Maciste all’inferno 1925 al cinema Le Balzac di Parigi

maciste all'inferno
Barbariccia, Principe delle Tenebre  (Franz Sala)

Il prossimo 18 ottobre, i fortunati spettatori del cinema Le Balzac (Cinéma independant art et essai aux Champs Elysées) potranno assistere ad una proiezione di Maciste all’inferno (1925) cortesia della Lobster Films:

“Maciste aux enfers, peplum réalisé par Guido Brignone en 1925, sera présenté en ciné-concert mardi 18 octobre à 20h30. Le film sera accompagné par les quinze musiciens de l’Ensemble Unikum Swak, dirigé par Mauro Coceano. Tarif normal : 12 euros – Réduit : 10 euros. A ne pas manquer !”(dal sito del cinema Le Balzac)

Due o tre cose a proposito di questo film.

La storia: Strumento inconsapevole del Male, Giorgio seduce Graziella, una semplice ingenua creatura, la trascina all’errore e l’abbandona col suo piccolo nato. Il dott. Nox, incarnazione terrena di Barbariccia, il Principe delle Tenebre, coadiuvato dai diavoli, con incantesimi muove le fila del Destino di coloro che egli ha destinato a divenir sua preda. Contro di lui si erge Maciste, il gigante buono, il difensore dei deboli e degli oppressi, il persecutore dei malvagi. Ma la sua forza erculea non basta a lottare contro la oscura potenza delle tenebre ed egli tenta invano di sottrarre agli artigli del Dèmone coloro che ama. Precipitato nell’Inferno, tramutato in dèmone per incantesimo di Proserpina, la moglie di Plutone, il Re delle Tenebre, viene salvato dalle preghiere di un bimbo nella notte di Natale, come narra l’antica leggenda. Così il Male è sconfitto ed attraverso la purezza di una preghiera trionfano il Bene, l’Amore, la Giustizia.

L’opinione della critica dell’epoca, in questo caso del quotidiano milanese L’Ambrosiano:

Maciste all’inferno si stacca dai soliti films a cui il cinematografo ci ha abituato da un pezzo e che nel loro contenuto si assomigliano l’uno all’altro come la proverbiale goccia d’acqua. Non appartiene, insomma, a quella categoria di dramma passionale del vecchio stampo, artificioso, convenzionale e stucchevole, già esaurientemente sfruttato e rimesso in onore dal cinematografo: non appartiene neppure ai genere dei films di avventura creati per farci assistere alle più inverosimili, assurde peripezie sensazionali e dove ogni più comune senso di logica viene calpestato a tal segno che l’effetto sensazionale talvolta si risolve in un effetto esilarante, si tratta, invece, di un film in cui si riscontrano un non comune intendimento d’arte e una genialità di fantasie insolite.

C’è in verità, nella trama sulla quale si svolge questo lavoro e che ci trasporta in un mondo fantastico, ultraterreno, lasciandoci nello stesso tempo vivere sulla terra, un soffio di poesia, una vena di sottile umorismo e una coordinata logica delle vicende, che non si può far a meno di essere favorevolmente sorpresi e di divertirsi. Si può quindi riconoscere al cinematografo possibilità artistiche, quando esso sia trattato con sani intendimenti. Maciste all’inferno si ispira e ci fa assistere all’eterna lotta del Male contro il Bene, dei malvagi contro i buoni, del peccato contro le virtù; ma poiché il Bene finisce col trionfare sul Male e la virtù è riconosciuta e giustizia resa ai buoni, mentre i malvagi pagano il fio delle loro malefatte, il film, ha un suo contenuto altamente morale e serve a quella che pur dovrebbe essere la funzione del cinematografo, di educare l’animo dello spettatore al Bene attraverso una dilettevole finzione artistica. Ma la lotta del Male contro il Bene, nel Maciste all’inferno, si complica di elementi soprannaturali, in quanto, parallelamente, al dramma umano e terreno, entrano in campo le incarnazioni eterne del Male, i Demoni. E la rievocazione del mondo infernale, fatta seguendo la tradizione classica dantesca e svariando attraverso alla visione che dell’Inferno ebbe la scuola romantica tedesca, senza per altro trascurare non meno importanti elementi dell’Averno Pagano: sicché si può dire che in un insieme armonioso si riassumono e si intessono in un’unica forma tutti gli aspetti che ebbe l’Inferno attraverso i secoli e attraverso l’Arte.

La presentazione del film sul sito del cinema Le Balzac riprende ancora una volta le famose dichiarazioni di Federico Fellini, io vi propongo una testimonianza dove non mancano le tinte neorealistiche, quella di Sergio Amidei:

Mi sono avvicinato al cinema come comparsa. Nel 1924, trovandomi a Torino e, come tutti gli studenti allora, avendo pochissimi soldi, incontrai in una minuscola trattoria un certo Azzolin, un veneto che faceva il fotografo, il quale mi offrì di andare a fare la comparsa in Maciste all’inferno, di Brignone. E così, una bella mattina, mi son trovato in mezzo a una folla di miserabili. Mi hanno fatto spogliare nudo, mi hanno messo una specie di sottanina di pelo di capra con una coda fatta a mollo, mi hanno cacciato in testa una parrucca da diavolo, poi mi hanno dipinto con la terra d’ombra, e la birra, m’hanno dato una lancia, una forca, m’hanno sbattuto in mezzo agli altri. Un freddo a Torino, erano i primi di novembre. Per ripararci ci davano dei cappotti da militare, sporchi fetenti. E io quasi piangevo, giuravo mai più, mai più, mai più. Poi la sera ci hanno dato della vasellina per struccarci, dell’alcool, e 40 lire, che allora erano molte. E dunque ci son tornato il giorno dopo, poi ancora un altro giorno, poi un altro giorno ancora, e poi una mattina m’è venuta un’idea. Ho preso un secchio dove c’era la terra d’ombra e la birra, e ho cominciato a dipingere gli altri. E mi piaceva molto quel signore con una cacciatora di velluto, una lobbia nera, un paio di pantaloni a quadretti, che era Guido Brignone. Così ho cominciato a far l’aiuto-regista. Così sono entrato nel cinema, io.
(intervista di Francesco Savio a Sergio Amidei, Cinecittà anni trenta, Bulzoni 1979)

Da uno sceneggiatore si può aspettare qualsiasi invenzione, ma in questo caso Amidei in persona confermò tutto a questa che scrive. Provate a cercarlo tra i diavoli.

Buona fortuna, con la ricerca, e… Buona visione!

Il Museo Nazionale del Cinema di Torino a Madrid


Dal canale di francorolenzana su YouTube.

Autunno movimentato per il patrimonio del Museo Nazionale del Cinema di Torino – Fondazione Maria Adiana Prolo.

Dopo il Festival Lumière (Grand Lyon Film Festival) e Le Giornate del Cinema Muto di Pordenone, arriva il turno della mostra Sombras Recobradas VIII edizione, che si celebrerà a Madrid dal 11 al 13 ottobre 2011, serata di chiusura il 14. Proiezioni della mostra in due sale, il Cine Doré della Filmoteca Española, ed il Cine Estudio del Círculo de Bellas Artes. Organizza l’associazione di amici della Filmoteca Española (AAFE).

I film in programma sono:

Cabiria (Itala 1914), versione restaurata 2006, presentazione di Alberto Barbera, direttore del Museo Nazionale del Cinema, al pianoforte Stefano Maccagno.

Maciste (Itala 1915), Maciste Imperatore (Itala 1924), Tigre Reale (Itala 1916), La paura degli aeromobili nemici (Itala 1915), La guerra e il sogno di Momi (Itala 1915), Gli ultimi giorni di Pompei (Ambrosio 1913).

Insieme ai film del cinema muto piemontese, due produzioni della cinematografia iugoslava: Gresnica bez greha (1930) e Sa verom u boga (1932).

Per sapere di più, ecco il link al sito Sombras Recobradas.

Buon viaggio Cabiria & C., e buone visioni!

Paparazzo cinematografico 1907

Messa di Natale, Dudovich 1906
Messa di Natale, Dudovich 1906

Sto invecchiando, non vorrei confessarlo a me stessa, ma invecchio. Ho perso un paio di ore cercando di ricordare dove avevo messo, nell’immensa biblioteca dell’archivio in penombra, l’immagine per accompagnare questo post. Vi dovete conformare con l’illustrazione qui sopra, dovuta al pennello di Marcello Dudovich, uno dei grandi illustratori del ‘900 italiano. Vi assicuro che guadagnate nel cambio.

Tutti sanno che il grande Federico Fellini, discendente diretto, com’è stato ripetuto più volte, dei grandi registi del cinema muto italiano (il ricordo indelebile di Maciste all’inferno diretto da Guido Brignone, per citare soltanto un esempio), non ha “inventato” i paparazzi. L’interesse per la vita e i miracoli dei personaggi famosi è vecchio quasi come il mondo. Lo sviluppo della fotografia contribuì a soddisfare la curiosità di milioni di persone che, grazie alle fotografie pubblicate dalla stampa, potevano non soltanto leggere, ma “vedere” le ultime notizie. E fu allora che nacque la notizia impossibile, quella che non voleva (o non poteva) farsi vedere. Ecco nato il paparazzo.

Alcuni cineasti dei primi tempi, gente intelligente come Méliès, si dedicarono a ricostruire i fatti per soddisfare la curiosità degli spettatori, con notevoli risultati al botteghino, Ma il “paparazzo cinematografico”, questo grande e dimenticato personaggio della storia del cinema, è un completo sconosciuto, o quasi.

Con la solita autorevolezza che caratterizza i post di questo sito, molto apprezzata dai soliti 6 lettori fissi e da qualche sperduto navigatore del web, l’archivio in penombra cercherà di promuovere la ricerca sul “paparazzo cinematografico”. Come al solito, invito tutti quelli studiosi a caccia di nuove idee per tesi di laurea, rassegne, ed altri divertimenti che portano in giro per il mondo, a partecipare.

Per iniziare ho scelto una storia del 1907, una storia “facile” perché i particolari li potete trovare nel web. La protagonista è Luisa di Sassonia (Luisa d’Absburgo-Toscana):

Al tempi in cui stava per rimaritarsi e il suo nome correva sulla bocca di tutti, assieme con i particolari della sua nuova avventura, ci fu un operatore caparbio, vero cronista nato, che s’incaponì di volerla cinematografare. Egli attese inutilmente per parecchi giorni, poiché Luisa di Sassonia, quando s’accorgeva della sua presenza cercava con tutti i mezzi di celarsi e, in caso disperato, volgeva all’operatore le spalle.
Il povero reporter aveva promesso il negativo al suo direttore e i giorni passavano senza nulla conchiudere. Preso dalla disperazione, una mattina egli cacciò quasi dentro alla carrozza ove si trovava la contessa la macchina fotografica, e girò. Pazzo dalla gioia di esser finalmente riuscito nel suo fine, corse in camera oscura per sviluppare il negativo… Ahimè, sul sensibile nastro non appariva che un informe groviglio di pelo poiché la contessa si era salvata col manicotto.

Capite adesso il senso dell’immagine nel post? Non posso affermare che il manicotto indossato da Luisa di Sassonia fosse simile a quello raffigurato nel disegno di Dudovich, ma posso assicurare con assoluto rigore scientifico che si tratta di un disegno datato dicembre 1906. La coppia mi sembra molto elegante, abbastanza per indossare l’ultima moda autunno-inverno 1906-1907.

Chiedo scusa di nuovo ai fedeli lettori per il ritardo, le emozioni (e le soddisfazioni) della giornata scorsa sono state troppe. Vi voglio bene.