che egli ha trovato nella torre attira l’attenzione della giovane… Ma un giorno lei non viene più al convegno.

Dalla torre dei vampiri, l’ex carnefice di Parigi scorge assieme alla sua Fornarina un avvenente ufficiale della Rivoluzione. Lo spettro della Torre riconosce in lui un ufficiale che egli stesso un dì aveva salvato, assieme a molti altri congiurati, dalle spie del Terrore. Pieno di rabbia indomita, l’ex carnefice giura di compiere un’atroce vendetta…

La campana della Torre suona! La leggenda diceva che il giorno in cui la campana della sinistra Torre avesse suonato, un’orribile sventura sarebbe piombata su qualcuno della cittadina vandeana.

Raimondo, il giovane ufficiale, e la Fornarina si avviano con il corteo nuziale. I voti del loro amore sono stati esauditi. Ma ad un tratto tutti inorridiscono ed alzano gli sguardi atterriti…

La campana della Torre dei Vampiri fa udire i suoi lugubri  rintocchi. E quasi a confermare l’esattezza della leggenda, ecco i gendarmi piombare in mezzo al corteo nuziale per arrestare Raimondo, lo sposo della Fornarina…

L’ex carnefice di Parigi si è vendicato.

La Fornarina pur di salvare Raimondo, non indetreggia davanti al più sublime dei sacrifici. Essa ricerca il carnefice, colui che tante volte ha reso felice coi suoi sorrisi e lo scongiura di salvare lo sposo.

— Salvalo, le dice essa, ed io mi rassegno a non vederlo mai più… e sarò tua per sempre…

Sul mare, un vela scompare all’orizzonte, abbandonando l’inospitale Francia allagata di sangue cittadino. La vela porta Raimondo verso la libera Inghilterra.

Dalla Torre dei Vampiri due persone contemplano la vela che sparisce. E’ la Fornarina felice che il suo diletto Raimondo sia salvo… Ma dietro di lei la fosca figura del carnefice attende il premio promessogli.

Un tonfo! La livida faccia dello spettro della Torre, guarda un cadavere che galleggia sulle onde. La Fornarina ha preferito l’amplesso della morte e quello di quel mostro.

Buon centenario a Stoker, e Dracula’s day a tutti!!!