Suspense ovvero non dimenticare mai la chiave sotto lo zerbino

“Suspense” è un famoso thriller scritto, diretto e interpretato da Lois Weber (regia in collaborazione con Phillips Smalley) anno del signore 1913.

Nella prima scena del film vediamo una donna che, già pronti sul tavolo di cucina una valigia e il cappello, guardando dal buco della serratura (avete presente “Par le trou de la serrure” 1901 di Ferdinand Zecca?), osserva la scena che si svolge dietro la porta: lei e noi vediamo una giovane signora e un bambino in culla. La donna lascia una nota sul tavolo della cucina che vediamo anche noi: “Me ne sto andando senza preavviso. Nessun domestico vorrebbe rimanere in questo posto solitario. Metterò la chiave sotto lo zerbino. Mamie”.

Quindi Mamie esce e chiude a chiave, lasciando la chiave sotto lo zerbino come promesso, e va via.

Appena Mamie esce fuori quadro, vediamo arrivare quello che, si capisce subito, sarà il “cattivo” del film, uno che passava da quelle parti e, voltandosi verso la casa… ci fa un pensierino.

Nella seguente scena, in mezzo ad un triangolo al centro dello schermo appare un signore seduto al tavolo di un ufficio (un ufficio con molte correnti d’aria a giudicare dalle carte che svolazzano). Il signore prende il telefono e dice alla giovane signora che abbiamo visto dal buco della serratura, anche lei al telefono: “Non tornerò a casa fino a tardi. Starai bene?”.

Ecco i tre protagonisti della storia: il “cattivo” a sinistra, ormai vicino alla casa, il marito in ufficio, e sua moglie, a destra. Déjà vu anche questo l’effetto dello schermo diviso in tre.

La moglie rassicura il marito: starà bene.

Quindi la moglie va in cucina per vedere che fine ha fatto Mamie, ma non la trova. Trova invece la nota sul tavolo della cucina e la legge.

A questo punto cosa pensate che possa fare la nostra eroina? Prendere la chiave sotto lo zerbino? No, per niente. Va invece verso il telefono e pensa di richiamare il marito, ma poi ci ripensa, chiude la finestra della stanza, esce e va verso la porta principale chiudendola a chiave.

Fatto questo, prende il bambino dalla culla e sale con lui al primo piano. Dalla finestra della stanza al pianoterra vediamo il “cattivo” che si aggira intorno alla casa. Una volta al piano di sopra la nostra eroina, affacciandosi alla finestra scopre, secondo la didascalia: “Un vagabondo che si aggira intorno alla casa”.

Nuova scena triangolata al telefono. Mentre moglie e marito parlano, grazie ad una sensibilità della pianta dei piedi eccezionale, vediamo come il “cattivo” trova facilmente la chiave sotto lo zerbino.

Indovinate un po’ cosa dice al telefono la moglie (che non può vedere il “cattivo” perché è al telefono ma sicuramente è dotata da grande chiaroveggenza): “Adesso sta aprendo la porta della cucina” e poi “E adesso è…”. Non riesce a dire altro perché il cattivo taglia il cavo del telefono con un coltello, interrompendo la comunicazione… evitando così domande scomode dal marito tipo: “Come mai questo vagabondo ha la chiave della porta della cucina?”

Cosa fa il marito a questo punto? Esce di corsa dall’ufficio e ruba la prima macchina che le capita davanti, mentre la moglie, che non si rassegna facilmente, insiste con il telefono, senza successo, naturalmente.

Intanto, il proprietario della macchina rubata, che era giusto sceso un momento per accendersi una sigaretta, con un semplice gesto trova, in pochi secondi, due poliziotti e una macchina con autista, riuscendo a convincere subito tutti di dare la caccia al “ladro”.

Vediamo il “cattivo”, ancora in cucina, che apre un armadio e trova un piatto con due sandwich. Cosa fa? Mangia.

Nella scena che segue vediamo brevemente le due macchine in corsa attraverso la città, quella del marito e quella che trasporta il proprietario della macchina e i poliziotti.

Un momento, la nostra eroina ha una idea geniale: bloccare l’apertura della porta con una pesante credenza.

Dopo il pranzo, il “cattivo”, coltello in mano, esce dalla cucina.

Nella corsa sfrenata, il marito investe un signore fermo al centro della strada. Ma non è successo niente. Il signore, preso in pieno dalla macchina, si alza in piedi dopo pochi secondi come se niente fosse. E la corsa riprende… oh le belle, ardite, inquadrature…

La nostra eroina al piano di sopra urla. Ma il film è muto e non possiamo sentirla.

Il cattivo, senza sforzo e senza complimenti, spacca la porta della camera, spostando senza sforzo la credenza. Ancora urli della mamma e, possiamo immaginare, anche dal bambino.

Il marito, arrivato davanti alla casa, scende dalla macchina senza nemmeno fermarla, e corre verso la porta principale, lasciando che la macchina continui la sua corsa, e vai a sapere come va a finire…

Pochi secondi dopo arrivano il padrone della macchina rubata e i poliziotti che, mentre corrono anche loro verso la casa, sparano all’impazzata. Che film americano sarebbe senza un po’ di spari e pallottole?

Il “cattivo”, coltello in mano, ha sentito gli spari e cerca di fuggire. Scendendo le scale si scontra con il marito della nostra eroina, entrato dalla porta principale, breve lotta fra i due e arrivo dei poliziotti che fermano il “cattivo”, lasciando l’altro libero di correre al piano di sopra.

Il resto potete immaginarlo da voi. Forse no, perché la reazione del proprietario della macchina davanti alla scena della bella famigliola ormai fuori pericolo quale sarebbe secondo voi? Chiedere i danni per il sicuro disastro arrecato alla sua macchina? Niente di tutto ciò. Nulla a pretendere, capisco tutto, tutto perdonato, tutto a posto. E lasciano la scena, lui e uno dei poliziotti.

Fine, o meglio The End.

Capolavoro, direi di no, ma potete giudicare voi stessi, il film è disponibile sul web.

I Titani di Lilliput

Abbiamo dovuto sospendere per un mese i nostri commenti alla cosiddetta politica cinematografica e, naturalmente, in un mese, moltissimi avvenimenti si sono sovrapposti a quelli passati, modificando l’aspetto di quella che è la dinamica della grande industria cinematografica. Preghiamo d’altra parte il lettor cortese a non dare alla nostra espressione di «grande industria» quel significato iperbolico che si è avvezzi generalmente a darle.

Naturalmente, l’uomo del giorno è sempre Pittaluga, il tenace genovese, colui che si ritiene debba sconvolgere l’ordine astrale di questa simpaticissima industria nostra. È scoppiata infatti, giorni or sono, la bomba dell’accordo Pittaluga-Fiori, ciò che ha fatto saltare per aria molti grandi e piccoli interessi che, come asteroidi, si andavano evoluzionando intorno a questi due astri. Se lo spazio non ce lo vietasse, noi avremmo trovato sommamente dilettoso ed istruttivo illustrarne largamente l’attività e l’intraprendenza. Forse avremmo potuto dimostrare che i suoi successi sono dovuti più che alla sua indiscussa capacità negli affari, all’incompetenza ed alla suggestione della massa. Ci riserviamo, però, di ritornare sull’argomento. Il pericolo Pittaluga, in rapporto alle condizioni generali dell’industria, è uno studio tnteressante più che non si creda.

Per ora ci limitiamo a domandarci: Perchè l’accordo intervenuto fra Pittaluga e Fiori non è stato fatto dall’Unione?

Cerchiamo di illustrare la situazione servendoci di quelle informazioni che dobbiamo credere esatte e che dormono da qualche settimana nel nostro tiretto di redazione.

È noto che da tempo Pittaluga rimuginava il riavvicinamento dei gruppi Barattolo-Mecheri-Fiori. Questa iniziativa ha subìto alternative da altalena: da un momento all’altro appariva come una realtà indiscussa o come una chimera inafferrabile. A chi la colpa di queste alternative? Se lo chiedevate a Fiori, vi rispondeva: Per i tentennamenti di Barattolo. Se volevate prestar fede ai turibolanti di Barattolo, avreste dovuto attribuirli alle condizioni inaccettabili che imponeva il binomio Mecheri-Fiori. Sta di fatto che mentre più fervevano le trattative, Barattolo credette più igienico andarsene a Berlino. L’entente con i tedeschi era forse più interessante: dell’accordo in casa propria.

Evidentemente gli esponenti massimi dell’organizzazione Pittaluga non trovarono di eccessivo buon gusto un invito a Roma per…
constatare de visu che Barattolo da poche ore aveva preso il diretto per Berlino! Fiori non potette resistere alle pressioni di quegli enti che intendevano, per veder chiaro, venire ad una qualsiasi soluzione, e così, messi da parte Barattolo e l’Unione, Pittaluga trovò opportuno stringere l’accordo con Fiori.

Chè nel frattempo la Fert si era costituita in anonima col capitale di 5 milioni di cui tre milioni e mezzo erano stati versati dalla Banca di Firenze, un milione dalla Società Generale di Credito e la rimanenza da Fiori, dal cav. Francolini e dal cav. Olivieri. Ciò fece pensare non poco i dirigenti dell’anonima Pittaluga, i quali si domandavano dove si sarebbe andati a finire, dato anche il compromesso esistente tra la Fert e la Orlandini per i due locali di prima visione di Torino, di proprietà della Fert. Infatti un più stretto accordo Fiori-Orlandini, incuneandosi nel l’accordo Pittaluga-Unione avrebbe sensibilmente ostacolato il raggiungimento degli scopi prefissi dalla Ditta Pittaluga, particolarmente in seguito alla perdita dei due locali di prima visione a Torino.

Qui viene il tratto di genio di Pittaluga. Egli, accantonando Barattolo che si era dato al mestiere di Fabio Massimo, e preoccupandosi solo dell’interesse della sua Ditta, si fece cedere dalle due Banche entrate nella combinazione Fert una gran parte di azioni, strinse nuovi accordi per la gestione dei locali e finì con l’assorbire l’anonima Orlandini che, come abbiamo annunziato in un numero scorso, ha rinunziato, in favore di Pittaluga, al noleggio film ed ai locali che aveva in gestione, limitando la sua attività soltanto al monopolio di acquisto e vendita di films.

Così la tattica temporeggiatrice di Barattolo — a proposito, congratulazioni vivissime per la Commenda della Corona d’Italia —ha avuto un effetto che non ci crediamo facoltati a giudicare in merito agl’interessi di questo. Evidentemente egli ha dovuto fare bonne mine au mauvais jeu ed accettare il fatto compiuto.

Ecco dunque come stanno le cose nell’Olimpo cinematografico. Portate in altri campi che non sieno quelli dove l’arte si erge su piedistalli industriati e finanziarii, le vicende che abbiamo illustrate sarebbero state come le fasi di operazioni d’interessi privati, delle quali ognuno avrebbe potuto benissimo disinteressarsi e dalle quali nessuna influenza l’industria avrebbe potuto subire. Ma la nostra industria è monopolizzata da uomini che vogliono avere una preminenza assoluta in tutti gli avvenimenti ed ai quali la stampa amica e nemica offre a buone condizioni l’onore di una pubblicità superiore a quella che veramente è la loro influenza sull’andamento dell’industria.

Seguiamo dunque la corrente anche noi, ma non preoccupiamoci soverchiamente delle conseguenze. L’avvenire della cinematografia Italiana è più che mai sulle ginocchia di Giove ed i suoi giganti sono soltanto tali attraverso le lenti d’ingrandimento. E, come il famoso colosso di Rodi… hanno, un po’ tutti, i piedi d’argilla!

Ciò che non è molto igienico…

la Cine Fono, Marzo 1921

La casa di vetro – Fert 1921

La casa di vetro di Luciano Doria - Onesti passatempi di provincia: La tombola.
La casa di vetro di Luciano Doria – Onesti passatempi di provincia: La tombola.

Gaby Printemps (Maria Jacobini), viaggiando in compagnia del paziente, indivisibile amico Max Andreani (Oreste Bilancia), vuol restare sola, ad un piccolo paese sparso fra i monti, in cui si sta preparando la festa di S. Gabriella, la santa protettrice del luogo.

Presa in breve dalla semplice, primitiva e tranquilla vita del paese, ella prolunga assai la sua sosta: il tempo necessario per innamorarsi d’un giovane buono e forte, Roberto Landi (Amleto Novelli), e far innamorare questo pazzamente di lei.

La casa di vetro di Luciano Doria - Sogno nella luna.
La casa di vetro di Luciano Doria – Sogno nella luna.

I due colombi prendono il volo, uniti, lasciando al loro dolore infinito una dolce, mite fanciulla, Grazia (Orietta Claudi), la fidanzata di Roberto, ed i vecchi genitori. Roberto e Gabriella vivono giornate ardenti di passione. Max Andreani, l’ombra del passato, li rintraccia e si appiccica loro, attendendo, attendendo sempre che Gaby, stanca degli altri, si decida infine a riposarsi con lui.

Ed inizia la sua opera di distruzione, allegro e inconscio strumento d’un destino che vuol compiersi.

La casa di vetro di Luciano Doria - Il cinico amico ed il vecchio padre.
La casa di vetro di Luciano Doria – Il cinico amico ed il vecchio padre.

Roberto Landi non tarda ad avvedersi dell’abisso che s’apre profondo fra il metodo di vita — artificioso e fatuo — i gusti, i desideri di Gabriella ed i suoi così semplici, sani, rustici. Mente Gabriella si sente sempre più attratta dalla sua vita di “prima” e tende a tornare la Gaby mondana, irresistibile, adorata d’un giorno. E la tragedia si compie. Max ne è un po’ l’occulto strumento. Quando Roberto apprende dal vecchio padre suo (Alfonso Cassini), venuto a ritrovarlo in città, che Gabriella è « una di quelle donne che si amano senza sposarle », malgrado la passione che ancora lo tiene a lei, sente il distacco ormai necessario. E torna, la notte di Natale, a lenire il suo dolore fra le braccia ansiose del padre, condotto, un un sublime atto d’amore, dalla stessa Gabriella. Gaby annega il ricordo della sua passione nel calice cristallino colmo di champagne, che si spezza alla stretta convulsa delle sue mani. « Come tutte le case di vetro ».

La casa di vetro di Luciano Doria - Triste Natale.
La casa di vetro di Luciano Doria – Triste Natale.

Luciano Doria – La casa di vetro al Corso Cinema Teatro.

La casa di vetro ha attenuto un grandissimo successo. Questo è il secondo romanzo di Luciano Doria. La casa di vetro mostra tante lodevoli intenzioni, una bella armonica costruzione nelle scene, con facilità di espressione e un egregio valore letterario che noi vorremmo stringere, ben lieti, la destra di Luciano Doria.
Gaby è una donnina allegra; una di quelle giovani che passano ne la vita dell’uomo lasciandogli forse il ricordo di un’ora, l’oblio di un momento. Gaby, per uno di quegli inesplicabili « casi » che si presentano durante il corso degli eventi, ode una voce sopita, da tanto tempo, nel suo giovane cuore; ed essa è indecisa al richiamo. Sul volto le alberga un sorriso che vuole essere la più veritiera negazione di quel che le agita in seno. Vuole disconoscere ciò che è pur suo, che fa parte della sua anima, del suo spirito novo che sorge e vuole un altro mondo.
Vinta, la moderna contigiata si chiama Gabriella; un nome che è puro perché spetta ad un passato pieno d’alati sogni. E lei, mentre rivive nel paesotto di montanari, giorni felici, conosce un uomo che è legato da promessa a la buona cugina, la cara cugina della nostra infanzia.
Una «degnità » Vichiana, dice: « L’uomo fa sé, regola dell’universo », e Roberto Landi, che aveva fatto, invece, « del paese, regola di sé stesso » a la vista di Gabriella, di una creatura da lui mai vista superiore, dimentica tutto; un giorno parte con « lei » fin che la bufera, rotta qua e là da un vento improvviso, non cessa, ed egli torna a la casa ove il focolare si riaccenderà ancora una volta ad illuminare gli affratellati visi de’suoi famigliari. Ma Gabriella? Oh, essa è tornata a la, « vita », parola ben amara per lei!
Il passato è una larva a cui l’oblio
Va cancellando i languidi profili:
Il presente non altro è che il veloce
Avvenire che passa. Ecco la vita:
Un gaudio preso, una caduta lagrima
Che la terra bevè; forse una colpa
Travestita in rimorso, è una speranza
che fugge e irride come fatua fiamma,
Allo smarrito in tenebrosa lauda
Luciano Doria ha scritto questo « Romanzo-film » con acceso vigore e con fine psicologia. Solo le ultime
pagine risentano di un distacco; quasidi una «ripresa» dopo un certo lasso di tempo. Vi sono pagine felicissime, d’una spontanea bellezza, di un disegno fine e polito. La casa di vetro è, con Il volto di Medusa, uno dei migliori scritti apparsi sinora, e per compiutezza, di figura, per indovinata scelta di immagini, per valore di contenuto, primeggia su tutti gli altri.
Ma il Doria cerchi di abbandonare quel « frasario » speciale che usò ampiamente ne La bambola e l’amore e che qui fa, ogni tanto, capolino. Questo lavoro ha punti di contatto con La fiamma e le ceneri, di G. Campanile Mancini, e ciò può servire, per un appassionato cultore di cose cinematografiche, ad esaminare il pensiero che guida i due ben conosciuti autori.
Carlo M. Guastadini (Kines, Roma 5 febbraio 1921)

La casa di vetro di Luciano Doria, per l’interpretazione di Maria Jacobini (Edizioni Fert) al Cinema Orfeo di Genova.

Il soggetto è forse la cosa meno bella di questo bellissimo film. Luciano Doria ha voluto rivestire di nuovi panni alcuni vecchi motivi cinematografici e letterari.
Ha saputo farlo con parecchio buon gusto e fine senso artistico. E questo è un merito che non gli togliamo, ma la quale avremmo voluto aggiungere quelli d’una maggiore originalità e ispirazione di artista. La storia è tenue e fine come un ricamo. È uno episodio commovente della travagliata vita d’una donnetta allegra.
Tipi veramente riusciti, anche letterariamente, sono Max Andreani il vecchio “Dandi”, la piccola ingenua Grazia. Gaby e Roberto sono più che altro figure cinematografiche, esseri destinati a vivere una loro vita effimera sulla scena. Come sovente accade ai protagonisti dei romanzi, cinematografici e non. Ma ne sono interpreti Maria Jacobini e Amleto Novelli.
Maria Jacobini è la più completa, la migliore delle nostre attrici. È perfetta come artista e come donna. Il che fa la perfezione in arte muta. E non ha chi le si possa paragonare: non perché ella superi ogni altra, ma perché da tutte è profondamente diversa, ha un carattere, una vita scenica tutta sua, che avvince, che trascina all’ammirazione. L’arte sua sana, profonda, semplice e umana ha creato in Gaby un’anima che non c’era. Gaby in essa vive una nuova vita. E non la si scorderà facilmente.
Amleto Novelli, che è uno dei più forti e caratteristici attori della scena muta, è assai costretto nelle vesti di Roberto. Alla sua azione scenicamente uniforme e cupa, ha cercato per quanto gli era possibile, di dare un po’ di varietà e forza. Ed in parte è riuscito.
Oreste Bilancia è in una delle sue migliori interpretazioni. Ha compresso bene il suo Max e lo ha impersonato come sa far lui.
Per Alfonso Cassini non occorrono parole. Ha momenti superbi nel ruolo del vecchio Landi.
Orietta Claudi è una graziosa… Grazia.
Terminiamo con una lode massima al maggiore autore dell’opera: Gennaro Righelli, che s’è ormai posto all’avanguardia dei direttori artistici. A lui è dovuto in massima parte il successo del film, come a colui che effettivamente l’ha costruito, pietra su pietra, donandogli il soffio di arte che lo anima, realizzandolo.
Fa bene al cuore e alla mente dir bene di cose belle e buone.
Adamo (La Cine-Fono, Napoli 10-26 aprile 1921)